caro Cesare
ti ringrazio perché il tuo personalissimo Festival di necrologi, mi ha suggerito una brillante appendice ad un mio scritto.
Anni fa proponendo 9.439 consigli di creatività (e di vita) ai miei giovani amici, il numero 105 diceva :
Gioca con la grammatica.
Sconvolgendo una frase, a volte nascono idee, dalle idee nascono i film.
Guarda che straordinario colpo di scena si può ottenere semplicemente giocando con il soggetto di un verbo.
Francia, ‘700, un salotto molto chic. Si parla di un famoso seduttore, il Maresciallo de Richelieu.
Dicono le malelingue : sì, ha corteggiato molte donne,
però non ne ha mai veramente posseduta nessuna.
Insomma, tanto fumo, poco arrosto.
“Non ne ha mai posseduta nessuna ?!? – interviene una raffinatissima dama.
Si fa presto a dirlo. Io conosco una donna per la quale lui
ha percorso trecento chilometri nella notte..
la buttò sul letto con una violenza incredibile
e ci siamo rimasti tre giorni.”.
Ed ecco l’appendice di cui sono riconoscente alla geniale Marina Poletti
Gioca con la grammatica. Guarda che straordinario ritratto della vita intera di un uomo
si ottiene con un fulmineo passaggio da singolare a plurale.
Un abusato modo di dire – “un uomo tutto casa e famiglia” –
diventa lo splendido irriverente necrologio di un simpatico libertino :
“ Un uomo tutto case e famiglie”.
Per le imperscrutabili coincidenze di cui per fortuna ci fa dono il Caso, scopro proprio ora
che il Marechal de Richelieu di cui parlo nella parte iniziale di questo testo
era per davvero proprio lui “un uomo tutto case e famiglie”. Case e famiglie non sue però.
Ecco il suo necrologio : Louis-François-Armand Duplessis, duc de Richelieu et de Fronsac, prince de Mortagne, marquis du Pont-Courlay, comte de Cosnac, baron de Barbezieux, baron de Cozes et baron de Saujon pair et premier maréchal de France, chevalier des ordres du roi, connétable, premier gentilhomme de la Chambre de Sa Majesté, son lieutenant général, gouverneur de la Haute et Basse Guyenne, noble génois, l’un des XL de l’Académie française, âgé de plus de 92 ans, décédé rue Neuve-Saint-Augustin, présenté à Saint-Roch et transporté à la Sorbonne.
Dans Chroniques de la Régence, Alexandre Dumas en dresse un portrait sur plusieurs pages.
Il raconte aussi combien les aristocrates féminines le considéraient comme “leur chose” :
“Quoi qu’il en fût de la cause de cette arrestation, le fait n’en était pas moins un grand événement pour les femmes ;
le duc de Richelieu semblait être leur chose à elle :
en leur prenant le duc, on leur prenait un bien qui leur appartenait”.
Scopro anche una divertente appendice, che non riesco però a tradurre elegantemente in italiano.
Il simpatico Duca all’età di 84 anni sposa in terze nozze una avvenente signora, più giovane di lui però di quasi 40 anni.
Un nipote irriverente chiede al Duca come se la cava con l’assai più giovane sposina e …
Le 13 février 1780, à 84 ans, il se marie avec Jeanne de Lavaulx (1734-1815), sa cadette de 38 ans.
On lui prête à cette occasion cette réponse à un de ses neveux qui lui demandait
comment « il s’en sortait » avec cette presque jeune épouse :
“Ah, mon ami, justement, cela ne sort plus !”.
Corsi e ricorsi storici….personaggi potenti e gonnelle. Un connubio mai cambiato. Casanova e Richelieu accomunati dalla stessa passione…..le famiglie non proprie. In fin dei conti è sbagliato? Non direi, prendevano gli onori e lasciavano gli oneri, come si dice a Venezia, ai…..bechi!!!!
Grazie, Federico. Ironico, brillante, degno di te.
Per chi non lo conoscesse, Federico è un affascinante libraio (non lo dico io, lo sottolinea ‘la mia signora’)
che merita andare a conoscere a Venezia se ci si trova dalle parti di Campo san Barnaba e del mitico barcone dei fratelli frutaroli.
Di lui ho scritto su TripAdvisor così :
Per anni ho frequentato Calle Lunga san Barnaba perché proprio lì, alla “Furatola”, cucinava Bruno,
senza dubbio il miglior cuoco di pesce incontrato in mezzo secolo di viaggi in tutto il mondo.
