Incontro nella più raffinata galleria antiquaria di Venezia la vice-gallerista in compagnia
di un giovane studioso. Si parla amabilmente di vari argomenti.
Poi, usando il loro computer, mostro sul mio sito alcuni oggetti :
il misterioso “Hufu o Tiger Tally” antenato cinese delle informatiche password e poi
la “Femme Medecin”, pseudo strumento clinico, in realtà scultura erotica cinese di ispirazione cattolica.
Mostro anche, perché per coccolarla la porto spesso con me, una piccola scultura molto divertente
perché rappresenta Krishna Vatapatra Shayee.
Krishna nell’intervallo tra un ciclo cosmico e il successivo, mollemente adagiato su una foglia di ficus
galleggia nell’oceano primordiale e beatamente si succhia l’alluce come a volte fanno anche gli umani piccolissimi.
Di ognuno di questi oggetti la prima cosa che il brillante giovine mi chiede è :
“Di che epoca è ?”.
Due o tre volte gli rispondo “Non lo so”, ma alla fine capisco che forse è il caso di offrire al giovane brillante studioso
il frutto dei miei circa 60 anni di ricerca, collezionismo e studio matto e disperatissimo’ (‘studio matto’ senza dubbio,
ma certo non ‘disperatissimo’ anzi felicissimo e molto molto divertente).
Da sempre ogni civiltà ha previsto e abbondantemente praticato l’imitazione di oggetti più antichi e la conseguente
inevitabile ‘antichizzazione’ dell’oggetto troppo nuovo per sembrare quello che dovrebbe sembrare.
In Cina la pratica è stata per millenni così diffusa che spesso nei cataloghi internazionali d’arte orientale
si legge nella scheda di un oggetto che è “archaistic”.
”Archaistic” significa che non è veramente antico, non è ‘arcaico’ ma in ‘stile arcaico’.
Da noi si dice pudicamente “in stile (segue nome e numero) di qualche Louis, re di Francia”.
Non è nemmeno un falso : è un omaggio.
Si sa, lo sanno tutti : milioni e milioni di persone nei secoli hanno imparato ad imitare e invecchiare
oggetti da loro prodotti per farli sembrare più antichi.
Lo fanno persino le tribù più “selvagge” delle regioni più primitive nelle terre più inesplorate, quelle –
come si diceva una volta – dove la mano dell’uomo non ha mai gettato una cicca di sigaretta.
Perché stupirsi ? Perché scandalizzarsene ?
E’ così, è sempre stato così, sarà sempre così.
Sul fatto che “sarà sempre così” non sono sicuro. Il disinteresse per il passato, per la nostra storia
e per l’antichità è così disperatamente e capillarmente diffuso da chiedersi se davvero anche in futuro
sarà remunerativo produrre oggetti e fingere che siano antichi.
Il falsario ha vissuto epoche d’oro :
Icilio Federico Joni a Siena ha fatto milioni con i suoi splendidi fondi oro.
E prima ancora di lui, autore e poi vittima di questo gusto del falso antico fu lo stesso Michelangelo
con il suo perduto Cupido addormentato che «contrafacendo la maniera antica» stupì tutti coloro che lo videro.
La scultura, oggi perduta, si può forse immaginare in un disegno inviato da Mantova in Inghilterra
o in due dettagli di Tintoretto e Giulio Romano.
Come racconta Vasari nella prima versione della vita dell’artista, il Cupido addormentato del giovane Michelangelo
fu acquistata da un tal Baldassare del Milanese, il quale, invece di tenerlo nella propria collezione,
dopo averlo «portato a Roma e sotterrato in una vigna», lo trasse da lì dinanzi a ignari appassionati,
sicché «tenuto per antico, fu venduto a gran prezzo».
Vittima di questo singolare imbroglio, in quel lontano 1496, fu il cardinale Raffaele Riario
con il quale, poi, lo stesso Michelangelo si dovette scusare, dimostrando la propria estraneità
e scolpendo per lui il Bacco del Bargello.
