Il piatto piange ? No, a Venezia il piatto da frito’e ride !

Ho scoperto dei piatti che mettono allegria.
Al tavolo verde il piatto piange quando è vuoto.

A Venezia invece il piatto, anche quando è vuoto, ride.

Ride e trasmette gioia di vivere.

maschera 36Uva, melograno eDoge best

 

 

 

 

Questi piatti di ottone sbalzato, trovati per caso nella libreria antiquaria dell’amico Federico
e poi studiati un po’(molto di quanto segue è spudorato e spero impunito copia-e-incolla dal web) sono piatti davvero speciali.

Sono i piatti di ottone lavorato a sbalzo (repoussé), martellati sul retro per creare una figura in rilievo sul davanti,
usati solo per le frito’e, frittelle che nel ‘700 furono proclamate “dolce nazionale della Repubblica Serenissima”.
Questi piatti vivono il loro momento di gloria tra Natale e il primo giorno di Quaresima.
Poi si ritirano nell’ombra o decorano pareti di cucine e ripiani di credenze.

maschera 36

Uva, melograno e

Doge best

 

 

A Carnevale non ogni piatto vale.

 

La forma dei piatti nasce dai classici “elemosinieri” o “piatti per questua” e dai ‘vassoi da parata’
che ornavano le tavole dei ricchi e le pareti di cucine e sale da pranzo di un tempo.

Le immagini rappresentate su questi piatti presentano una straordinaria libertà di invenzione.
Meriterebbero, soprattutto in relazione all’iconografia sia degli elemosinieri sia delle pàtere
veneto-bizantine, così numerose e così preziose per la magia e il mistero degli edifici veneziani,
uno studio a parte.

Però i piatti da frito’e hanno una vita diversa dagli altri piatti : più breve e infinitamente più allegra.

Vita più allegra perché erano destinati ad accogliere e quindi ad offrirti le frito’e.
Forse anche i fragili e leggerissimi galani.

Longhi totale 1°

garzone con fritoe

coppa più strettavicino a coppa best

 

 

 

 

 

 

 

 

La frito’a è il tipico dolce veneziano di Carnevale. Si scriverebbe “frìtola”, si pronuncia fritoea cioè “frito’a” e così d’ora in poi la scrivo.
Si mangiano bollenti ed ecco che il Longhi ci mostra la geniale soluzione, uno spiedino, per non scottarsi le labbra e non ungersi le dita.

Longhi infilzate per non scottarsi 2°infilzate 3°

 

 

 

 

 

 

 

 

Vita più breve perché la pasta delle frito’e veniva fritta nello strutto di maiale; faceva quindi parte
dei piatti proibiti dalle disposizioni ecclesiastiche nei periodi in cui  bisognava astenersi dalle carni.
Un tempo questo dolcetto arrivato da Istanbul, allora Costantinopoli, era venduto tutto l’anno esclusi i periodi di Quaresima e di Avvento.
Oggi a noi va molto peggio. Il classico Tònolo, il Nono Colussi con la sua dolcissima nessa
Nono 1Nono 2
e il mitico Rizzardini le frito’e le propongono solo nel periodo di Carnevale.
E persino in quei pochi fortunati giorni dell’anno, in cui i valori di glicemia e colesterolo
toccano picchi irriferibili, spesso quando arrivi da loro con l’acquolina in bocca ti senti dire :
“Xè finìe, ciò. Me spiase”. Non potrebbero friggerne un po’ di più ? No, non possono.

Leggo e trascrivo : “Evoluzione della zelabia arabo-persiana, fatta conoscere ai veneziani da Giambonino da Cremona,
la fritola era il capolavoro dei fritoleri.
Talmente importanti da essere riuniti in Corporazione nel ‘600 e da tramandarsi il mestiere di padre in figlio
(veri notai del fritto, insomma) questi maestri se ne andavano ambulanti per le calli o nei campi
(per consentirgli di friggere all’aperto l’Arte dei fritoleri stanziava una somma altissima)
o lavoravano dentro baracche di legno.
mariegola fritoleriVenditori di offelleZompini

 

 

 

 

 

 

 

Impastavano la farina sopra ampi tavolati per poi friggerla con olio, grasso di maiale o burro, entro grandi padelle sostenute da tripodi.
A cottura avvenuta, le frittelle venivano esposte su piatti di stagno, ottone o peltro variamente e riccamente decorati.
pittore ignoto 2Fiore 2san Marco 3fontana e uccelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In attesa che la signora Daniela mi regali una foto dei suoi due pavoni bizantini che si abbeverano alla fontana, aggiungo questi due splendidi piatti di Paolo :

grappolo e foglie 1

un ricco succoso grappolo d’uva matura con bellissime foglie a incorniciarlo

e

Rialto 3

la straordinaria invenzione visiva di una gondola

che spunta sotto l’arco del Ponte di Rialto, proprio qui, a pochi metri da casa.

Ecco, proprio loro : i miei piatti che ridono !
Il mio appassionato studio sui piatti da frito’e non si limita però alla frequentazione di biblioteche,
gallerie e mercatini di antiquariato e ad esplorazioni sul web. Come ho scritto altrove :

 

In teoria non c’è differenza tra la teoria e la pratica. Ma in pratica c’è.


Le mie ricerche si sono quindi estese dalla teoria alla pratica : approfondite, ripetute
ed appassionate degustazioni che mi hanno infine portato a pubblicare su TripAdvisor
questa confessione. Un vero e proprio spudorato outing, come va di moda adesso :
Tripadvisor

melograni best

 

Un consiglio: gusta ogni frito’a in silenzio e ad occhi chiusi. Suggerisce il sommelier :
accompagnale con del vino passito come il Teroldego oppure con l’Amarone. Vanno bene anche un Vin Santo,
un Torcolato di Breganze o un Passito di Fregona, vini molto importanti del territorio però di un certo prezzo.
Se vuoi spendere meno, allora accompagnale con vini dolci come il Moscato.
Ma se anche le gusti senza berci vino sopra, le godi lo stesso !

