Non parlo, non leggo e non scrivo il cinese.
Per trattare le diverse opzioni, esistenti in cinese e possibili in italiano, per il nome di un “Hufu”
mi limito perciò a riportare le notizie trovate in Rete.
Soprattutto nel testo di James Peirce :
http://kongming.net/novel/symbols_of_authority/
si ricavano questi diversi nomi cinesi :
Fu 符,
Hufu 虎符(Tiger Tally),
Jie 節,
Zhijie 持節,
Fujie 符节
Ho voluto trovare un’accettabile traduzione italiana.
Le possibilità di traduzione ruotano tutte attorno al concetto di “contrassegno”,
cioè qualcosa che, unito a qualcos’altro, serve ad identificare una persona.
Non è tanto il talloncino o il gettone che ci danno al guardaroba di un teatro o di un ristorante,
quanto piuttosto la metà di un oggetto che solo incontrando l’altra metà dello stesso oggetto identifica il portatore.
Tra le varie possibilità : contromarca / contrassegno / tessera / gettone / talloncino / pass / carta d’identità /
contrassegno a incastro / prova di identità / identità a incastro / tacca / tacca a incastro / scultura di identificazione /
tigre di riconoscimento …..
arbitrariamente scelgo per tradurre in italiano il cinese “Hufu”, in inglese “Tiger Tally” :
tigre di identità
Mantengo l’immagine della “tigre” e ci affianco il concetto “di identità”
come strumento indispensabile per qualificare la propria identità.
Una tigre che mi consente di provare chi io sono veramente : la mia tigre di identità
Il Messaggero che portava ordini militari dell’Imperatore ad un Generale ai confini dell’Impero
in tanto veniva accettato come inviato dall’Imperatore in quanto la sua identità veniva riconosciuta
e confermata dal fatto che la sua metà della “Tigre di identità” perfettamente combaciava
con l’altra metà della stessa “Tigre di identità” in possesso del Generale.
Salgari revisited : Le due tigri. Che poi sono una.
(continua)
[...] http://www.francobellino.com/?p=1985#more-1985 [...]
Uno stimolo per l’intelletto: il seguire le tracce della tua ricerca, dei tuoi approfondimenti.
Un ricostituente per l’anima: il prestare attenzione completa a una tematica totalmente “inutile” (!) per le nostre vite quotidiane contemporanee. Quanto spesso, ormai, si ha l’impressione che la gente curi la propria cultura quel tanto che basta a fare buona figura nelle conversazioni. L’arte ha molti risvolti spendibili sotto questo aspetto, ecco perché resiste così bene anche nelle cerchie più banali, le più rappresentative di un contesto legato ai risvolti più materiali dell’esistenza. Sai, l’andare a veder mostre e cose di questo genere… Serve. Appunto.
Invece io scommetto che con l’Hufu hai perfino un bel problema a tirarlo fuori nelle conversioni “normali”. Magari la gente pensa che sei un po’ fulminato. O che vuoi vendergli qualche ammennicolo che hai erroneamente acquistato, e rifarti dei soldi. Ecco, appunto, sempre i soldi.
Certo, ci sono anche conversazioni “vincenti”, con persone dall’occhio di tigre. Con quelle l’Hufu va sicuramente alla grande, una cavalcata indimenticabile. Ma scommetto che persone così sono assai rare. Rare come l’oggetto in questione, così rare che in alcuni casi nemmeno loro lo sanno, di essere Tigri. Come il tuo oggetto, quello nelle tue mani, che forse sa di essere tigre, ma non di essere Hufu.
D’altra parte molta gente deprezza se stessa.
Uno stimolo per l’intelletto, si diceva, un ricostituente per l’anima, si è spiegato… Ma anche e soprattutto un pasto nutriente per la creatività! Ecco il terzo regalo che mi prendo dal tuo libro digitalmente (s)composto. E in particolar modo da questo capitolo, molto più virtuoso, in fatto di sintesi, del mio stesso commento!
La “tigre d’identità” è un’immagine letteralmente “bestiale”, nel senso più nobile e ricco del termine. Rievoca tempi lontani, liberi dal controllo cui siamo sottoposti oggi. Niente schede anagrafiche, niente documenti. Niente localizzatoti satellitari, niente tracce, niente numeri. Codici, cifre, bolli. Libera da tutte queste fuorvianti e limitanti descrizioni, l’identità dell’uomo era assai più vicina alla sua vera essenza: troppo grande per essere ridotta a un qualsiasi numero, troppo densa per essere concepita con la sola logica razionale. Talmente umana da potersi riverberare al di fuori dell’uomo stesso: in pensieri, opere (d’arte)… animali! Simboli, archetipi, ognuno portatore di specifiche e potenti qualità.
Ecco dunque che la tigre – o il gabbiano, o il serpente – possono definirmi molto più della mia professione, nazionalità, altezza. Il riconoscimento non passa attraverso una fredda analisi di dati, non ci sono prove scritte. Solo un “marchio”, un segno distintivo (un’intuizione!), mi daranno la certezza che il mio interlocutore è quello giusto.
“Lampi di tigre nel tuo sguardo. Eccoti finalmente, ti stavo aspettando”.
La Tigre di Identità, genera “Lampi di Tigre”. Che risplendente dialogo. Oserei dire, adottando una dimensione, quella cinefila, cara al Bellino, che si tratta del buon vecchio “shining” di kubrickiana memoria. Alpiù io lo chiamo così, lo sguardo intelligente di quella rara gente. Portano negli occhi, specchio dell’anima, il proprio Hufu, il marchio della vastità e dell’atomo, riuniti in un unico sfavillante attimo. Finestre sull’immensità. O come dice il poeta (Mogol): “…e respirando brezze che dilagano su terre senza limiti e confini, ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini, e più in alto e più in là, ora figli dell’immensità.”
Complimenti, Stefania e complimenti, Paoletto. E grazie per la vostra generosità di lettori e co-autori.
.. io per scrivere quattro righe così profonde e centrate ci metterei due giorni e comunque non ci riuscirei.
Ma non è l’età : non ci sarei mai riuscito neanche prima.
Comunque anche leggendovi, applico il detto del saggio : ” .. e invecchio molte cose imparando”.
Bella Stefania, parole sacre sulla perdita della nostra identità vs la tigre d’identità.
Mi viene spontaneo un parallelo con i miei vecchietti
seguiti qui a Milton Keynes, dove localizzatori, sensori ambientali, orologi intelligenti e oscillometri
tracciano la loro giornata con una precisione disarmante, rincorrono
e scoprono le loro abitudini più segrete con una risoluzione temporale di pochi secondi,
ci fanno capire se hanno fatto i giochi intelligenti o se hanno marinato i compiti assegnati…….
salvo che quando li dobbiamo chiamare, per i problemi della privacy ed il trattamento dei dati sensibili,
li anonimizziamo in G1-A014, e così la loro non identità gira per il mondo alla velocità delle fibre ottiche.
Hai dei sensibili lettori, bravo Franco, continua così.
Oberdan