Il Gonfalone di Venezia è (credo) l’unica bandiera al mondo che ha le frange.
Le frange hanno a che fare con il vento … il vento con le vele … le vele con il mare … il mare con Venezia …
Venezia con il Leone di san Marco …
Il Leone di san Marco va di bolina grazie alle frange. Carli sorride.
Da anni sono innamorato di una piccola scultura che rappresenta il Leone di San Marco
investito da una potente raffica di vento. E’ tutto scapigliato, scarmigliato.
Guarda la criniera di questo Leone :
il vento l’ha spinta tutta indietro e gli arriva quasi alla coda.
Guarda l’ala destra del Leone :
il vento gliel’ha addirittura rovesciata : è capovolta all’indietro, come quando fai una strambata esagerata.
Questo Leone però se ne sta lì, impavido, con le zampe saldamente piantate sul tavolato del ponte di comando :
Non è il solito Leone di san Marco E’ una figura mitica, mai vista e sempre immaginata.
Forse è addirittura un errore di fusione : benedetto errore.
Il Caso ha creato un’immagine che nessun uomo avrebbe mai immaginato.
Questo Leone che affronta il mare in tempesta è il marinaio che da sempre ognuno di noi sogna di essere.
E’ Ulisse che incita i compagni, pur “vecchi e tardi”, ad abbandonare la propria casa, l’amore di moglie e figli e nipotini
per navigare un oceano che nessun uomo ha mai affrontato. La sua nave vola sulle onde : “de’ remi facemmo ali al folle volo”.
E’ il Corsaro Nero sul suo veliero : abbandona in mezzo al mare l’unica donna che abbia mai amato.
E’ solo sul ponte di comando. E piange.
E’ Achab sull’ultima scialuppa : nella balena bianca insegue e uccide se stesso, ma non molla mai.
Fiero e indomito dominatori dei mari, questo Leone di San Marco è sul ponte di comando della sua nave,
nel cuore della tempesta, in caccia dei pirati dell’Adriatico.
Riafferma nei secoli il dominio di Venezia sul mare e l’amore dei Veneziani per il mare.
Se il Leone, ‘Capitano Generale da Mar’ (Capitàn da Mar) può dominare vento e tempeste è anche per merito
delle frange o ‘code’ o ‘barbe’ sul suo gonfalone. Le frange oltre ad avere un significato,
oltre a comunicare a tutti un messaggio chiaro e imperioso, hanno anche una funzione tecnica : sono utili.
Molti hanno scritto sul significato delle frange nel gonfalone di Venezia.
Sulle frange come mezzo di comunicazione Milo Broz : “Nelle bandiere navali le frange indicavano il grado di comando sia militare che amministrativo. Queste bandiere potevano avere da 2 a 5 frange, solo poche ne avevano 6.
Ha 5 frange nella sua galea alla Guerra di Candia la bandiera del Doge Domenico II Contarini : la si vede sopra la Porta della Carta a Palazzo Ducale :
Secondo altri nella bandiera della Serenissima, le frange rappresentano i Sestieri di Venezia.
Nella bandiera del Veneto, invece, le code raffigurano le Province della regione:
Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza.
Meno è stato scritto sul perché nel Gonfalone di Venezia ci sono le frange,
sulla preziosa funzione dinamica e nautica che esse hanno.
“La bandiera della Serenissima, unica al mondo, deve necessariamente essere dotata di frange, ben distinte tra loro : separate e indipendenti. Esse hanno la funzione di mantenere intatto il corpo centrale della bandiera, preservandolo dai danni che potrebbe arrecare il vento”.
Ecco : io delle frange amo proprio la funzione, lo scopo, la concreta ragion d’essere. E’ vero : le frange sono state create per abbellire, per comunicare, per rendere questa bandiera unica al mondo, ma prima di tutto per svolgere un compito preciso : proteggere il cuore della bandiera, mantenere intatto il Gonfalone di Venezia.