 

Le frito’e allo zabaione sono una storia d’amore.


In attesa del prossimo Carnevale, scopro una divertente leggenda sulla nascita delle frito’e allo zabaione.
Non so se è una storia attendibile, scommetto però che questa “storia” (le virgolette non sono casuali ed invitano alla cautela)
non la conoscono neppure Anna, Marta e Paolo che pure creano le più esaltanti frito’e allo zabaione di tutta Venezia, quindi dell’Universo intero.
Anna Rizzardini best

Leggo e copio dal prezioso testo di Paolo Nequinio sul sito “Il cassetto dei ricordi” (http://www.ilcassettodeiricordi.it/)
“… a Venezia il 2 di febbraio, festa della Presentazione di Gesù al Tempio, chiamata popolarmente Festa della Candelora,
parecchi secoli fa un Doge che aveva a cuore le sorti della città decise di istituire la Festa delle Marie.
La festa consisteva nell’offrire il matrimonio a 12 fanciulle scelte tra la popolazione più povera,
due ragazze per ognuno dei 6 quartieri (sestieri) della città. Si assicurava una ricca dote per ogni sposa
con l’aiuto del Doge, del governo e di tutta la cittadinanza.
Le Marie assieme ai loro futuri mariti celebravano il matrimonio nella chiesa di san Pietro di Castello
Marie 12Marie 11Marie 15Marie 14

 

 

 

 

 


Subito dopo in corteo erano invitate a Palazzo Ducale per partecipare ad un sontuoso banchetto


Marie 6 corteo

 

Infine venivano ospitate nel Palazzo per far vivere a queste coppie di popolani una “prima notte di nozze” indimenticabile, una notte da sogno.
Ed ecco la notizia inattesa.
Appena celebrato il matrimonio delle dodici coppie e poco prima dell’ingresso a Palazzo Ducale,
gli amici consegnavano agli sposini un bottiglione di zabaione
zabaione stillzabaione slurp

Perché proprio lo zabaione ?
Perché gli antichi consideravano questa bevanda un ottimo ricostituente
e ben sapevano che le fatiche del talamo sono sempre molto intense, impegnative e sfiancanti.

 

Love story e sesso esplicito in Piazza a Venezia.


A Palazzo Ducale un capitello del colonnato di fronte alla Libreria Marciana racconta proprio
come in un film questa storia d’amore. Una “Love Story con un tragico finale, peraltro.

Vita amorosa 1Vita amorosa 2Vita amorosa 3Vita amorosa 4Vita amorosa 5

 

 

 

Vita amorosa 6Vita amorosa 7Vita amorosa 8

 

 

 

 

 

Il film scolpito nel marmo ci mostra persino il rapporto sessuale tra i due innamorati.

Qualcuno chiama questa scena di sesso esplicito : “el zavajo”
Love !
Non so perché. Leggo però : “lo zabaione nasce come “zavajo/zabaja”, bevanda che assomiglia all’orzata
e d’estate è un ottimo dissetante, ha un sentore di mandorle e frutta secca e ha un colore biancastro.

Da “zavajo” a “zabaio” e poi a “zabaione/zabaglione” il passo è brevissimo e lo zabaione non è altro che una bevanda di tuorli d’uovo
con aggiunta di zucchero, sbattuti a lungo fino ad ottenere una spuma biancastra molto buona e delicata, a cui si aggiunge un poco di vino di Cipro.
L’uovo, il tuorlo in particolare, sin dall’antichità viene considerato un potente afrodisiaco.
Ovidio consigliava infatti uova, con l’aggiunta di zucchero, cannella, zafferano e vino a chi dovesse affrontare supermenages erotici :
praticamente uno zabaione. Viagra ante litteram.
Pare che neanche Casanova riuscisse a farne a meno come sostegno alle sue imprese.
Fra’ Pasquale Baylon, il santo considerato protettore di cuochi e pasticcieri perché, secondo la leggenda,
sarebbe l’inventore dello zabaione consigliava uova e vino alle mogli che lamentavano la scarsa vivacità dei mariti.
san Pasquale Bayon
A Napoli Fra’ Pasquale è così invocato dalle passionali partenopee :
«San Pasquale Baylonne, protettore delle donne, fammi trovare marito, bianco, rosso e colorito,
come te, tale e quale, o glorioso san Pasquale!
».
Ancora oggi in molti paesi lo zabaione viene offerto agli sposi come corroborante per la prima notte di nozze e per tutta la luna di miele.
Magari a prepararlo è la mamma o meglio ancora la nonna secondo le più antiche e segrete ricette
che volevano l’aggiunta addirittura di “brodo freddo di pollo” (Da Opera dell’arte del cucinare di B. Scappi 1570)

 

Un fritoler degno del Conte Mascetti e del Professor Sassaroli.


Ed ecco il colpo di genio, quello che nel mitico “Amici miei” è così perfettamente definito :
“Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”.

E’ la notte del 2 Febbraio di un anno qualsiasi e un pasticciere veneziano sta preparando le sue frito’e.
Mentre impasta pensa a cosa sta succedendo proprio adesso a Palazzo Ducale,
dove dodici coppie di giovani sposi consumano la loro prima notte di nozze.
Oppure proprio lui, il fritolèr è uno dei novelli sposi : ha appena lasciato la sposina ancora addormentata a Palazzo
per recarsi a preparare la pasta per il giorno successivo.
Un attimo : mentre da sempre la classica frito’a veneziana è vuota, senza alcun ripieno,
lui decide di “zavajare” una frittella e ci inserisce dentro un poco di zabaione.
La frito’a alla zabaione è così nata !