Poi, spenti i suoi fuochi Bruno, ho continuato a frequentare la Calle perché il Nono Colussi ancora oggi crea, insieme alla bella nevoda,
dei galani così leggeri che hai sempre paura che ti volino via di tra le dita e scompaiano in cielo.
Ma oggi, anche se Bruno non cucina più e il Nono per farti i galani aspetta il Carnevale del prossimo anno,
Calle Lunga san Barnaba è un appuntamento da non perdere, non più per la gola, ma per l’anima.
La Libreria “Segni nel Tempo” è un caldo confortevole salottino dove puoi parlare di libri e di altro,
con l’eleganza ed il sottile piacere che si doveva provare in un salotto parigino del ‘700.
Certo Federico magari preferirebbe che si parlasse un po’ meno e si acquistasse un po’ di più.
Ma la sua classe è tale che non lo rivelerebbe mai nemmeno sotto tortura. E, se un po’ lo conosco, non lo pensa nemmeno.
E’ lo “sperando in un commento”…. che non va, caro Franco.
Tu documentatamente sei anche una persona che si diverte a tradurre in parole pensieri.
Non lo fai sperando che qualcuno legga le tue parole e poi le commenti : lo fai per tuo piacere e, penso, senza fine di lucro.
Un po’ Narciso certo lo sei, ma questo non conta visto che sei un uomo elegante ….
Cara Nella, grazie per il tuo commento.
Non mi sento Narciso, Zenone piuttosto o Epicuro.
Cerco di rispondere al tuo affettuoso rimprovero.
Non dovrei, lo so, sperare in un commento.
E invece ci spero. Ci spero tanto. Ecco perché:
Non credo in un’altra vita dopo questa. E in questa sono già verso il tramonto. In questa vita non ho un passato
(nonni, genitori, zii e amici carissimi sono, come dicono gli Alpini, già “andati avanti”).
Inoltre Alzheimer o demenza senile incombenti possono rubarmi in un attimo il capitale prezioso dei ricordi.
Non ho futuro : alla mia età si programma a giorni, in attimi di euforia si programma magari ad anni,
ma sempre con la premessa che siano “giorni di salute” o quantomeno di “sopportabile malattia”.
Non ho passato garantito, non ho futuro probabile, ho solo un presente
che cerco di vivere il più intensamente possibile e godendone insieme a Giovanna (perché da solo non godo) ogni singolo minuto.
Cosa mi fa godere, a parte l’amore burrascoso di Giovanna e la bellezza in generale, quella di Venezia in particolare ?
Ascoltare.
Mi piace ascoltare.
Anni fa inviai ad amici e persone care questo augurio :
Qualcuno
un giorno chiese
a Madre Teresa di Calcutta.
“Quando prega Dio, cosa dice ?”
Lei rispose :
“Non dico nulla. Ascolto”.
L’altro allora insistette :
“E Dio cosa le dice ?”
Lei rispose :
“Non dice nulla. Ascolta”.
.. se ascolta Lui, io auguro a te di ascoltare e vedere, odorare, toccare e pensare solo cose belle in tutto il Nuovo Anno.
Ecco perché parlo. Parlo per tacere. Per ascoltare.
Ecco perché scrivo. Scrivo per leggere : per leggere le risposte di chi mi legge.
Ecco perché chiedo di commentare : perché il mio scrivere è soltanto il patetico tentativo di chi in montagna grida.
Non grida per sentire la propria voce: grida per sentire l’eco, una risposta.
Ascolto un libro, una poesia, un articolo, un film, una musica, ma anche un dipinto o una scultura, un’architettura o un paesaggio.
Però è quasi sempre un ascolto silenzioso. Non è ancora un dialogo.
Ascolto, ma non parlo.
E allora parlo per poi ascoltare; scrivo di argomenti che mi interessano per poter poi ascoltare chi mi legge.
E poi magari commentare io il suo commento, e ascoltare ancora e così via.
Scrivo in questo modo un po’ infantile, irriverente e provocatorio proprio perché
vorrei stimolare (pro-vocare, appunto) la reazione di qualche lettore e finalmente ascoltare.
Cerco di essere sempre non serioso, cerco di essere sorprendente, se possibile divertente e (spero) molto autoironico.