Questo Bacco, venduto a Jacopo Galli, fu per molto tempo esposto nel cortile della sua casa,
come scultura antica.
Allora, ai tempi di Michelangelo,
nessuno avrebbe mai pagato un’opera d’arte moderna, cioè contemporanea
(anche se di Michelangelo) quello che avrebbe pagato per un’opera antica.
Oggi è esattamente il contrario.
Temo perciò che oggi il falsario antiquario sia una specie in via di definitiva estinzione
per totale scomparsa della relativa domanda. Se nessuno compra più oggetti antichi
perché mai produrre oggetti che sembrano antichi ?
Ecco perciò quanto ho detto ai miei due giovani interlocutori :
“Io la datazione non la azzardo mai.
Anzi, ormai io dato ogni singolo mio pezzo : 2017 o prima.
Così facendo prima di tutto sono assolutamente sicuro di non proporre mai
una datazione più alta di quella reale, qualunque essa sia.
Secondo, chiunque può da solo scoprire che il pezzo ha una datazione più antica di quella da me dichiarata
e quindi valutare ancora di più l’oggetto. Oltre che, inevitabilmente,
considerarmi ancor più rimbambito di quanto io già effettivamente non sia.
Il giovine studioso sembra convinto. Non del mio ragionamento però :
del mio acclarato rimbambimento senile. Incrudelisco :
“Anzi (e qui forse esagero) :
ogni commerciante dovrebbe datare – e di conseguenza prezzare – tutti i suoi oggetti al 2017”.
La giovine molto carina antiquaria mi guarda perplessa. Molto perplessa.
“Prezzare ogni oggetto al 2017 non vuol dire deprezzarlo. Anzi : valutare un qualsiasi oggetto,
persino se veramente di alta epoca e di raffinatissima fattura, come contemporaneo non vuol dire affatto deprezzarlo.
Vuol dire semmai ipervalutarlo. Basta vedere i prezzi che spuntano oggi nel mondo
i capricci e le bizzarrie di Koons e di Hirst.”
Colpo di grazia :
“Datando ogni oggetto al 2017 (data da aggiornarsi ogni prossimo 31 dicembre)
alcuni antiquari si avvicinerebbero forse un poco di più alla verità. Comunque”.
Cala un silenzio imbarazzatissimo.
Sarà bene che per qualche settimana non mi faccia rivedere nella più raffinata galleria antiquaria di Venezia
Absit iniuria verbis.
Ho ricevuto a voce e via sms reprimende piuttosto feroci per avere impudentemente osato scherzare sulla serissima questione della datazione nello studio delle opere d’arte in generale e nel mercato antiquario in particolare.
Pensavo che fosse evidente che io non ho mai avuto minimamente intenzione di mettere in dubbio la professionalità
e la competenza e la serietà e l’adamantina onestà e la connoisseurship di tutti gli antiquari, di quelli che considero amici
e anche di quelli che non conosco.
Proprio per cautelarmi fin dall’inizio, fin dal titolo, ho fatto esplicito riferimento ad un illustre precedente :
la famosa “Modesta proposta per impedire che i bambini irlandesi siano a carico dei loro genitori
o del loro Paese e per renderli utili alla comunità” di Jonathan Swift nel 1729.
La mia modesta proposta di datare ogni oggetto, persino se veramente di alta epoca e di raffinatissima fattura, al 2017
è altrettanto paradossale, provocatoria certo, ma soprattutto affettuosamente ironica ed autoironica
quanto quella di chi ”espone un metodo onesto, facile e poco costoso di trasformare il problema della sovrappopolazione
tra i cattolici irlandesi nella sua stessa soluzione. La proposta dell’autore consiste nell’ingrassare i bambini denutriti
e darli da mangiare ai ricchi proprietari terrieri anglo-irlandesi. Così facendo si risparmierebbe alle famiglie
il costo del nutrimento dei figli fornendo loro una piccola entrata aggiuntiva, si migliorerebbe l’alimentazione dei più ricchi
e si contribuirebbe al benessere economico dell’intera nazione”.
