Un giorno in un catalogo d’asta in Rete vedo questa foto :
La scheda dice solamente “Antico animale fantastico in bronzo niellato”.
Non dice le dimensioni dell’oggetto, non azzarda una datazione, non suggerisce
una possibile funzione dell’oggetto.
Però mi colpisce un dettaglio : il corpo dell’animale è diviso a metà per tutta
la sua lunghezza. Questo particolare mi ricorda un oggetto visto molti mesi fa :
Allora quell’oggetto mi affascinò perché, da uomo di comunicazione, scoprivo
un antichissimo strumento di comunicazione : una scultura con scopi non solo estetici
e di gratificazione sensoriale e visiva, ma anche con una sua precisa funzione.
Come la forcola del gondoliere veneziano.
Questa minuscola scultura serviva infatti come segno di riconoscimento quando
l’Imperatore della Cina doveva spedire un messaggio ad uno dei suoi Generali lontano migliaia di chilometri. Prima che il Generale partisse per la sua missione, l’Imperatore gli aveva consegnato la metà di una piccola scultura di bronzo, spesso a forma di tigre. Il Messaggero che mesi e a volte anni dopo arrivava dal Generale con gli ordini dell’Imperatore doveva portare con sé la metà della tigre che era rimasta nelle mani dell’Imperatore.
Soltanto se le due metà della piccola scultura coincidevano perfettamente, nella forma, nel colore, nella patina, negli incastri e nelle scritte incise sul dorso, soltanto allora il Messaggero era riconosciuto come attendibile e gli ordini dell’Imperatore venivano eseguiti.
Il nome di questa scultura è “Hufu”, che significa “contrassegno a forma di tigre”
e quindi nella letteratura internazionale “Tiger Tally”.
Hufu 虎符
L’ Antico animale fantastico in asta secondo me potrebbe essere proprio un “Hufu”.
Telefono alla Casa d’Asta per sapere se, come dalla foto si intravvede, l’oggetto è veramente diviso a metà per tutta la sua lunghezza.
Molto gentilmente me lo confermano : sì, è effettivamente composto da due metà.
Però la cifra richiesta è troppo bassa perché possa essere veramente quello che io penso che sia.
Un oggetto simile è stato valutato anni fa 3-4 mila Euro, poi però lo hanno venduto a 12.000 Euro.
Un altro lo hanno venduto a 27.500 Euro.
Mi dico : qui forse fanno una valutazione bassa per invogliare le offerte.
O, più probabile, la valutazione è così bassa perché di fatto l’oggetto non vale niente.
Però non lo hanno classificato per quello che secondo me è.
Se sanno che cosa è, perché non dirlo per invogliare le offerte ?
Vuoi dire che non hanno capito che cosa è ?
Faccio un ‘offerta minimissima.
Non posso dire quanto perché non è mai elegante parlare di soldi.
Come dice il Duca “un gentiluomo dilapida i suoi soldi, ma non parla dei suoi soldi”.
Poi mi dico : qualcuno se ne accorgerà e asfalterà la mia modesta offerta.
E invece no : passano i giorni, arriva il giorno dell’asta e la mia offerta rimane non soltanto la più alta, ma addirittura l’unica.
Nessuno l’ha voluto questo povero “antico animale fantastico in bronzo niellato”. E’ mio.
Quanto l’ho pagato ? Davvero poco per quello che è, se è quello che sembra.
Quando arriva qui a casa sembra proprio che sia quello che sembra. Vedendolo da vicino e maneggiandolo con rispetto e con amore,
mi piace ancora di più rispetto all’unica foto che avevo visto. Da quel giorno dedico settimane a studiarlo.
Mi rende felice pensare che io sono stato l’unico in un’asta di centinaia di collezionisti ed esperti a capire che cosa è questo oggetto.
L’unico a cavalcare questa tigre.
Per essere onesto so cosa potrebbe essere, ma non so se lo è veramente.
E non so se è davvero antico come dovrebbe essere.
Certo, potrebbe anche essere stato fatto con uno stampino l’anno scorso e poi sapientemente “antichizzato”,
arte quella di invecchiare gli oggetti che i Cinesi ben conoscono da più di tremila anni.
Proprio modernissimo però il mio “Hufu” non dovrebbe essere perché viene dalla collezione di un signore
che ha vissuto a lungo in Cina negli anni ’70 e ha fatto più di 60 viaggi in Cina.