Le frange sì, sono belle da vedere mentre danzano libere nel vento. Ma prima ancora di essere “belle”, sono utili : concretamente utili. Proprio come le forcole sulle barche della Laguna.
((( Apro qui una tripla parentesi.
La tripla parentesi ((( è un’acrobazia grafica di rarissimo uso, riservata a pochi eletti.
Mi autorizza ad aprire una tripla parentesi il genio irriverente del Reverendo Laurence Sterne,
maestro di infinite parentesi, svagate divagazioni e religiosissime maledizioni.
Protetto dalle ((( divagherò su temi che sembrano non avere nulla a che fare con il Leone scarmigliato e con le frange del Gonfalone al vento. Parlerò di forcole e del ‘maestro dei maestri’ dei remèr veneziani, il mitico Giuseppe ‘Bepi’ Carli.
Il Lettore avveduto scoprirà quanto forcole e remèr siano profondamente collegati sia al Leone sia alle frange,
secondo ragioni che la ragione non conosce, ma le conosce il cuore.
Il Lettore buongustaio saprà assaporare la raffinatezza di questi arditi accostamenti e ne apprezzerà l’introduzione nel menù. Gli altri Lettori invece potranno tranquillamente saltare tutte le righe qui sotto e riprendere la loro lettura all’apparizione di questo segnale ))))
Alla fine le parentesi non saranno più soltanto 3, ma 4 ))))
Sempre meglio “ABBONDANTIS ABBODANDUM” come spiega Totò nella mitica sequenza della lettera
in “Totò, Peppino e la Malafemmena” (imperdibile qui :
https://www.youtube.com/watch?v=SzrEfkjdzgw
Le )))) saranno perciò avvertimento inequivocabile che si sono chiuse le triple parentesi (((
e che terminano purtroppo lì le geniali divagazioni dell’Autore.
Per anni ho pazientemente conquistato, studiato e amato le forcole di Bepi Carli.
Ogni forcola è un legno scelto con cura, stagionato per anni, scolpito con passione.
Una forma perfetta in cui ogni centimetro ha una sua precisa funzione.
Un attrezzo ogni volta diverso per ogni singola imbarcazione, per ogni singola posizione a bordo
e per ogni singolo vogatore : per la sua statura, per il suo peso, per il suo stile di voga.
In una forcola nulla è mai gratuito o puramente estetico : tutto serve e deve servire nelle più diverse situazioni
e deve durare per anni. Strumento di voga ma anche scultura, opera di altissimo artigiano, per me opera d’arte.
Ho frequentato per anni il ‘laboratorio’ di Bepi Carli, cercando di estorcergli sue vecchie forcole, che spesso lui si faceva dare in cambio delle nuove. Io le forcole le volevo già “vogate” perché non soltanto l’Uomo, anche il Tempo crea la bellezza di una forcola. Una forcola vogata e poi amorevolmente oliata per anni e anni, una forcola su cui il passaggio del remo ha reso ogni ‘morso’, ogni ‘recia’, ogni ‘sanca’, ogni centimetro di legno morbido e liscio e brillante come seta, non è più soltanto un oggetto : diventa viva come una persona. Ha una sua storia, una sua vita : è viva !
La forcola fotografata qui sopra per esempio ha una sua storia.
Ha vissuto a Venezia e poi a Burano e da qualche parte a Venezia la forcola fotografata qui sopra è ancora viva.
Riavvolgiamo il Tempo : è il 1970 circa. A Burano con Giovanna, dopo lunghe ricerche, troviamo una forcola molto vecchia, molto logorata dall’uso e dal tempo. E’ un vero rudere, quasi irriconoscibile.
La portiamo, incartata in fogli di giornale a Carli.
Bepi – senza aprire il pacco e senza aprire gli occhi ! –
la tocca attraverso il giornale,
la percorre tutta con la punta delle dita
e la riconosce al tatto come sua.
“Anche se – dice – è stata poi adattata per altra barca, questa l’ho fatta io !”.
Solo a quel punto noi scartiamo la forcola. Solo a quel punto lui apre gli occhi.