Se a qualcuno è sfuggita questa mia intenzione di complice e affettuosa ironia, la colpa è innegabilmente mia.
Non certo dell’ironia.
Ciao Franco, Sei Un Genio !
Purtroppo anche l’ironia, come l’antiquariato, è in via di estinzione, perfino nelle più raffinate gallerie antiquarie.
Intanto gli esperti che chiedono le datazioni non mi sembrano molto professionali,
mentre le Tue bellissime parole “2015 o prima” sarebbero devastanti per il mercato.
Non ti annoio e chiudo con una frase celebre di cui non ricordo l’ autore.
Un famoso allenatore di rugby ha commentato così una brutta partita:
“Se è vero che il rugby è una religione, oggi ho visto molti atei”.
Buon pomeriggio,
Alberto
Ti sei arrampicato un po troppo sui vetri. Un giorno discutendo sul tema che proponi, un certo Franco Bellino mi disse che cosa importa che sia una replica perfetta o un vero antico esemplare. Se sei nel dubbio l’importante è che tu lo creda vero e sarai soddisfatto, dopotutto hai un 50% di probabilità che lo sia, perciò questo dubbio nel tuo io lo rende antico.
Avevi ragione e io uso questo pensare, nel dubbio meglio ritenere il bicchiere mezzo pieno, cioè che sia più autentico che falso.
Invece la tua nuova filosofia di datarlo convenzionalmente, ti toglie lo stimolo di ricercare continuamente dettagli ed informazioni per stabilire se che quel 50% di dubbio di autenticità possa aumentare e finalmente raggiungere il nirvana col tuo oggetto convinto di avere un pezzo di antichità.
Io ho uno scarabeo egizio (uno dei prodotti più falsificati) ma fatto talmente bene che ogni giorno lo studio per trovare anche un piccolo dettaglio che finalmente mi faccia dire: è autentico !
Ciao, continua a sognare, che ci rimane ?
Volevo rispondere, caro Franco,
al tuo affettuoso e profondo commento
con una bella frase sui sogni.
Ho trovato questo antico proverbio africano,
geniale perché mette in pratica e conclude perfettamente il tuo suggerimento :
Se si sogna da soli, è solo un sogno.
Se si sogna insieme, è la realtà che comincia.
A conferma della diffusa pratica in Cina dell’onestissima ed apertamente dichiarata copia, quindi non “falso”, ma “reverente omaggio”,
non mi vergogno di proporre questo link :
http://www.francobellino.com/?p=1989
dove si dice (in realtà, dove dico) :
Gli Hufu o Tiger Tally ad oggi noti vanno dal 7°secolo avanti Cristo al 2015 dopo Cristo.
Mi allargo spudoratamente in questa forbice di datazione
perché bisogna considerare che la Cina è probabilmente la capitale mondiale dell’arte della copia.
Da sempre la cultura cinese ha considerato la copia una vera forma di arte e di raffinatissimo artigianato.
Già in epoca Ming (1368-1644), ma forse anche prima, i migliori artigiani creavano per la corte imperiale preziose copie di oggetti antichi.
‘In cinese lo stesso ideogramma (xue) significa sia ‘studiare’ che ‘copiare. I due verbi sono assolutamente identici.
Artista eccelso è proprio chi copia alla perfezione e riproduce esattamente l’originale’ (Renata Pisu).
Per questi antichi capolavori di imitazione i più prestigiosi cataloghi internazionali d’arte cinese usano lo stupendo termine “archaistic” :
significa dichiarare onestamente che l’oggetto non è dell’epoca di cui vuole apparire,
ma molto più tardo e creato nello stile “arcaico” dell’epoca che si evoca.
E’ un vero e proprio rispettoso omaggio alla bellezza d’antan.
