La “Classe viva” di Andrea Martinelli
Qui è proprio come essere a teatro (o al bar del paese) ed assistere ad una “Classe viva”,
con Andrea Martinelli che in silenzio dispone e dirige i suoi personaggi
ed insensibilmente ci guida a conoscerli e soprattutto a conoscerci.
Andiamo in clima tempestoso ed arrancando penosamente sotto il sole lungo una Ripa che sembra non finire mai,
con i numeri che dalla Stazione di Porta Genova si sgranano lentissimamente.
Ci sarà il 113 o saranno già campi senza numero civico ?
La camminata trova il suo culmine perfetto ed irripetibile nella scavatrice in azione assordante a pochi centimetri da te :
frantuma il pavimento all’ingresso del Centro e rende pericoloso ogni singolo passo con il piede che appoggia su frammenti di cemento semovente
o si immerge in pozze di viscido fango.
Ma è tutto calcolato, tutto voluto, ne sono sicuro, perché appena dentro .. dentro si apre un altro universo – di pace, di silenzio e di intensità.
Saranno minuti, forse ore di profonda commozione.
Perché il mondo di Andrea Martinelli ti parla e ti conquista con infinita ed irresistibile dolcezza e autorità.
Anch’io all’inizio cedo alla tentazione di evocare affinità. I nomi inevitabili sono subito Antonio Lopez Garcia, così amato da essere andati a Bruxelles solo per vederlo e poi a Madrid per abbracciarlo. E poi Ferroni, ricordato proprio poche ore fa. E Giacometti, con quella sua inesausta ricerca che non può mai finire, ma che come scrive qualcuno in catalogo per Andrea porta non al non-finito, ma all’in-finito.
Poi anche i personaggi dolenti di Ian Saudek, che nessuno ricorda
e gli interni desolati dell’ultimo Varlin, con lo stesso identico letto sfatto.
Ma tornato a casa capirò la semplicità e la verità del suggerimento di Bazzini :
inutile sfiancarsi in una raffica di citazioni, più o meno rilevanti.
Ci vuole un altro sguardo – uno sguardo fresco, puro, innocente o forse infantile (ritrova gli appunti di Enzo Paci su Husserl).
Bisogna guardare, bisogna incontrare, bisogna dialogare – ascoltando innanzitutto, poi semmai parlandogli e confessandoti con loro – queste persone.
Ecco perché di tutti i riferimenti il più stringente e il più capace di aiutarmi ad entrare nel mondo di Martinelli è il ricordo dei personaggi di Tadeusz Kantor.
Ecco sì, qui è proprio come essere a teatro (o al bar del paese) ed assistere ad una “Classe viva”, con Andrea Martinelli che in silenzio
dispone e dirige i suoi personaggi ed insensibilmente ci guida a conoscerli e soprattutto a conoscerci.
Casta e Impura
Si trovano ai vernissages. Commentano il catering. Sorseggiano i drink. Si scambiano battute sempre intelligentissime.
Si scrivono addosso, si parlano dietro, si sentono élite. Poi … devo proprio andare. Let’s keep in touch.
I ‘bot-people’ (una botta e via !) se ne vanno.
Dopo di loro il diluvio. Il deserto. Il silenzio. Nessuno in galleria fino al giorno che si smonta. Fine.
Eppure ogni tanto ci sarebbe tanto bisogno di vita. Bisogno di gente. Di persone normali.
Di giovani. Di inesperti. Di ignoranti. Di esseri umani punto.
A Palazzo Reale Giovanni Curatola orchestra una straordinaria esposizione di Arte Islamica. Però poi né l’Editore, né il Comune, nessuno pensa che con le decine di migliaia di islamici che vivono a Milano, questa sarebbe una splendida occasione per coinvolgerli e condividere con loro nozioni ed emozioni che renderebbero loro, ma anche noi, giustamente orgogliosi e umanamente più vicini.
Idem a Genova : una irripetibile mostra di capolavori di Arti Africane – Africa, la vera grande madre di ogni civiltà – e nessuno
pensa di invitare, di coinvolgere, di chiamare a vivere questi capolavori le decine di migliaia di africani che vivono in Liguria.
E adesso a Milano, ma solo per pochi giorni ancora : in capo al mondo, certo, perché Ripa di Porta Ticinese 113
è ormai quasi campagna, la mostra di un artista – Andrea Martinelli – che per chi non lo conosce sarebbe emozionante
come deve esserlo stato per i popolani di Roma che si affollavano curiosi la scoperta di Caravaggio.
Eppure di questa mostra nessuno sa, nessuno parla.
Sì, certo, ci sono stati gli inviti ai soliti noti, le mail ‘save the date’, le news per gli addetti ai lavori prima e dopo il vernissage.
Ma non ho visto manifesti in Piazza Duomo, locandine a Palazzo Reale, al Museo del ‘900 o al PAC.
Non ho visto inviti per gli studenti di tutte le scuole di Belle Arti a Milano, a partire da Brera.
Così come si fanno autobus per gli spettacoli dell’Arena di Verona, perché non organizzare
autobus per l’altrettanto spettacolare incontro con i personaggi di Andrea Martinelli ?
Anzi, c’è già il tram. Immagina il tram numero 2 – che passa per piazza Cordusio.. piazza Duomo .. via Torino
e ferma poi proprio davanti all’ingresso della mostra – con i personaggi di Andrea Martinelli (normali economici adesivi)
che dai finestrini guardano i passanti e li invitano al dialogo. E chi dimostra di aver visitato la mostra, ha gratis il ritorno.
Perché no ? Perché la casta non ci pensa mai ?
Sì, vabbè … ma chi ci andrebbe ?
Chi ci andrebbe ?!? Chiunque ci vada, colto, ignorante, lavoratore o sfaccendato, pensionato o giovanissimo,
persino chi ogni giorno da sempre sale e scende dai treni dei pendolari della Stazione di Porta Genova,
chiunque avrebbe occasione di una intensa – e gratuita – esperienza di vita ed arricchimento di sé.
Perché la casta impura se le vuole tenere solo per sé
queste grandi straordinarie irripetibili (chiude il 29 luglio) occasioni di vita ?
Graziella Marchi mi legge, però non mi scrive. Perciò ‘posto’ io il suo penetrante commento :
forse il riferimento ad Antonio Lopez Garcia non è poi così puntuale.
E’ vero che è Andrea Martinelli stesso nel delicato e pudico ritratto filmato di Elisabetta Sgarbi con Edoardo Nesi –
è vero che è proprio lui a citare come gli artisti che lo hanno in qualche modo formato solo due nomi :
Lucian Freud e Antonio Lopez Garcia.
E’ anche vero però, suggerisce Graziella, che pur nell’apparente empatia tra le immagini di Andrea e quelle di Antonio,
si percepisce – a pelle più che con il cervello – una profonda differenza.
Forse l’inevitabile differenza che passa tra il vivere in una metropoli come Madrid e in un casale della campagna toscana.
C’è qualcosa di più universale ed astratto in Antonio, qualcosa di più carnale e vernacolare in Andrea.
Non è questione di più o meno verità. Non è questione, almeno per me,
di tecnica pittorica (di entrambi però amo soprattutto i disegni) più o meno legata alla fotografia.
E’ qualcosa di più impalpabile e però percettibile.
Qualcosa che mi piacerebbe tanto qualcuno mi aiutasse a capire e condividere.