Proprio modernissimo non dovrebbe essere perché, sebbene giudicandolo solo dalle foto, due grandi specialisti internazionali
mi hanno detto che per loro è ‘buono’ e soprattutto perché Michel dopo una lunga, attenta e severa analisi con lente di ingrandimento,
pur spinto da me a dichiararlo ‘moderno’, ha preferito contraddirmi e dichiararlo ‘antico’.
Di fatto il mio “Hufu” non vale nemmeno 120 Euro, fino a che non trovo qualcuno disposto a darmi 120 Euro per averlo.
Però che sia veramente antico o no, che valga veramente 120 o 12.000 Euro non mi interessa più di tanto.
In realtà io non lo venderei nemmeno per 12.000 Euro.
Mi interessa aver scoperto che cosa questo oggetto significa e come veniva utilizzato.
E adesso mi dedico a studiarlo e gli dedicherò i prossimi post, che separo da questo perché ho ben imparato quanto una lunghezza
appena superiore alle due schermate abbia effetto deterrente sul potenziale Lettore. Qui mi fermo, ma non mi fermo : ne scriverò ancora.
Che uso aveva l’oggetto, che forme ha assunto nei secoli, chi ne ha scritto, i suoi legami con la Grecia di Platone e con la Sicilia delle tacche.
Informazioni ed emozioni : tutti i messaggi che mi comunica questo antichissimo (forse) strumento di comunicazione.
continua qui >>> http://www.francobellino.com/?p=2011#more-2011
Più sopra forse ho esagerato quando ho scritto :
“In realtà io non lo venderei nemmeno per 12.000 Euro”.
Se qualcuno davvero mi offre 12.000 Euro …
Sono commosso dalla bellezza di tutta la storia, che già di per sé dona valore a questo oggetto da adesso in poi. Semplicemente perché è passato dalle tue mani e dai tuoi occhi.
Se fosse nelle mie, di mani, credo lo terrei nella libreria che sta accanto alla nostra tavola. Presente e visibile. E no, non credo che indagherei la sua epoca. Perché la sua epoca è questa, è ogni volta. Quello a cui mi rimanda è l’esigenza dell’uomo di discernere i buoni messaggeri dai cattivi. Siamo generali di noi stessi e riceviamo ogni minuto messaggi diversi. Da fuori e da dentro. Sinceri e mendaci. Autentici e fedifraghi. La nostra metà della tigre è la nostra parte di identità. E’ già in mano nostra. E’ quello che siamo, quello che ci è stato dato in dono dall’Imperatore per essere quello che siamo e per rimanere in contatto con lui. Rimanere in contatto con lui. Non perderci. Non disperderci. Tra tutti i messaggi che ti arrivano sappi cosa sei, confrontali con ciò che la tua vita semplicemente è. Il tuo pezzo della tigre. E avrai la strada. Mi sembra che già così questo pezzo che hai acquistato valga un’enormità. E mi sembra fin troppo evidente che nel nostro tempo nessuno abbia fatto offerte per averlo. Come al solito grandioso il tuo viaggio. ti abbraccio. gio.
Grazie, Giovanni.
Un commento così sensibile e un pensiero così profondo dimostrano la tua grande generosità.
Le tue parole giustificano tutto il tempo e le energie che ho dedicato a studiare le due tigri, che poi sono una.
Farò tesoro del tuo suggerimento e non so fare di meglio che ricopiarlo parola per parola
sperando che così diventi veramente per me pratica quotidiana di vita :
“Sono commosso dalla bellezza di tutta la storia, che già di per sé dona valore a questo oggetto da adesso in poi. …
E no, non credo che indagherei la sua epoca. Perché la sua epoca è questa, è ogni volta.
Quello a cui mi rimanda è l’esigenza dell’uomo di discernere i buoni messaggeri dai cattivi.
Siamo generali di noi stessi e riceviamo ogni minuto messaggi diversi.
Da fuori e da dentro. Sinceri e mendaci. Autentici e fedifraghi.
La nostra metà della tigre è la nostra parte di identità. E’ già in mano nostra.
E’ quello che siamo, quello che ci è stato dato in dono dall’Imperatore
per essere quello che siamo e per rimanere in contatto con lui.
Rimanere in contatto con lui. Non perderci. Non disperderci.
Tra tutti i messaggi che ti arrivano sappi cosa sei,
confrontali con ciò che la tua vita semplicemente è. Il tuo pezzo della tigre.
E avrai la strada.”