Come spesso succede sacro e profano incrociano le loro strade. L’organo femminile, non senza ragione, viene chiamato frito’a.
Questo termine è ancora oggi in voga nella parlata popolare veneziana e forse proprio per questo mi sembra blasfemo
acquistare uno dei pur numerosi e bellissimi piatti per frito’e che rappresentano la Vergine.
Natività Maria

 

Il signore sì che se ne intende. Ma non mi convince.


Mi scrive un carissimo amico antiquario, vero maestro, molto colto e molto caustico :
Caro allievo (pre-diletto…?) ,
l’origine iconografica di questi piatti da frito’e (questa è la grafia corretta per sineresi necessaria nella traslitterazione) è singolarmente interessante: deriva, spesso in modo pedissequo, da quella in uso sugli “elemosinieri” di lamina di bronzo (lega di rame e stagno) di provenienza mitteleuropea (Dinant, Belgio – Nuremberg, Germania) diffusi in Europa dalla metà del XIV sec. a tutto il XVI con persistenza stilistica e tecnologica fino a tutto il XVIII. Lo spessore della lamina, ottenuta per battitura su pani di pece, subisce un assottigliamento nel progredire cronologicamente.
La decorazione è sostanzialmente di 7/8 tipologie che pur trascinandosi nei secoli risente dell’inevitabile “involuzione” stilistica.

Leone in moeca bestLeone ovale best

 

 

 

 

 

 

 

Durante la mia LUMINOSISSIMA (ancora adesso) attività (!) ho avuto dei modelli di SUPERBA decorazione
simili a quelli del Décoratifs di Parigi, del Victoria & Albert di Londra, del Met di N.Y.

Nuremberg GenesiElemosiniere Nuremberg

Nuremberg san Giorgio dettaglioNuremberg pavoni fontana totale

 

 

 

 

 

 

 

 

Per i “nostri piatti” l’uso è essenzialmente domestico: conobbi nel tempo un collezionista di Burano che ne aveva qualche migliaio,
unitamente a secchi da vino, a bacili, a pentole di varie forme, un po’come si vedono nelle “cucine” dei Bassano e di molta pittura del ‘600.

Bassano 1Bassano 2

I piatti in ottone (lega di rame e zinco, più duttile e di più facile lavorazione)
costituiscono ancora oggi in qualche nostalgica “vecia ostaria” una malinconica decorazione.
Compaiono di tanto in tanto nei vari “merdatini” qui in città : san Maurizio, Miracoli, Frari ……..
Valore mercantile ? “Ad libitum”. Valenza culturale ? NULLA.
Valenza culturale NULLA ? ! ?
Eppure questi piatti a me danno gioia, mi mettono allegria.
Castello merlato 3
Un castello turrito e merlato che sembra uscito dai poemi cavallereschi d’antan.
Doge barbuto best 2
Un Doge incazzato e piuttosto depresso. Sembra chiedersi : dove cavolo ho messo il mio Prozac ?

 

cinema Imperiale best
Un Cinema Imperiale, ricordo malinconico di quando a Venezia c’erano 18 (diciotto) sale invece delle 2 (due) di oggi.
drago best
Un drago con problemi di alito o di bruciore intestinale.
parrucca 38

Un Leone di San Marco, molto dubbioso per esserci lasciato convincere a indossare una parrucca.
Vabbe’ che è Carnevale, ma insomma un po’di rispetto ..

Insomma, saranno questa gioia, questa infantile allegria un valore, se non culturale, quantomeno esistenziale ?

 

28 Responses to “Il piatto piange ? No, a Venezia il piatto da frito’e ride !”

  1. francesco says:

    Direi che l’articolo oltre ad essere esaustivo mi ha fatto venire l’acquilina in bocca……
    Mi ricordo che mia zia, da parte di babbo le faceva sempre e per noi era una festa degli occhi e del palato. Lei faceva esclusivamente le fritole veneziane non quelle fatte d’aria e riempite a dovere. A volte l’involucro di queste frittelle non è assolutamente paragonabile a ciò che si trova dentro e questa è l’unica ragione che mi spinge a mangiarne ancora….
    un abbrax
    checco

  2. Susi says:

    Quanto tempo hai passato a fare questa ricerca ???
    Bravo, a me che sono terra terra mi interesserebbero di più le ricette !!!!!!!!!
    Ahahaha ciao Bellinooo

  3. Gaspare says:

    Caro Franco,
    mi fa piacere sentirti ! Dunque le sale cinematografiche a Venezia nel momento di massimo splendore erano circa 18…..sì….. hai sentito bene !
    Indubbiamente c’era un “Cinema Imperiale” ed era, caso vuole, di mio nonno.
    L’entrata era dove ora c’è la ‘Profumeria Ideal’ a San Polo : dentro era molto lungo, dal canale al campanile…
    Mio nonno d’estate faceva le proiezioni nel giardino sul canale.
    Poi nel 1939 cominciò a fare il cinema all’aperto in Campo San Polo (quello che Ellero non fa più dopo essersene preso il merito per anni).
    Quel piatto viene appunto dal Cinema Imperiale ! Dove l’hai trovato? È un po’ che cerco anche io nei mercatini…
    Gaspare

  4. Franco says:

    Margaret Duda, venuta a sapere che Giovanna poche ore fa mi ha regalato il piatto da frito’e del Cinema IMPERIALE un tempo a san Polo :

    Lovely dish. A gift from a loved one is always more valuable and a greater treasure than anything else.