Carli è felice come se avesse ritrovato un figlio perduto e vuole firmare e datare il figliol prodigo.
Ad ogni nostra visita Carli regolarmente negava
di avere forcole vogate.
Regolarmente ci parlava
delle sue ‘sculture’ : il Cristo crocefisso … la Luna con la bandierina americana …
Poi però, mentre Giovanna lo intratteneva, io sgaiattolavo nello stanzino sul fondo e lì, a volte, trovavo, qualche sua forcola vecchia, vogata, nascosta ma non troppo. Come se il Carli, prevedendo la mia richiesta e ben sapendo del nostro sotterfugio di farlo distrarre da Giovanna, si fosse detto sotto i baffi (che non aveva) : “Io la nascondo, ma non troppo. Stiamo a vedere :
se il “milanese” (mai stato “milanese” . sempre orgogliosamente “varesino”, che è tutta un’altra cosa, soprattutto sotto canestro) .. se il “milanese” davvero ama le mie forcole, allora riuscirà a trovarla”.
E a volte, non sempre, io la trovavo.
A quel punto il Bepi non poteva negare di averla e non poteva rifiutarsi di darmela.
Dal gran signore che era si sentiva in colpa : mi aveva detto una bugia e io gli avevo scoperto gli altarini.
Carli sorrideva.
A quel punto e, qualunque prezzo Carli ci chiedesse, senza che io nemmeno pensassi ad una contrattazione perché sarebbe stata blasfema e fuori luogo in quel luogo ‘santo’, la forcola, tenuta amorevolmente in braccio come un neonato, partiva con noi per Milano.
A Milano le forcole erano stupende :
… vivevano come sculture, antiche e modernissime (Fidia e Brancusi e Moore) con la purezza della loro forma,
che era tutta e soltanto funzione. Bellezza assoluta con in più il vissuto della patina e la setosità di un legno
vogato per anni proprio dove il remo aveva accarezzato migliaia di volte un morso o una sanca.
Ogni anno, a fine autunno era un rito imperdibile di ore e ore oliarle una per una con l’olio paglierino
portato da Venezia, prima che in casa si accendesse il riscaldamento invernale.
Poi dopo trent’anni di week-end e vacanze in seconda casa, siamo finalmente venuti a vivere a Venezia.
A Palazzo Contarini dagli Scrigni-Corfù, le forcole esposte come sculture diventarono grottesche.
Non avevano senso, erano funebri. A Venezia la vita di una forcola è su una barca : non su un piedistallo in salotto !
Ecco perché decidemmo di valorizzarle offrendole all’Ente Gondola.
E fu commovente – Giovanna pianse – vederle esposte all’Arsenale con la scritta “Dono di Giovanna e Franco Bellino”.
Poi non le abbiamo più viste, però sempre rimpiante.
Tutte le forcole di Bepi Carli che ho raccolto nel secolo scorso, rigorosamente studiate e catalogate da Saverio Pastor,
le ha adesso quello che anni fa si chiamava “Ente Gondola”.
Per tutti, veneziani e foresti, sarebbe bellissimo poterle rivedere. Ognuna di quelle forcole è stata da Bepi scolpita,
da un gondoliere, di cui spesso si sa anche il nome, usata per anni e amorevolmente riposta alla sera,
e infine da me, quando ormai era ‘sbarcata’, ancora oliata e accarezzata per anni e anni.
Credo che ognuna di quelle forcole, oggi esiliate in qualche oscuro e umido magazzino,
sarebbe felice di rivedere Venezia, la sua luce e i mille riflessi del Sole e della Luna e delle stelle sul Canalasso.
Sono sicuro che ognuna di quelle forcole, se io potessi oggi accarezzarla, riconoscerebbe la mano che per anni
l’ha accarezzata e religiosamente ‘cresimata’ con l’olio paglierino.