E’ vero : avremo la strada per un viaggio nel profondo di noi stessi.
Da Giovanni, il più saggio dei milanesi, a Solone, il più saggio degli ateniesi,
che ci regala la più bella, la più ottimistica definizione mai data di una vecchiaia felice:
«E invecchio, sempre molte cose imparando» (gerasko, d’aiei polla didaskomenos).
E’ curioso e bizzarro come il tempo si dilati nelle due dimensioni, passato e futuro, avendo il presente come momento di valutazione e di giudizio. Da ricercatore, cerco nella novità, nell’innovazione il momento al presente per l’unicità della scoperta destinata al futuro, alla fine la mia gratificazione per la scelta scientifica fatta. Da. esperto d’arte, tu cerchi nel passato l’intuizione del presente che ti permetta di cogliere l’unicità della scoperta, non colta da altri, la tua propria gratificazione per l’intuito e la conoscenza del passato. Per entrambi, il valore pecuniario della “scoperta” è marginale e estraneo alle motivazioni che hanno acceso l’interesse per futuro e passato, rispettivamente. Conta la conferma della previsione, quella tigre divisa a metà era lo strumento che autentificava una missiva, una password che certificava la veridicità dell’informazione. Hai dato contenuto storico e valore ad un oggetto negletto da tanti altri esperti e collezionisti al momento dell’asta. Come la pietra d’angolo scartata dagli architetti. Questa è la vera scoperta, il contenuto dell’oggetto, come tu hai scritto. Facendo questo, hai inconsciamente dilatato il tempo, ponendo un oggetto del passato all’interesse del presente, e alle tue aspettative per il futuro. Questa dilatazione del tempo, come ti ho già detto, è viatico ad un invecchiamento sano e attivo, quindi un investimento sicuro per il tuo futuro. Tradotto con le parole di Solone: «E invecchio, sempre molte cose imparando» Ma anche, con sana filosofia conquistata con l’invecchiamento: Finché c’è passione c’è vita….Oberdan
Ma poi ripensandoci mi colpisce anche un altro aspetto. Cioè penso a quel generale che rimane al fronte per anni con questo pezzo di metallo da qualche parte. In realtà è l’elemento portante per il suo contatto con il suo principio, con il Re. Tutti noi probabilmente ne abbiamo uno. Però che vuoi, nel giorno per giorno questo famoso Re poi alla fine non lo vedi mai. Sì ti ha dato quell’oggetto di metallo ma in realtà è molto teorico, perché poi il Re non ci scrive mai, non abbiamo mai una occasione in cui dire: eccolo qua, sono io. E’ per me.
E quindi magari non lo metti proprio dove ci sono gli oggetti che usi sempre. cosa fai: lo metti nella credenza tra lo zucchero e il sale così ogni volta che li prendi devi spostare tutto e fare attenzione? No, lo metti in un posto sicuro, segreto, che non si apre mai. E qui sta il punto. che non si apre mai. Con il fatto che poi succedono diverse cose.
La prima è che se il Re arriva non sei pronto. Cioè, devi far aspettare il messaggero e andare a prendere il pezzo di metallo.
La seconda è che non ti ricordi più dove l’hai messo. L’avevi nascosto così bene… già: lo nascondiamo così bene il nostro rapporto con quello che siamo… che alla fine non sappiamo proprio più dove ci siamo messi, dove abbiamo nascosto il cuore.
La terza è che… non ti ricordi nemmeno più che ti fosse mai stato dato.
Sicuro sicuro che dovevi venire da me? Mezza tigre? Mai sentita nominare. Non so. Non so nemmeno dove cercare perché francamente non so dove potrebbe venire in mente di metterla mezza tigre. Che bizzarria.
E riusciamo finalmente nell’impresa di dimenticarci finalmente chi siamo.
Penso che in parte sia una mossa data dalla sfiducia. Cioè: se non aspetto niente non posso essere deluso dal suo non arrivo. Abbiamo tenuto così tanto quel pezzo di metallo in mano… ci avevano promesso che un giorno… poi i giorni sono passati e magari ci siamo sentiti anche un po’ ridicoli per averci creduto. E lo buttiamo via. E se compare l’altra mezza tigre buttiamo anche quella.
Forse il senso di questo dono, di questa mezza tigre è anche altro. Ricordati di chi sei. Sempre. E ricordati che sei un’attesa di compimento. Ogni secondo sei attesa di compimento. Ogni momento speranza. Ogni battito ricerca di senso e di amore.