  5. Pilone destro says:

    Bello, esaustivo, divertente ma scritto nel momento sbagliato……………
    dobbiamo aspettare 7 mesi per rifocillarci e toglierci la voglia!!!
    Alla fine dovevi mettere un quadro delle tentazioni di S. Antonio,
    faremo tutti peccato cercando le uniche frito’e in commercio in questo periodo…….criminale!
    Andrò a Rialto a comprarmi una “passera” per tirarmi su di morale.
    Saluti
    Alberto

  6. Roberto says:

    Complimenti Franco, bella ed esaustiva ricerca sul tema, da vero appassionato Veneziano.
    Nei panni del diavolo, in merito ai temi religiosi, non ritengo blasfema la presenza di Maria sui piatti,
    la frito’a l’aveva anche Lei e dove sta scritto che dopo l’Immacolata Concezione non abbia fatto sesso col suo Giuseppe? Il sesso non è peccato e la Religione non è tristezza, ma gioia, per chi crede.
    Almeno a Carnevale… sdrammatizziamo! Ciao

  7. Bellissimo commento, Roberto. Ti sono davvero grato.
    Non solo mi hai liberato da un tabù, ma mi hai aperto nuovi orizzonti di ricerca e di piacere.
    Avevo scritto e ora mi accorgo di aver scritto in modo superficiale :
    “Come spesso succede sacro e profano incrociano le loro strade. L’organo femminile, non senza ragione, viene chiamato frito’a.
    Questo termine è ancora oggi in voga nella parlata popolare veneziana e forse proprio per questo mi sembra blasfemo
    acquistare uno dei pur numerosi e bellissimi piatti per frito’e che rappresentano la Vergine”.

    Adesso però, dopo la tua sorridente ma assolutamente seria precisazione, ho cambiato idea.
    Non voglio certo entrare nella personalissima storia coniugale di Maria e Giuseppe.
    Ma certo è vero quello che tu scrivi : “Il sesso non è peccato e la Religione non è tristezza, ma gioia, per chi crede”.

    Grazie
    Le tue parole mi aprono nuovi orizzonti, non solo come collezionista di piatti da frito’e, ma anche come uomo ☺

  8. Valore & Valori

    Riflettevo sul drastico giudizio dell’amico antiquario, molto colto e molto caustico.
    Lui sui piatti da frito’e conclude : Valore mercantile ? Ad libitum. Valore culturale ? NULLA”.

    Sul valore culturale dei piatti da frito’e, almeno per quanto mi riguarda, ho già contrapposto la mia conclusione :
    “La gioia e l’infantile allegria che questi piatti mi regalano, saranno un valore ? Un valore, se non culturale, quantomeno esistenziale ?”.

    Sul valore venale invece ho qualcosa da aggiungere. E soprattutto qualcosa da chiedere a chi mi legge.

    Un oggetto antico, un’opera d’arte, anche la creazione di un artigiano hanno un valore. Anzi, diversi tipi di valore.

    C’è un valore di scambio, un valore venale, un prezzo di mercato.
    Senza tanti fronzoli lirici, negli anni io sono giunto a questa semplice cinica conclusione :
    un oggetto, un’opera d’arte, persino un’opera dell’ingegno, il mio lavoro e il mio tempo,
    se voglio venderli, valgono quanto qualcuno è disposto a pagare pur di averli. Punto.

    Quanto tu lo abbia pagato quell’oggetto, quante ore o mesi di lavoro siano stati necessari per crearlo,
    quanto sia più o meno raro o addirittura unico al mondo, quanto indichino le eventuali expertises e i record di vendite sui mercati internazionali,
    le quotazioni d’asta e le aggiudicazioni ottenute, tutto ciò non conta nulla, vale zero,
    se tu non hai di fronte a te qualcuno che è disposto a mettere mano al suo portafoglio e a darti per avere quell’oggetto una cifra.
    “Quella” cifra, solo “quella cifra” è in quel momento il valore di quell’oggetto.

    Però poi c’è anche un valore esistenziale, un valore personalissimo.
    E’ il valore che esprime quanto quell’oggetto a te piace, quanto a te dà gioia possederlo e vederlo e toccarlo e sapere che è tuo.
    Questo altro tipo di valore è assolutamente soggettivo, non ha alcun riferimento con la realtà esterna
    e certamente non ha la minima relazione con il valore di mercato di quell’oggetto.
    Tutto ciò ha senso per te, ma solo fino al momento in cui decidi che vuoi/devi vendere quell’oggetto.
    Se questo succede, allora dimenticati di quanto vale per te quell’oggetto
    e considera come “giusto valore” la cifra – qualunque essa sia – che qualcuno è disposto a darti pur di averlo.
    Dipenderà da te accettare o rifiutare questa offerta, ma devi però convincerti che quella è, in quel preciso momento, la “cifra giusta”.

    C’è infine il valore culturale di un oggetto.
    Questo valore prescinde sia dal valore di mercato (quanto qualcuno è disposto a pagare pur di averlo),
    sia dal valore soggettivo di quell’oggetto (quanto quell’oggetto vale per te in termini di piacere).
    E’ il valore storico, estetico, culturale, oggettivo.
    Possono avere un valore culturale l’opera originale di un artista, la testimonianza di un evento storico,
    un monumento, una scultura, un brano musicale, uno spettacolo…. l’elenco è infinito
    e non è certo questa la sede per passare in rassegna le infinite possibilità che hanno un’opera d’arte o anche solo l’opera di un uomo
    per riconoscergli un valore culturale.

    Ma… ecco che poche ore fa una cara amica vede i miei piatti da frito’e … li ammira …
    mi dice di averne molti a casa sua e mi chiede quanto li ho pagati. Glielo dico. Allibisce.
    Lei anni fa li ha pagati 10, anche 15 volte di più.
    Rifletto.

    Il mio primo pensiero è : Bene ! meno male che ho potuto acquistarli senza svenarmi.
    Poi però subentra un altro pensiero

    Questa vertiginosa caduta di prezzo mi dice qualcosa ?
    Il mondo in cui uno di questi piatti vale – si vende o si compra – per 30-40 Euro
    è uguale al mondo in cui uno di questi piatti valeva – si vendeva o si comprava – per 300-400 Euro ?