A Hong Kong per esempio il ‘Middle Kingdom Museum’ presenta una storia vivente della Cina antica con repliche
di antichi palazzi, pagode, templi e scene di vita quotidiana. Repliche contemporanee esposte in un Museo,
mentre gli antiquari locali e le grandi Case d’Asta internazionali, quindi commercianti e non Musei,
propongono sempre più spesso proprio ad Hong Kong per milioni di dollari preziosissimi capolavori originali d’alta epoca cinesi.
Gli “Hufu” o Tiger Tallies furono usati soprattutto nel periodo degli Zhou (1100-221 a.C.) ma in realtà poi
già in epoca Song (970-1269 d.C.) se ne crearono di falsi imitando caratteri antichi ormai non più in uso
e provvedendo poi sapientemente ad ‘antichizzare’ il bronzo.
Ecco perché mi sembra ragionevole proporre questa datazione :
Gli Hufu o Tiger Tally ad oggi noti vanno dal 7°secolo avanti Cristo al 2015 dopo Cristo.
Più che mai sorprendente il Jonathan Swift ispiratore della mia “Modesta proposta” qui sopra.
Nel 1726, nel suo “I viaggi di Gulliver” scrive che gli scienziati del regno di Laputa hanno individuato due satelliti che girano attorno a Marte,
di cui (cito sempre Giulio Giorello su “La Lettura”) specificano con buona approssimazione numerica sia il periodo che la distanza da Giove.
Sorprendente anticipazione questa di Swift dato che i due satelliti di Marte, Deimos e Phobos,
saranno individuati dall’americano Asap Hall solo nel 1877, cioè più di 150 anni dopo !
Tuttavia l’anticipazione di Swift trova anche, sempre sul web, una spiegazione più realistica e purtroppo meno magica :
However, the view of most astronomers is that Swift was simply employing a common argument of the time, that
as the inner planets Venus and Mercury had no satellites, Earth had one and Jupiter had four (known at the time), that Mars by analogy must have two. Furthermore, as they had not yet been discovered, it was reasoned that they must be small and close to Mars.
This would lead Swift to making a roughly accurate estimate of their orbital distances and rotation periods.
In addition Swift could have been helped in his calculations by his friend, the mathematician John Arbuthnot.
Vabbè, anche altri 150 anni prima avrebbero potuto arrivarci.
Però lui ci è arrivato, gli altri no.
Senza alcun riferimento a fatti o persone qui presenti, of course.
Scrive un grande, ma uno veramente grande, così grande che il suo nome è troppo grande per trovare posto qui :
Fresco, sincero, originale e soprattutto pieno di humour.
E pure breve!
Graditissimo.
Abbracci,
J.
Tanti tanti anni fa pubblicai un testo dal titolo “Creare $pot”.
Suggeriva come creare e raccontare storie. Lo chiamano : “storytelling”.
Oggi se lo ripubblicassi metterei un titolo più universale : “Crear$i”.
Sono circa 9.439 consigli per creare se stessi, per vivere creativamente
ed esprimere quell’immenso potenziale creativo che ognuno di noi, nessuno escluso, fin dalla nascita possiede
e che purtroppo famiglia, scuola, società fanno di tutto per castrare ed inibire.
Il consiglio numero 39 diceva appunto, e lo ripubblico qui proprio come omaggio al grande J.
39
Accorcia la tua storia.
Sforzati di mantenerne tutta la forza, riducendone la durata.
Togliere tempo, tagliare, è un lavoro che richiede coraggio,
decisione e soprattutto tempo.
Un genio ha scritto :
“Scusami se questa lettera è così lunga. Ho dovuto scriverla in fretta”.
Taglia, togli e poi, quando arriverai al montaggio, scoprirai che si può tagliare ancora. E la storia ci guadagna !
Sull’importanza della brevità, Goethe :
“Un arcobaleno che sta lì un quarto d’ora nessuno lo guarda più.”