Un oggetto potente davvero. Grazie ancora Franco. Mi hai regalato qualche giorno di riflessione bellissimo.
gio
Dopo i commenti così profondi e intensi di Giovanni e di Oberdan, pubblicati qui sopra, mi è giunto, questa volta via mail,
un commento così divertente che, rendendolo anonimo, mi sembrerebbe un peccato non pubblicarlo.
Mi scrive un carissimo amico, irritato forse per il fatto che gli avevo chiesto un parere, come spesso faccio con le persone il cui giudizio molto mi interessa :
… il fatto che non ci siano testi specifici o non si parli molto degli “arriccia baffi” vorrà dire che l’argomento, pur interessante per alcuni aspetti,
non ha un sufficiente interesse culturale, storico, artistico ecc. che coinvolga o che possa coinvolgere il giusto numero di persone.
Questo, naturalmente, non significa che l’oggetto in questione debba cadere nell’oblio, ma non si può neanche riversare sugli amici o quelli che ti leggono,
una piccola curiosità che per caso, navigando a” strascico” sul web, ti è capitato di leggere.
O meglio, lo puoi fare, lascia che però siano gli amici a chiedersi “vediamo cosa ha trovato oggi il Bellino”
e non che sia l’Autore a proporre una sua ricerca che, come avrai appurato, non interessa a nessuno o quasi.
A proposito, secondo me, quel “coso” potrebbe benissimo essere un togli-stivali Han o Warring States,
simile a uno del 1800 in legno, che uso quando vado a caccia.
Con affetto
R
Sono grato a R. per la sua stroncatura al mio povero Hufu, che diventa ‘arriccia-baffi’ o ‘calzastivali per battute di caccia’.
E’ vero : a volte chiedo i commenti di chi mi legge proprio per scoprire punti di vista ai quali da solo non sarei mai arrivato.
Capita a tutti ; quando leggiamo ci piace trovare qualcuno che la pensa come noi.
Però quello che veramente ci arricchisce sono proprio il pensiero e le argomentazioni di chi non la pensa come noi.
Sia Giovanni che Oberdan hanno trovato nel racconto della mia scoperta di un antico (forse) Hufu cinese
lo spunto per riflessioni che arricchiscono non solo il mio scritto, ma la mia stessa visione della vita.
R invece ha colto l’occasione per spingermi ad essere un po’meno ansioso di conoscere il pensiero degli altri sui miei scritti, ma in fondo su di me.
Guarda combinazione è proprio quanto, sia pure con altre parole, mi avevano già suggerito qui sopra sia Giovanni che Oberdan :
…. Quello a cui mi rimanda è l’esigenza dell’uomo di discernere i buoni messaggeri dai cattivi. Siamo generali di noi stessi
e riceviamo ogni minuto messaggi diversi. Da fuori e da dentro. Sinceri e mendaci. Autentici e fedifraghi.
La nostra metà della tigre è la nostra parte di identità. E’ già in mano nostra. E’ quello che siamo,
quello che ci è stato dato in dono dall’Imperatore per essere quello che siamo e per rimanere in contatto con lui.
Rimanere in contatto con lui. Non perderci. Non disperderci. Tra tutti i messaggi che ti arrivano sappi cosa sei,
confrontali con ciò che la tua vita semplicemente è. Il tuo pezzo della tigre. E avrai la strada. Giovanni
Hai dato contenuto storico e valore a un oggetto negletto da tanti altri esperti e collezionisti al momento dell’asta.
Come la pietra d’angolo scartata dagli architetti. Questa è la vera scoperta, il contenuto dell’oggetto, come tu hai scritto.
Facendo questo, hai inconsciamente dilatato il tempo, ponendo un oggetto del passato all’interesse del presente, e alle tue aspettative per il futuro.
Questa dilatazione del tempo, come ti ho già detto, è viatico a un invecchiamento sano e attivo, quindi un investimento sicuro per il tuo futuro.
Tradotto con le parole di Solone: «E invecchio, sempre molte cose imparando».
Ma anche, con sana filosofia conquistata con l’invecchiamento: Finché c’è passione c’è vita…. Oberdan
… Forse il senso di questo dono, di questa mezza tigre è anche altro. Ricordati di chi sei. Sempre.
E ricordati che sei un’attesa di compimento. Ogni secondo sei attesa di compimento.