    Adesso questi piatti oltre a mettermi allegria mi insinuano anche un velo di malinconia.

    C’è infatti una distanza non solo venale ma anche sociologica tra 30-40 Euro e 300-400 Euro.
    Questa distanza ci dice forse qualcosa non solo sugli andamenti del mercato, sul valore di quei piatti,
    ma anche sul valore e sui valori della società in cui viviamo.

    Vorrei approfondire, ma mi piacerebbe farlo dopo aver ascoltato altre voci, altri pareri.

    Per il momento leggo sul ‘Corriere della Sera’ di oggi venerdì 10 Giugno a pagina 59 le parole, stranamente in sintonia, di Aldo Grasso
    che scrive di trasmissioni TV : “Col tempo noi cambiamo e il nostro occhio cambia ciò che guardiamo, ma non siamo mai all’altezza del passato”.

    Però non vorrei troppo facilmente venir catalogato come un “difficilis, querulus, laudator temporis acti” ( Orazio ‘Ars poetica’ 173).
    Non sono, spero, uno di quegli anziani (cito wiki) che, non potendo far ritornare gli anni passati, vi ritornano volentieri con la memoria.
    Orazio (e, modestamente, anch’io) guarda con occhio critico questo comportamento,
    in quanto denota una incapacità, da parte delle vecchie generazioni, di cogliere le innovazioni del presente e di adeguarsi al progresso.

    Ecco perché vorrei tanto che chi mi legge, mi aiutasse piuttosto a vedere il lato positivo di questo profondo mutamento culturale.

    Un mutamento per cui le gallerie degli amici antiquari rimangono desolatamente deserte per intere settimane,
    mentre le bancarelle di chincaglieria “veneziana”, fatta in Cina o a Taiwan, attirano l’appassionata attenzione di migliaia di bulimici compratori.
    Mi chiedo e ti chiedo :
    riusciremmo noi a convincere il buon Giacomo che è segno evidente delle “magnifiche sorti e progressive”
    il fatto che ogni santo giorno, dopo aver salutato con il doveroso “Salam aleikum” l’edicolante del Bangladesh,
    se vuoi acquistare un quotidiano, devi scavarlo sotterrato sotto pile di gondole di plastica, ventagli di finto merletto,
    cappelli da yachtman, adesivi da frigorifero e ricami con il gondoliere che voga all’indietro la sua gondola ?

  9. Roberto says:

    Caro Franco, chissà dove sta la Verità.
    Ti apprezzo molto per l’impegno che profondi nel cercarla,
    per l’entusiasmo che ti anima, per la capacità di ascoltare le opinioni altrui, per sensibilità e gentilezza.
    Valeas, Roberto

  10. Franco Bellino says:

    Mi scrivono in tandem, ma soltanto uno dei due pedala, i simpaticissimi F&S :

    S. scettico da sempre sulla quaestio “valori”, ritiene che F piú animoso e animato
    abbia ragione quando afferma che le cose valgono quando si vendono come si vendono a chi si vendono –
    e per “cose” si riferisce ad un “livello” di percezione cultural-mercantile medio e diffuso di “comprensione”.

    Nella “fattispecie”(che termine orribile) lui F. ritiene che i piatti da frito’e
    abbiano acquisito un valore “riflesso” come conseguenza di un “addentellato” culturale forte,
    derivato dall’imitazione dalla austera categoria “elemosinieri”.di F&S
    Ma non si può escludere che il “nazionalismo” di certe produzioni artigianali
    possa in-fluire su valori mercantili e valori “culturali” in estensione di vario senso.

    Il fenomeno “oscillazione dei prezzi” ha qualche complessità di componenti :
    astuzia di bottegai, infatuazioni di acquirenti, “mode”.

    In ultima analisi sarebbe più rasserenante comprarsi “cose”
    senza, potendolo “praticare”, pensare a complesse e complicate operazioni “finanziarie”.
    Certo, l’unicità, di qualità sopra tutto, è quell’aspetto del “possesso”
    per effetto della qual cosa la nostra egotica natura si sente più “satis-facta”
    (…. esiste la poligamia…… gradevole pratica di “comunismo”……..).
    In conclusione (sconclusionata) meglio esser “francescani” (senza ironie…),
    ancor meglio”epicurei”, bazzicar Musei a contemplar “maravegie”.
    Rinviamo (F & S.) ad incontri conviviali approfondimenti e chiarificazioni.
    Ave Polimnia pulcherrima formosaque, tibi erit salus !

    In realtà questa aulica elaboratissima risposta dei carissimi F&S
    svicola elegantemente ed elude la semplice e diretta domanda per la quale supplicavo aiuti.
    La domanda è (repetita juventus) :

    Questa vertiginosa caduta di prezzo di un piatto da frito’e –
    da 300-400 Euro pochi anni fa a 30-40 Euro oggi –
    ci dice qualcosa ?

    Il mondo in cui uno di questi piatti vale – si vende o si compra – per 30-40 Euro
    è uguale al mondo in cui uno di questi piatti valeva – si vendeva o si comprava –
    per 300-400 Euro ?

    This is the question.
    C’è infatti una distanza non solo venale ma anche sociologica tra 30-40 Euro e 300-400 Euro.

    Questa distanza ci dice forse qualcosa
    non solo sugli andamenti del mercato, sul valore di quei piatti,
    ma anche sul valore e sui valori della società in cui viviamo ?