Ho letto una volta su una T-shirt una geniale sintesi di questo invito alla sintesi :
Sarò bre-
Mi scrive un altro grande, che per la delicatezza degli argomenti trattati,
decido senza nessuna sua richiesta, di lasciare anonimo :
Letto Frank !!
E….. che dire ?…. la questione è complessa e delicata.
Per quanto mi riguarda (mobili d’alta epoca) nella mia vita professionale ne ho viste di tutti i colori.
Talvolta ero sicuro delle mie capacità di giudizio e talvolta rimaneva il dubbio.
Ciò vale anche per i miei più illustri colleghi nella perfida Albione !
L’importante è appunto… crederci !
La nostra materia non è scienza pertanto chiunque può dire la sua
e mettere in discussione l’autenticità di un oggetto antico magari già vagliato dai massimi esperti.
TUTTO E’ DISCUTIBILE : è nella natura del nostro mondo (antiquariato) e rimarrà per sempre così
perché (nella maggior parte dei casi) non esiste nessuno strumento (computer etc etc)
che possa sostituirsi all’esperienza/conoscenza/capacità di cogliere taluni aspetti/caratteristiche che ha invece l’uomo.
Happy ??
Un abbraccio
L.
Caro Franco,
mi diverte la tua provocazione più “sur” che “reale”.
Datare un’opera significa collocarla nella storia, risalire alle origini, dare un significato a chi fece quest’opera,
a chi l’ha scoperta e ne gode guardandola, come fai tu.
Avere il senso della storia vuole dire avere il senso della propria identità.
Quindi voler datare un’opera d’arte e darle un valore legato alla sua antichità
è una deformazione della cultura occidentale oppure è sentirla e sentirsi parte della “Storia”?
Nonostante ciò, il bello lo è di per sè stesso, indipendentemente da quando è stato fatto.
Renzo
Ti ringrazio, caro Renzo per le tue parole di commento.
Come ho più volte detto, scrivo proprio soltanto per aprire un dialogo,
per stimolare una reazione, un commento, magari anche una stroncatura.
Tu sei stato uno dei pochissimi a cogliere lo spirito paradossale (o ‘sur-reale’ come dici tu) della mia modesta proposta.
Non voglio convincere, sarei già felice se riesco a divertire.
Ti sono grato.
Franco
Mi sono sempre auto-diagnosticato un “acclarato rimbambimento senile”
con l’evidente sindrome dello “scrivermi addosso”.
Devo però oggi ad Antonio Orrico un ulteriore geniale diagnosi della mia grafomania.
Dopo decine di anni trascorsi a guadagnarmi da vivere centellinando sillabe
in storie (film o testi radio) della durata normale di 15-30 secondi,
con punte eccezionali alla lunghezza faraonica di 60 secondi –
oggi la sfrenata libertà concessa da Word Press
mi ha portato ad una incurabile ipertrofia prosastica.
Dall’ipertrofia prostatica alla ipertrofia prosastica ?
Mi consola la più bella e ottimistica definizione mai data di una vecchiaia felice.
E’ di Solone, il più saggio degli Ateniesi :
«Invecchio, sempre molte cose imparando».
E molte più cose dimenticando.
C’est la vie.
Finché dura ☺
Versione internazionale : “21st century or earlier”.
Così non devo più cambiare la datazione per un po’
E’ molto difficile garantire l’autenticità di un oggetto antico cinese.
La specialista di Christie’s Liz Hammer afferma :
“Se tu raduni in una stanza 5 esperti, finirai con 7 diversi pareri”.
Il testo che riporto di Alan S. Walker parla di monete, ma celebra intuito e anni di esperienza visiva e tattile e forse anche sonora e olfattiva :
insomma celebra con sorridenti ironia quella che un tempo si chiamava “connoisseurship”.