Ogni momento speranza. Ogni battito ricerca di senso e di amore. Giovanni
Cercherò di seguire il suggerimento di R : cercherò di non chiedere più ai miei Lettori opinioni, suggerimenti, commenti.
Ma continuerò a sperarli e ad apprezzarli con tutto il cuore ☺
Da sempre disprezzo (non esageriamo : non apprezzo) chi scrive usando a piene mani le opportunità che offre oggi il Web
ed il successivo copia-e-incolla, senza aggiungerci mai qualcosa di suo : i suoi pensieri, le sue emozioni, se stesso.
La pratica è assai diffusa, non soltanto tra gli studenti che non sanno godersi la libertà di ricerca e di studio che offrono gli anni universitari
e che per brama di crediti, più o meno meritati, o più spesso per reale necessità di abbreviare i tempi e i costi dello studio,
presentano tesi patch-work, ma anche tra i cosiddetti Esperti di ogni materia.
Questa volta però il mio copia-e-incolla è il migliore omaggio che io possa rendere a Cesare Lanza,
un caro Amico, che non ho mai incontrato, ma che leggo però ogni giorno “alle 5 della sera” (così si chiama la sua preziosa newsletter).
Le parole di Cesare esprimono benissimo il mio pensiero ed il mio stato d’animo su quello
che considero un mio imperdonabile e (Alzheimer permettendo) imperdibile vizio :
Il piacere della spudoratezza.
Molti miei amici mi rimproverano la spudoratezza, in particolare contestano che io mi abbandoni, qui, a rivelazioni o confidenze intime.
Hanno buone ragioni, almeno due: la mancanza di pudore mette in soggezione, spesso, chi legge e chi vede;
e altrettanto spesso si tratta di confidenze che interessano a pochi, pochissimi.
Ciò non ostante, il mio piacere massimo in vecchiaia è stato quello di aver preso, una quindicina di anni fa,
la decisione di dire e scrivere tutto ciò che mi passi per la mente. Ovviamente, mantenendo il rispetto per gli altri:
avrete notato di recente che, anche nel caso dell’affronto subito .. (omissis).. mi sono espresso con gentilezza,
con un po’ di ironia, senza escludere, come d’obbligo, l’autoironia.
Negli ultimi quindici anni però ho anche notato che facevo una certa fatica a dire o scrivere ciò che mi riguardava nell’intimo.
Ad esempio, neanche i miei più cari amici sanno che, come fanno segretamente o no quasi tutti gli italiani, scrivo poesie.
Le regalo e le disperdo, sarebbe una faticaccia assurda raccoglierle, non sarebbe di giovamento, sono certo, a nessuno per qualità letteraria:
spero che valgano qualcosa almeno per le persone, si è trattato sempre e comunque di creature femminili, a cui le ho dedicate.
Come dicevo, ci sono amici – intelligenti e sensibili – che contestano la mia spudoratezza, anche in termini professionali:
a chi possono interessare i miei recessi dell’anima, mescolati in un diario – questo –
che è incentrato soprattutto su argomenti di discussione pubblica? Non so. ….
E aggiungo: dal momento che mi auto-psicanalizzo di continuo (che tormento!) la mia analisi è semplice.
Mi denudo, racconto cose intime non solo per un ego detestabile, ma anche perché in questi ultimi anni
sto cercando di inseguire ciò a cui raramente ho pensato in precedenza nella mia non breve vita…
Al di là delle relazioni e degli impegni personali, cerco di creare rapporti umani, profondi,
con le persone che mi piacciono; e sono anche alla ricerca di stabilirli
con coloro che non conosco, o incontro solo occasionalmente.
Caro Franco Bellino,
è rinfrescante (e infonde ottimismo per il futuro!) il vedere come una persona di grande cultura ed esperienza di vita sappia tuttavia gioire di un’intuizione, accoglierla, sentirne il riverbero nell’emozione e renderla reale. Tirar fuori i propri soldi, per pochi che possano essere, per acquistare ciò che di invisibile c’è dentro un oggetto. Essere sicuro di qualcosa che nessuno potrà forse mai certificare. E non sentire il bisogno di una simile conferma,
L’apertura del cuore ai messaggi dell’invisibile dimostra già un superamento dell’ego, talmente meschino e protagonista da volersi appropriare anche di ciò che di bello fa l’anima per se stessa (e quindi per le altre anime). Mi riferisco con questo all’ultimo commento qui da lei riportato, dove si parla di apertura verso l’esterno della propria interiorità. Io credo non si tratti di esibizionismo o di ricerca di apprezzamento. E se anche fosse, nulla toglierebbe al meraviglioso esempio che viene proposto. Il messaggio non è “leggi qui, perché ciò che io penso è interessante”, ma piuttosto “puoi farlo anche tu, o lettore”… Puoi abbandonare in questo stesso istante la paura del giudizio altrui. Puoi osservare un’opera d’arte e conoscerla molto meglio di quanto qualsiasi catalogo, didascalia o guida possa mai raccontarti.