  11. Luca says:

    Frank
    ti leggo da Basilea : il tuo pensiero è corretto ed è il cruccio della mia vita. E non credo che cambierà per molti anni a venire.
    Pertanto si : “La gioia e l’infantile allegria che questi piatti ti regalano, sono un valore esistenziale “ !!!!!!
    Io mi gusto i vecchi mobili inglesi di casa mia tutti i santi giorni e provo ancora emozione. MI BASTA !!!
    Un abbraccio a te e a Giovanna
    xx
    Luca

  12. Lorenzo says:

    Caro Franco,
    adeguarsi ai cambiamenti di costume è pratica di molti (forse tutti), conscia e inconscia.
    Se il mio “desiderio” verso una meta, o una cosa, coincide con il desiderio di molti,
    pagheremmo come ovvio un prezzo adeguato alle circostanze del momento.
    Potendoselo permettere potremmo soddisfare questo nostro desiderio, anche a caro prezzo.
    Ma se la stessa condizione si presentasse a cambiamento di costume inoltrato,
    l’oggetto del nostro desiderio del nostro interesse, acquisirebbe forse una valenza diversa, personale, priva di conformismo e di condizionamenti,
    e contestualmente potremmo trovarlo con fortuna sul mercato ad un prezzo persino irrisorio.
    Vi è inoltre uno specchio culturale dove specchiarsi e trovarsi, dentro e fuori.
    La conoscenza personale, quella sociale e istituzionale, l’ istruzione, la storia, i musei, le biblioteche
    sono indicatori a tutela della nostra formazione, della nostra coscienza.
    I piatti da frito’e comprati nella consapevolezza del loro valore storico, artistico, e sociale,
    possono restituire con il loro possesso, con la loro frequentazione qualità alla nostra vita?
    Tutto questo rimarrà anche quando non saranno più tra le nostre mani.
    Il ricordo del loro luccichio ci farà rifletterà anche sull’andamento del loro mercato?
    Delle crisi della società e dei valori ? Sarebbero comunque tutti spunti per delle ottime riflessioni !
    Saluti,
    Lorenzo

  13. Franco says:

    Grazie, Lorenzo.
    Il tuo commento, assolutamente inatteso e quindi ancora più gradito,
    mi fa molto piacere, mi onora e mi spinge a continuare impudentemente
    in questa mia conclamata incontinenza prosastica.
    Un abbraccio
    Franco

  14. Franco says:

    Corriere della Sera di oggi, mercoledì 22 Giugno 2016.
    A pagina 31 una bellissima lezione di vita.
    Viene da un giocatore di calcio, Simone Padoin.
    La faccio mia perché mi sembra una perfetta risposta ed un sincero ringraziamento
    per tutti quelli che commentano qui i miei scritti e a volte mi elogiano.

    Scrive Padoin che lascia la Juve per andare al Cagliari e parafraso minimante io
    per ringraziare di ogni commento passato e futuro ai miei scritti su questo sito :

    “Grazie a quanti personalmente mi hanno apprezzato nonostante le mie qualità mediocri,
    ma che hanno capito che in ogni occasione ho cercato di farmi onore dando tutto me stesso.
    I vostri complimenti mi fanno provare sinceramente un po’ di vergogna
    perché penso di non meritarmeli e per questo vi sarò eternamente grato”.

    Se un buon calciatore sa pensare e scrivere così
    che meravigliosa scuola di vita è il calcio.

  15. Alberto says:

    Io ti leggo, anche se non ti rispondo sempre.
    Il buon Padoin dimostra che, a volte, la gobba
    è dovuta ad un cuore troppo grande per essere contenuto da una normale cassa toracica…….

  16. Roberto says:

    Devo dire che anch’io al suo posto sarei così umile e riconoscente.
    Pensa : ha vinto 5 scudetti di fila, 2 coppe Italia, 1 finale di Champions con relativi bonus,
    giocando si è no 25 partite (ndr. in realtà sono 84) in 5 anni.
    Siamo proprio dei signori. Grazie Padoin !!!!!!!

  17. Berardino says:

    Grazie, grazie, Franco. Ne ero al corrente. E volevo proprio stendere un pezzo.
    La lettera di ringraziamenti di Padoin dovrebbe fare bella mostra
    in ogni spogliatoio di qualsiasi impianto sportivo (non soltanto di calcio).

    In primis, la indirizzerei a CR7, oppure a Ibra, …
    Ciao. Salutoni.
    B.

  18. Il format e il linguaggio di un post in Rete non consentono di appesantirlo con note, rimandi, citazioni e riferimenti bibliografici.
    Affastello allora qui alla rinfusa come risultato di un dichiarato e spero impunito copia-e-incolla alcune notizie forse per qualcuno interessanti.
    Ogni correzione e soprattutto ogni aggiunta di ulteriori informazioni saranno entusiasticamente accolte
    e ricambiate con generose degustazioni di fritoe allo zabaione, se e quando i due Paolo di ‘Rizzardini’ vorranno prepararcele.
    *
    La storia della Fritoa risale al Rinascimento: dolcetto arrivato da Istanbul, allora Costantinopoli, …
    venduto tutto l’anno (ora purtroppo non più) esclusi i periodi di Quaresima e di Avvento. Perché ?
    Perché questa pasta di pane dolce veniva fritta nello strutto di maiale
    e faceva quindi parte dei patti proibiti dalle disposizioni ecclesiastiche nei periodi in cui bisognava astenersi dalle carni.

    La frittella, “gustata” non solo a Venezia, ma in tutto il territorio veneto friulano, fin quasi alle porte di Milano
    veniva prodotta esclusivamente dai fritoleri, che quasi a sottolineare la loro ufficialità, nel ‘600 costituirono un’ associazione.
    La ricetta è citata dal cuoco “segreto” (personale) di Pio V, Bartolomeo Scappi, nel suo trattato culinario “Opera” pubblicato nel XVI secolo.
    Lo storico Marangoni ha affermato che le fritole, nel ‘700 divennero “dolce nazionale della Repubblica Serenissima”.