Ne vedo poca in giro in questi ultimi anni. Poca tra gli accademici e gli studiosi, poca tra gli antiquari e i compilatori di cataloghi di Case d’aste,
poca, ma più che nelle due precedenti categorie, tra i collezionisti.
One of the things that really experienced and knowledgeable coin dealers do is protect their clients, and the numismatic community as a whole, from the scourge of forgeries – specifically from fakes made to deceive public and private collectors. That’s why so many good dealers, like the members of IAPN, PNG, the BNTA, the SBNV, etc., have serious libraries and spend a remarkable amount of time doing research, checking and rechecking. In this field, hands-on experience is what counts; many specialized dealers have seen infinitely more coins than most scholars have seen (thus the fakes that have occasionally turned up in corpora), and this allows them to have a sense of what is right, and what isn’t. One perfect example took place at Spink’s in London, when I was with two now sadly deceased and much missed dealers, Dimitri Louloukakis and John Pett. This was at the time when I was working on that plague of Parthian silver and gold fakes that came out in the late 1980s. John had a big tray of Parthian drachms of which some, in my opinion, were modern, while the rest were ancient. So, on a whim, I gave Dimitri, who was a tremendous expert in all sorts of modern and medieval coins – but not ancient – the tray, and asked him to divide the coins into those he liked and those he didn’t. After about 15 minutes he had two groups, one entirely real and, the other, entirely fake. For him, the real group was real because the coins looked right and felt right, the other group simply did not. His conclusions, despite knowing nothing about the series, and based solely on more than a generation of experience, were exactly the same as my own, after I had spent months of exhaustive research.
One truly great expert in the fight against forgeries was the late Silvia Hurter, who had an unrivaled eye for style and astoundingly accurate feel for right and wrong. One problem she had was a lack of patience for people who disagreed with her opinions – if they were too thick to see what she saw… Thus, when some more scientifically inclined people suggested that the best way of being sure about fakes was to have metal analyses done, since just looking at a coin was subjective at best…she would just roll her eyes! She also seldom pulled her punches when publishing fakes in the Bulletin on Counterfeits: this made her quite a number of enemies. One European dealer, whose name will not be mentioned, got furious at her (in fact, he heartily hated her – the feeling was actually mutual) because she published a number of coins as fake that had first appeared on his auction catalogue covers. In her sweet way she just said, “Don’t worry, I’ll be glad to stop publishing your cover coins as fake if you’ll stop putting fakes on your front covers!”
But the fact is, no matter how much dealers try, fakes can always creep into their stock, lists or auctions; this is where the collegiality of the responsible trade becomes incredibly important. I’ve had phone calls from colleagues who have told me about their doubts over the genuineness of coins in our sales; and I have done the same with many of them. This is vital: some dealers will know about forgeries that they’ve seen but have not been published; others will have specialized knowledge on certain types; some, after seeing many coins of the same type, will get a funny feeling about one of yours. This means that you end up double- or triple-checking a coin you thought you knew: if it turns out wrong you can pull it out (and often publish it to help others), and if, after a really serious check, it turns out OK, you and everyone else can rest assured. Back at Bank Leu we used to say that knowing about a fake in a sale BEFORE THE SALE might well be annoying, but it was a saving grace for everyone; knowing about a fake after the sale was a disaster.
Once again, let me repeat that all good dealers can make a mistake and think that a false coin is a real one! I know that I have. In fact, if you ever meet a dealer and he or she tells you that he or she has never had a fake because he or she has an infallible eye – run! That’s a person who can’t admit mistakes. One cause of those mistakes has to be wishful thinking. Here’s an example: about two weeks before we finished writing Auction 17 an individual arrived saying many complimentary things about us. He then brought out a pouch with some very interesting coins, which would certainly fit in the sale! I was all pleased by this – at a initial glance they looked really nice – and, since it was quite late, put the coins carefully away to work on the next day. But in the full light of day it turned out they were all fake! But all’s well that ends well since careful examination meant that neither our clients nor we were harmed by those stinkers!