Puoi anche tu conoscere l’emozione, il brivido irraccontabile, di accarezzare una vera tigre…
Stefania
Grazie, Stefania. Che bel commento !
Già questo da solo mi giustifica nella mia patologia dello scrivermi addosso.
La diagnosi impietosa sarebbe “ipertrofia prosastica”.
Ma poi penso che se le righe che scrivo riescono a suscitare riflessioni così belle come quelle che tu hai appena scritto, allora ne vale la pena.
Grazie di cuore. Grazie, come cantava Gino Paoli, grazie di esistere.
E una curiosità : come mai sei capitata sulla storia della “tigre di identità” ?
Quali misteriosi itinerari ti hanno portato fino a me ?
Caro Franco,
una persona a me molto cara mi ha di recente parlato di te, della tua passione per l’arte e per le gioie della vita, del tuo sguardo nobile sulla realtà, della tua familiarità con la bellezza e le sue manifestazioni. Così, quando mi ha anche riferito del tuo disvelarti in rapidi e preziosi frammenti on line, accessibili a tutti e al tempo stesso invisibili per chi non sappia (proprio come le realtà dello spirito), mi sono subito “messa in ascolto”. E “in contatto”
E fra tutti i tuoi lazzi pindarici, estetici e gioiosamente eruditi, non poteva che colpirmi il misterioso Hufu… sono infatti un amante degli animali, reali e immaginari, nella loro manifestazione simbolica e archetipica.
Inoltre non poteva che colpirmi il raffinato utilizzo traslato dell’espressione esoterico-alchemica “cavalcare la tigre”…
Stefania
[...] http://www.francobellino.com/?p=2017#more-2017 [...]
”E invecchio sempre molte cose imparando” : dopo Solone, un mito dell’antichità,
mi piace aggiungere sullo stesso tema, Valentino, un mito modernissimo e soprattutto velocissimo.
Dice Vale (Repubblica di Domenica 20 Marzo 2016, pagina 61)
parlando della sua Academy, la scuola romagnola per giovani piloti :
“Ci sto bene con i ragazzi. Forse il mio segreto è proprio questo. Loro mi osservano, mi copiano.
Non sanno che io faccio lo stesso con loro. Perché c’è sempre da imparare. Da divertirsi.
C’è ancora tempo per diventare vecchi”.
Dette da un vecchietto che corre da 20 anni, ha conquistato 9 titoli mondiali, corso 330 Gran Premi vincendone 112 …
che ospita in casa sua i giovani e non soltanto li aiuta a crescere, ma li osserva
e se necessario li copia per imparare anche da loro ….
beh sono parole che merita non solo ricordare, ma sforzarsi di vivere.
Il supplizio della pensione per chi ha partecipato ad un lavoro di gruppo per tutta la vita è il forzato allontanamento dai giovani collaboratori,
quelli per i quali dai per il piacere di ricevere. Ma è così difficile da spiegare
ai signori che decidono le nostre “finestre” di uscita dal sistema produttivo?
I giovani tappano le falle dei nostri buchi conoscitivi, perchè il flusso dell’innovazione
passa prima nelle loro fibre nervose, e viene poi trasmesso ai nostri residui neuroni.
Questo si può verificare solo se ci è data la possibilità di rimanere al loro fianco.
Il mito, dell’antichità o dei nostri tempi, sfrutta questa grande capacitanza dei giovani
per attingere da loro la novità, incubarla, potenziarla grazie all’esperienza accumulata per decenni,
e donarla nuovamente in forma elaborata e completa.
Il pensierino del giorno ha un’importante valenza sociale,
la barriera generazionale deve essere abbattuta, nel quotidiano, in famiglia, sul posto di lavoro, nel tempo libero.
Bene che modelli di co-housing vengano sempre più favoriti da amministrazioni illuminate,
bene che il vecchietto mantenga il suo posto di lavoro, se utile al sistema e se lui lo desidera. Grazie e buonanotte