Demolisco i preziosi netsuke propri agli amanti di queste sculture in miniatura … propongo Arcimboldo e Einstein come nati in Cina …
mi emoziono alla quotidiana magia di Venezia mentre tutti, i veneziani per primi, la vedono decaduta e agonizzante …
Scrivo e spero in un commento. Anche a queste righe. Proprio a queste righe.
Ho letto tutto di un fiato quello che hai scritto e sono adesso senza respiro. Non fraintendere, non esaltarti, non esagerare… senza respiro fisicamente.
Non so perchè ma non mi hai lasciato tregua. Ti basta? No, non ti basta. Allora: resto della mia idea che tu Narciso un po’ lo sei, o è quello che mi comunichi. Altre vicinanze non vedo certo per ignoranza non avendo troppo approfondito nel tempo. Ma anche questi tuoi riferimenti sono un po’ narcisistici. O no?
Il piacere dell’ascolto è grandissimo e su questo restiamo uniti. Per me presuppone la qualità, per te non l’ho capito. E su questo dovresti chiarire.
Credo di essere una buona ascoltatrice, mi ha dato frutti squisiti, non ho l’ansia del confronto, l’immediatezza per instaurare una dialettica all’altezza ma solo il piacere silenzioso e corposo di accogliere parole che danno vita a pensieri congeniali. E non dirmi che tu ascolti comunque gli umani perchè non ci credo. Comunque da parte mia posso ascoltare tutti gli animali dal canto del gallo, al miagolio, l’abbaiare, l’ululare sinistro delle iene, persino il rincorrersi dei topi sopra la testa nell’abbaino che mi fa da soffitto, ma il chiacchiericcio banale degli umani no. Alla prossima.
Che bella, approfondita, seria e terapeutica risposta !
Grazie, Nella.
Visto che sono Narciso (diagnosi confermata qui sopra dalla severa dolcissima Nella qui sopra),
ci sta bene qui questa rivalutazione della figura di Narciso suggerita a Giovanni Conini
dalla visione di “Birdman”, uno dei film più interessanti e coinvolgenti di questi ultimi tempi :
Birdman – Sull’orlo di se stessi
Si affaccia, Narciso. Si sporge sul bordo di un lago per osservare da vicino il suo riflesso. A scuola ho sempre sentito la sua storia già giudicata: per troppo amore di se stesso, per vanità, per narcisismo – geni! Molti capelli fa non mi ponevo domande sui possibili moventi di questo osservare senza tregua, compulsivo e ostinato.
Oggi mi dico che osservare in quel modo può far rima con sorvegliare. Il nostro riflesso siamo noi ora, e osservare questo riflesso è come controllare che questo ora non passi, che il presente sia presente. E il presente è sempre presente ma non è mai quello di prima. E non è mai fatto di solo presente. Quindi mi pare che quella che viene spesso definita sterilmente vanità sia in realtà una paura disperata della morte.
Eccoci connessi al lunghissimo e illusorio pianosequenza di Birdman che ci scaraventa in un fiume ininterrotto di presente. La vita controllata ogni secondo perché ci sia. E la conferma del nostro esistere interamente consegnata allo sguardo degli altri.
Si affaccia, Narciso. Si sporge sul bordo del palco e si specchia negli occhi del pubblico, che gli dice che c’è, che è ancora vivo e che è ancora se stesso. Ma questo certificato di esistenza in vita non basta mai perché quando vivi senza passato e futuro ogni presente è tutta la vita. Ogni attimo è sempre. Quindi il consenso e il certificato si rinnovano e scadono nello stesso momento.
I conti si fanno difficili per Birdman, quando nel presente che fluisce si innestano i drammi della memoria: quello che siamo stati e che non siamo più. Quello che abbiamo commesso e che ancora ci perseguita. Quello che non abbiamo mai fatto e che avremmo dovuto o voluto fare. Tutte le ipotesi di noi che sono migliori di noi. Tutte le storie di noi che non sono noi e che non sono qui. E’ un mare di vita ipotetica dal quale emerge una domanda lancinante: quella sulla nostra autenticità. Chi siamo in realtà. Chi siamo veramente. Narciso è ancora così patologico e malato nel guardare se stesso riflesso? E’ davvero solo vanità? Chi osserva con così tanta devozione e assiduità forse sta semplicemente cercando. E se noi siamo per metà nel mondo e per metà nel profondo, sta cercando il senso di buona parte della vita.