    Bibliografia (assolutamente non scientifica e disperatamente incompleta) :
    *
    Pompeo Molmenti in EMPORIUM vol. 24-8
    “Arti e Mestieri della vecchia Venezia” da pagina 103 a pagina 114
    p.113 Zompini “Venditore di frittelle”!
    p. 104 l’arte degli orefici mostra un vassoio simile ai piatti
    p.111 I Grigioni. Venditori di offelle con un vassoio simile, ma molto più grande.

    *
    Goldoni “Il Campiello”.
    Della frittella Goldoni parla nella sua Commedia “il Campiello” scritta nel 1756.
    La protagonista Orsola è una fritolera e lo è anche nella conseguente opera musicale di Wolf Ferrari.

    Orsola : Chi songio ? una massera ?
    Gasparina : Pezo. Una fritolera.
    Orsola : Vardè ! se fazzo fritole la xè una profession.
    Gasparina : Co la ferzora in ztrada zè par bon.

    *
    Giovanni Marangoni (Tutti lo citano senza citare il titolo. Presumo, ma non sono certo,
    si tratti del Giovanni Marangoni 1673-1753 anziché del Giovanni Marangoni 1834-1869) :
    A cottura ultimata le frittelle venivano esposte su piatti variamente e riccamente decorati di stagno o di peltro..
    Su altri piatti, a dimostrazione della bontà del prodotto venivano esibiti gli ingredienti usati : pinoli, uvetta, cedrini.

    *
    Pino Agostini – Alvise Zorzi ” A tavola con i dogi” 1991

    Link :

    *
    !!! “Venezia nascosta” di Piera Panizzuti = http://venezia.myblog.it/cucina-venexiana/page/2/

    http://archivio.gustosamente.it/article/ea-fritoa-la-storia-della-frittella-veneta-nata-nel-trecento

    http://www.ricettedicultura.com/2014/02/fritole-veneziane-storia-dolce-carnevale.html
    http://www.culturaitalia.it
    http://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Longhi
    http://www.verona.net
    http://www.ilcantierevenezia.it/zabaione-crema-o-veneziana-da-dove-nascono-le-fritoe/

    in inglese : http://www.monicacesarato.com/blog/2011/01/22/the-history-of-the-frittella/

    Immagini :
    “La venditrice di fritole” Pietro Longhi (Pietro Falca)
    Gaetano Zompini (1700-78) “Fritole” in ‘Mondo Nuovo’ 1785

    *
    vai Confartigianato Venezia > Arte Scaleteri e Arte Fritoleri (Furatoleri)

  19. Ornella says:

    Sei bravo, Franco, anche nella ricerca delle cose più semplici.
    Il tuo racconto sui piatti di ottone, sulle frito’e, sulle giovani spose.. sullo zabaione, è un insieme di umorismo, fantasia, poesia.
    Crei emozioni! Nella descrizione delle frito’e, fai venire l’acquolina in bocca.
    Sui piatti fatti con maestria, fai per ognuno di loro una storia.
    Che l’organo femminile a Venezia venga chiamato frito’a…. e che in un piatto ci sia l’immagine di Maria…..
    ha ragione il tuo amico Roberto : non è blasfemo!
    Maria l’aveva anche lei ……e ci è passato nostro Signore…..meraviglia, gioia, emozione !
    Bella la storia delle giovani spose a cui regalavano una bottiglia di zabaione, dopo la prima notte di nozze !
    Chissà se fa qualcosa a me e al tuo amico……io ci provo!!

  20. Ornella, tu scrivi : “Bella la storia delle giovani spose a cui regalavano una bottiglia di zabaione dopo la prima notte di nozze !”
    NOOOOOOOO : lo zabaione va preso PRIMA, non dopo !
    Altrimenti l’esperimento con il mio amico va in bianco :-(

  21. Ornella says:

    L’ho riletto! Chiaro……ho pensato che servisse più dopo, che prima!

  22. Franco says:

    Hai ragione tu, Ornella. E’ probabile che oggi serva più dopo che prima.
    Ai tempi del Doge inoltre non c’erano per il “prima” gli aiutini blu che ci sono oggi.
    E alla mia età più che un sorso servirebbe una flebo di zabaione.
    Ma sono più felice con le fritoe allo zabaione del mio amico Paolo di Rizzardini.
    Prima, durante e dopo.

  23. Carlo Montanaro says:

    Caro Franco,
    bravi ! Si: Roberto mi ha indicato nella sua vetrina tra i piatti sbalzati quello dell’Imperiale. E io ho risposto che ne ho uno anche io. Anzi: ne ho perso un secondo (o un primo: il fatto è antecedente) che ora sarebbe d’attualità avendo l’intestazione “cinema Italia”. Me lo hanno descritto in un mercatino di San Maurizio ma non so chi l’aveva appena comperato scomparendo subito dopo perché altrimenti l’avrei rincorso provando a implorarlo di poterlo avere come testimonianza di qualcosa che non c’è più. Non ne so nulla dei “piatti da fritole”, nel senso che non c’ero in quegli anni ’20 quando venivano utilizzati.

    Ma, mantenendo la singolarità veneziana, le “fritole” sicuramente facevano parte dei conforti che venivano offerti in sala durante l’intervallo tra uno spettacolo e l’altro. Letterariamente e cinematograficamente da belle figliole: molti scritti e molti film lo raccontano qualche volta scivolando sulla complicità del buio che avrebbe permesso ulteriori e più intimi conforti nel corso della proiezione. In effetti qualche vassoio-cassettina a tracolla ma di personale maschile in giacchetta bianca lo ricordo anche io ma non so collocarlo nè sullo spazio nè nel tempo e non vorrei che facesse parte di un’esperienza accaduta da bambino in un’altra città, magari durante un viaggio o una vacanza con la famiglia.