Hahah fantastico! Si. Sono pienamente d’accordo.
Ormai la qualità passa in secondo piano.
Si potrebbe vendere certificati di autenticità
senza l’oggetto stesso quasi quasi
Hai assolutamente ragione, Niccolò. Infatti in passato è bastato firmare una crosta per farla ammirare come un capolavoro.
Idem per uno spartito : era atroce, ma la firma lo nobilitava e lo rendeva celestiale.
Sarà per questo che da anni gli stilisti mettono il loro marchio bene in vista,
mentre nel secolo scorso le etichette erano cucite all’interno dei capi ?
Ecco, a mo’ di esempio / c.v.d. / Q.E.D. una brillante applicazione
del Nuovo Scientifico Metodo per la datazione delle Opere d’Arte,
che si avvale del geniale e assolutamente imprevedibile riferimento al mitico e inoppugnabile
“Principio di indeterminazione” di Werner Karl Heisenberg, (1927) :
” … Il maialino quindi potrebbe avere oggi circa 5.000 anni, millennio più millennio meno.
Però potrebbe anche essere un falso contemporaneo e accettare, senza possibilità di contraddizione,
la datazione che propongo per tutti i miei oggetti antichi : “2019 o prima”.
Però si può (e se si può, quindi si DEVE) essere ancora più sc..sc..scientifici,
come saggiamente predicava il mitico “Capannelle” in‘Amici miei’ :
Il maialino è un dono di Viviano Domenici. Viviano Domenici è stato a lungo in Cina nel 1966.
E’ ragionevole allora datare il maialino tra il 4.700 a.C. e il 1966 d.C. :
un arco di tempo di 6.666 anni che come esercizio di datazione archeologica
è sicuramente un record mondiale di approssimazione e quindi, per il principio di indeterminazione di Heisenberg,
è anche la conferma di una assoluta garanzia scientifica.
… e qui sotto ecco il link per lo scritto e le fotografie dell’oggetto preistorico cinese
a cui si riferisce la mia datazione scientifica di “4.700 a.C.-1966 d.C.”:
http://www.francobellino.com/?p=2073
27 maggio 2019
Vedo in un catalogo d’asta un intaglio in corniola divertente ed emozionante:
rappresenta un grande cane, forse un levriero, che guarda stupitissimo e quasi innamorato
una graziosa farfalla che gli vola proprio sulla punta del muso.
Mi innamoro della ‘invenzione’ figurativa e leggo la datazione
che la Casa d’Asta propone per quel oggetto : “Lavoro postclassico”.
Strano : intagli e cammei sono di solito lavori di alta epoca, “epoca classica” .
A che datazione dovrei pensare per un oggetto che è invece “di epoca postclassica”?
Scrivo, chiedo ed ecco la cortese ed onestissima risposta
che ricevo dopo poche ore dal Curatore del catalogo in questione :
Caro signor Franco, buongiorno.
Sono il responsabile del dipartimento e autore delle schede.
In merito alla sua domanda : per “post classico” si intende un intaglio eseguito in stile antico, ma in epoca moderna.
Solitamente in questi casi la datazione oscilla tra il XIX ed il XX secolo
Per la maggior parte dei casi : XX secolo.
Rimango a sua disposizione per qualsiasi chiarimento. Cordialmente
G.V.
Geniale risposta : vero capolavoro di onestà professionale e di elegante understatement.
Anni fa avevo proprio qui sopra proposto per datare un oggetto che potrebbe essere antico,
un analogo understatement :
“2019 o prima”.
N.B.
“2019 o prima”
vale sonltanto ancora per qualche mese.
Poi ci si aggiorna.
a proposito dei miei acquisti di ARTE AFRICANA :
è artigianato contemporaneo
e talvolta
è arte contemporanea
in tutti e due i casi
non è antiquariato =
non è l’autenticità
e meno che mai l’antichità
che mi interessano… ma solo la qualità
mi interessano :
la bellezza
la raffinatezza
il piacere di guardare.. annusare.. toccare…
studiare e scrivere
vedere e rivedere per mesi e forse anni.