Questa ricerca di sé, affannosa, dolorosa, lacerante, dura tutta l’esistenza. I primi sei giorni della Creazione. L’ultimo giorno, Dio si riposa. E il riposo è il fine di tutto quanto creato. Goderselo. Amarlo. Viverlo in pace.
Ma creare è un momento di fertilità estrema che proviene ed è connesso alla morte di quel che c’era prima. E’ possibile solo a condizione di rischiare tutto e per questo Narciso si sporge e si lancia anche dal bordo di un palazzo. Ma non solo.
Si sporge anche sul bordo di uno specchio. Si toglie le bende che lo identificano come malato. Chi si toglie le bende è guarito. Può respirare, tornare a vivere. Le bende sul volto sono tutte le paure che ci impediscono di guardarlo. Narciso scopre se stesso nel suo punto dolente. E solo così poteva andare: nel riflesso di uno specchio che gli conferma che il suo dolore esiste. Che c’è. Che è ancora vivo e ancora qui.
Solo qualche passo, e Narciso si sporge sul bordo di una finestra. Spicca il volo che lo porterà a se stesso, Birdman si riunisce al suo archetipo nell’ultimo volo. Ma il miracolo non è quello: il miracolo è negli occhi della figlia. Entra e non lo trova nella sua camera, come le donne che vanno al sepolcro non trovano Cristo e gli viene detto: perché lo cercate tra i morti? Perché cercare Birdman tra i malati? Birdman è finalmente se stesso. E allora la figlia – che è tutti noi – attraversa questa stanza e si sporge. Non così tanto come suo padre ma comunque si sporge, inizia a capire e a rifare i movimenti del padre: il rischio che cercare la verità su se stessi comporta sempre. Si sporge e guarda in giù. guarda dove i suoi occhi sono abituati a cercare: l’asfalto, il corpo spiaccicato, sono le cose che si aspetta nel suo mondo logico. Questa è la vita.
Poi lentamente alza lo sguardo e sorride guardando qualcosa nel cielo. Inarritu non ci dice che cosa abbia visto per terra, né cosa abbia visto in cielo. Ma ci dice che sorride, illuminata e radiosa. Ci dice che il suo sguardo subisce un cambiamento profondo. Ora crede. Crede nel settimo giorno del padre, quello del riposo in cui la creazione di noi stessi è compiuta e il presente è davvero presente. Volo puro. Luce pura. Il miracolo non avviene su Birdman, non consiste nel suo volare. Il miracolo è nei nostri occhi che smettono di cercare per terra e si levano sorpresi, folgorati a baciare il cielo. Che naturalmente è lì apposta, a specchiarsi in noi.
Più sopra suggerivo : gioca con la grammatica. Guarda che straordinario ritratto della vita intera di un uomo
si ottiene con un fulmineo passaggio da singolare a plurale.
Ed ecco un altro brillante esempio di stravolgimento grammaticale.
Sembra un errore, diventa la geniale sintesi di una storia, il fedele ritratto di un personaggio :
“Nessuno siamo perfetti”.
Bellissimo. E’ il titolo di un film di Giancarlo Soldi che racconta la storia e disegna il ritratto di Tiziano Sclavi, il creatore di Dylan Dog.
La citazione completa sarebbe : “Nessuno siamo perfetti. Ognuno ci abbiamo i suoi difetti”. Ma è più bella da sola.
In queste ore trovo alle stesse vette di geniale creatività solo quest’altra frase :
Ragazzi, siamo mica qui ad asciugare gli scogli !
Al confronto di chi si affanna, onda dopo onda, ad asciugare premurosamente gli scogli,
Sisifo che spinge il suo masso fino in cima alla montagna e ogni volta gli rotola giù, impallidisce di invidia.
O perlomeno il greco antico riconosce la genialità del politico contemporaneo.
Quando un verbo al condizionale dice molto di più di un intero trattato di antropologia.
Londra. Un giornalista intervista il Mahatma Gandhi :
Che cosa pensa della civiltà occidentale ?
Gandhi, con un imperscrutabile sorriso :
Penso che sarebbe un’ottima idea.
Folgorante esempio di stile laconico :
Filippo, re di Macedonia, agli Spartani :
Se invado la Laconia, vi distruggo.
Gli Spartani a Filippo :
Se.
A pagina 70 di un libro che leggo con straordinario piacere riga dopo riga :
Nicola Gardini “Lacuna. Saggio sul non detto”. Einaudi 2014