    Era la categoria ora scomparsa che nell’epoca immediatamente precedente agli schiaffi di “Amici miei” popolava i marciapiedi delle stazioni offrendo panini e bibite e spesso giocando con la ricerca degli spiccioli per non porgere in resto quando il treno ripartiva… Un ricordo personale mi riporta agli anni ’50, a BIANCANEVE E I SETTE NANI che il Cinema allestito nell’ala di fronte all’Istituto Cavanis che delimitava lo scoperto polveroso dove giocavamo a calcio, replicava più volte a Natale oltre a programmare, sabato e domenica, altre pellicole. Io, per frequentalo gratis per vedere e rivedere i film ero riuscito a diventare il venditore delle caramelline (in particolare le piccole Golia) e andavo su e giù per la sala con la cassettina a tracolla… buttando avidamente l’occhio verso il vano che delimitava l’accesso alla sala e che tramite una ripida scaletta portava alla cabina di proiezione che temo fosse rigorosamente di legno: una situazione pericolossima con la conoscenza dell’oggi, dato che la luce proveniva dai carboni di un arco voltaico piuttosto primitivo, ma per me l’antro del mago da cui partivano le storie.

    I Cavanis non si cimentavano con le “fritole” e oso credere che in quel dopoguerra se generi di conforto venivano offerti agli spettatori, questo avveniva nelle storiche sale di prima visione, ed in particolare al Malibran dove era ripreso e si replicava periodicamente l’evento dell’avanspettacolo, con le compagnie di giro di comici, intrattenitori e ballerine. Ma vedo che sto allargandomi troppo.

    Sto lanciando da tempo l’idea di segnalare con una qualche piccola targa gli immobili dove hanno aperto e chiuso le molte sale che fanno la storia del cinema a Venezia. Creando così un “percorso alternativo” alla visibilità anche turistica della città. Un percorso parallelo a quello dei luoghi dove sono stati realizzati i film che più hanno colpito l’immaginario degli spettatori di tutto il mondo. Ma questo è sempre un altro discorso in una città dove l’aggressione turistica è ormai sistematica ma non si fa praticamente nulla per alleggerirla indicando ai visitatori altre ipotes storiche di interesse.

    Quanto ai piatti ringrazio anche io Roberto Vascellari che riesce sempre ad offrire un valore aggiunto
    nel rievocare l’utilizzo di materiali all’apparenza decorativi ma che in realtà era fondamentali nel vivere comune.

  24. maurizio badiani says:

    Caro Franco dalla constatazione che i piati da frito’e hanno perso quota sul mercato deduci complesse e un po’ melanconiche conclusioni antropologiche.
    Tutto cambia. Cambia il gusto. E cambia la “cultura” della gente (che è sempre meno: la cultura, non la gente). Tu porti come esempio i piatti destinati alle golose frittelle.Puoi estendere la tua analisi anche agli “elemosinieri di Norimberga”, più antichi di quelli delle frito’e e, di solito, di maggior grandezza e di più consistente spessore.
    Fino a qualche anno fa se volevi appenderne uno alla parete dovevi sborsare non meno di 2 milioni di lire.
    Ora se riesci a darne via uno per 300/400 euro puoi dirti fortunato.
    Sono sempre meno quelli che li “capiscono”. E sempre meno si adattano alle atmosfere asettiche delle case di oggi.Sfoglia una rivista degli anni 60 e guarda gli arredamenti del tempo: c’è sempre un “pezzo” antico in bella mostra, un trumeau, un cassettone, veneziano o lombardo. Faceva “status”, parlava del benessere economico raggiunto e della “cultura” della famiglia che in mezzo a quegli arredi abitava. Sfoglia una rivista di oggi e – qualunque sia la latitudine – ti sembrerà sempre di trovarti in Giappone. Il “minimalismo” è arrivato a estendere la sua influenza anche sulla pittura. Pittori che fino a qualche anno addietro andavano per la maggiore, come Guttuso, Rosai, Sironi oggi hanno perso mercato. Il motivo? Sono figurativi. Mentre oggi va l’”astratto”. Spesso mi chiedo anch’io quanto varrà la mia collezione tra 15 o 20 anni quando, sparito il sottoscritto, i miei dovranno necessariamente monetizzare quanto negli anni ho accumulato spinto da una bulimica passione.Per realizzare di più dovrei vendere ora. Ma non ce la faccio a privarmi di oggetti a cui sono legato magari da 40 o 50 anni. Poi mi stringo nelle spalle e metto fine ai miei dubbi con un laconico “ma chi se ne frega”. E torno ad aggirarmi soddisfatto tra i centinaia di pezzi che compongono quel Vittoriale in seconda che è la mia casa. Maurizio

  25. Franco Bellino says:

    Ti sono grato, Maurizio, perché
    hai colto ed evidenziato quella vena di malinconia
    che avevo cercato di nascondere. Grazie.

  26. Franco Bellino says:

    Per merito del tuo commento, Maurizio, che nasce molti anni dopo la pubblicazione del mio scritto sui piatti da frito’e,
    ho riletto stamattina tutti gli altri commenti qui sopra.
    Ti sono grato perché tutti questi interventi così personali e appassionati, mi fanno capire
    che anche il mio ”scrivermi addosso” ha un senso se produce un dialogo ed uno scambio di opinioni
    oggi altrimenti – con o senza lockdown – assai improbabile.

  27. Francesco Burroni says:

    Bella storia e bella ricerca.
    La giro anche alla mia compagna di palco veneziana ma ormai senese.
    Ciao

    PS con tutti i doverosi distinguo mi ricorda
    quei bicchierini mignon cinesi per il sakè
    che se li riempi vedi sul fondo la cinesina gnuda…

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