Dice la proprietaria di un negozio di Bamako nel Mali :
“… opera d’arte è una cosa che non ti stanchi mai di guardare.”
i Bambara dicono delle loro sculture :
“sculture sono cose meravigliose
cose che si possono guardare per molto tempo”
(cfr. “Africa” p. 500)
se c’è la qualità –
che sia per esempio una bambola
veramente creata per servire in riti di fertilità
e veramente usata da donne Ashanti o Mossi
o invece
che sia semplicemente un oggetto creato con orgoglio artigianale
per ricavarne il massimo guadagno e l’apprezzamento di chi lo vede –
per me non fa differenza.
Non fa differenza
dal momento che non possiedo criteri attendibili
per discriminare una bambola dall’altra
(non le condizioni del pezzo – non l’uso evidente – non la patina – non il venditore – non la provenienza –
non la data del primo acquisto a meno che queste ultime, data dell’acquisto e validità della provenienza,
non siano documentate da prima del 1900, da prima cioè che iniziasse su larga scala il collezionismo europeo e quindi –
di conseguenza – una produzione indigena per il collezionismo.
Ma forse anche questa limitazione è utopistica, si collezionava già molto prima.)
Sono convinto anche che tecniche di invecchiamento o “antichizzazione”
o “usurizzazione” (consumare il manufatto recente nei posti e nei modi in cui)
o di “nobilitazione” (attribuire l’oggetto a provenienze autorevoli)
siano assolutamente alla portata di chiunque, in Africa o nel mondo,
voglia applicarle per scopi commerciali.
Sono peraltro convinto che io non potrò mai, in ogni caso,
vedere un oggetto africano con occhi africani :
“L’occhio dello straniero vede soltanto ciò che già conosce.”
Ho scritto :
“L’arte africana quando è brutta è brutta,
anche se forse è bella proprio per i motivi per cui mi pare brutta.
Quando è bella, forse non è bella, proprio perché mi pare bella –
o comunque, non è bella per i motivi per cui a me pare bella.”
Allora,
se un oggetto mi appassiona,
se ho voglia di guardarlo e guardarlo ancora a lungo,
di toccarlo, di studiarlo, di scoprirne i minimi particolari
e di descriverli e di scrivere le mie emozioni,
e di vederlo e rivederlo in casa mia,
se ho proprio
un desiderio fisico molto più che intellettuale,
infantile molte più che maturo,
di possederlo — io pago quell’oggetto
non per quello che è
(non per quello che è storicamente /etnograficamente /commercialmente ,
anche perché non saprò mai con certezza che cosa veramente è)
ma lo pago per quanto mi piace
e per quanto mi fa – intellettualmente ed emotivamente e fisicamente –
godere.
E poi quando lo possiedo, me lo godo
per quanto continua a piacermi
ogni volta che lo guardo, lo tocco, lo accarezzo.
Lo godo come cerco di godermi la mia vita,
se posso, quando posso, quanto più posso.
Punto.
Maurizio Badiani aggiunge al mio commento qui sopra :
E’ molto difficile garantire l’autenticità di un oggetto antico cinese.
La specialista di Christie’s, Liz Hammer afferma :
“Se tu raduni in una stanza 5 esperti, finirai con 7 diversi pareri”
questo ricordo da “Falsari illustri” di Harry Bellet :
… Il falsario geniale è quello che la fa franca. Il fatto grave è che in questo modo, si rischia anche di incrinare la reputazione,
il reale valore dell’artista, vittima del falsario, fornendo anche una visione deformata della storia dell’arte nel periodo in cui questi è vissuto.
Come è capitato a Corot. E’ diventata famosa una battuta che lo riguarda:
“Camille Corot avrebbe realizzato 3.000 dipinti, dei quali 5.000 sono negli Stati Uniti”.