Sono sicuro che ancora oggi, smemorato come ormai sono, persino io saprei - come anche Bepi Carli faceva –
riconoscerla ad occhi chiusi. Poker di parentesi. Passo e chiudo ))))
Il Leone scarmigliato e le frange del Gonfalone, scrivendo di loro mi hanno regalato la gioia
di rivivere quegli anni lontani e quei dialoghi con il burbero e affettuosissimo Bepi.
Ecco allora il legame profondo, la ragione che la ragione non conosce, ma la conosce il cuore,
che unisce il Leone scarmigliato nel vento della tempesta, le frange del Gonfalone che danzano nel cielo,
le forcole “vogate” e il “teatrino” che il mitico Bepi Carli
(testimone e spettatore forse allora anche il carissimo Saverio ‘Bìsturi’ Pastor)
metteva in scena per divertire i suoi ospiti ‘foresti’ e per divertirsi lui prima di tutti.
E’ la stessa segreta ragione che mi spiegò anni fa, con le sue parole e con il suo viso percorso dalle rughe
di una vita scolpita dai venti dell’Oceano, un pescatore portoghese. Mi indicava la sua barca tra le mille altre e mi diceva :
“Io non dico che la mia barca sia la più bella del porto.
Però dico che ha un modo di muoversi diverso da ogni altra barca”.
Lo stesso per una forcola : ogni forcola è unica al mondo. Ogni forcola è un ritratto :
il silenzioso ritratto sia del remèr che l’ha creata, sia dell’uomo che la voga e la ama.
Ecco perché il bronzetto del Leone investito dal vento della tempesta, ma saldo al suo posto come un Capitàn da mar di allora, come un navigatore solitario di oggi, mi parla anche della funzione delle frange.
Nella tempesta, anche sotto le raffiche più violente le frange fanno il proprio dovere : ‘sventano’,
attenuano la forza del vento sul corpo centrale del gonfalone e quindi il gonfalone non si straccia, il Viaggio continua.
Anche grazie alle frange sul suo Gonfalone quindi il Leone può andare fiero e maestoso di bolina
verso il suo destino di dominatore dei mari. Nessuno lo fermerà. Mai.
Non so ancora invece se questo Leone arriverà mai al porto di casa mia. Ma se non arriverà,
non sarà certo perché lui non sappia navigare : questo Leone sa fare “de’ remi (e delle vele) ali al folle volo”.
Sarò io semmai, sono io sicuramente oggi, a non e$$ere alla sua altezza.
Però Carli sorride.
Post Scriptum anni dopo.
Due immagini della stessa bandiera
raccontano in un solo istante un film di 90 minuti :
Il film è la storia di un uomo che all’inizio
è profondamente convinto dei valori culturali degli USA
e alla fine profondamente deluso della situazione culturale degli USA.
E’ il film rivisto ieri sera :
regia di Paul Haggis, che ha scritto per Clint Eastwood il capolavoro“Million dollar Baby”.
Lo storia di una vita.
Tutto detto – chiaro, semplice e definitivo -
in due sole immagini :
Il Leone skipper e Capitàn da mar mi ha offerto l’occasione di ricordare uno dei più emozionanti finali della letteratura italiana.
L’ultima riga de “Il Corsaro nero” di Emilio Salgari, 1871 :
“Guarda lassù : il Corsaro Nero piange !…”
Ci vuole del coraggio per abbandonare il proprio unico grande amore in mezzo al mare.
Ma ci vuole anche del coraggio per abbandonare il racconto di un romanzo di centinaia di pagine con un’ultima riga così.
Le foto nel testo sono di Saverio Pastor, Manfredo Manfroi, Sergio Sutto o vengono dal Web senza indicazione di autore.
Sono pronto ad aggiungere il nome se avessi dimenticato qualche fotografo. E a scusarmi e a ringraziarlo
Molto belle le parole sul gonfalone ed interessante la storia delle frange.
Finché lo “Stato da mar” è esistito ha avuto la funzione delle frange: ha difeso la parte centrale…Venezia.
Con la perdita di Cipro Venezia non si risolleverà più : la frangia più importante mancava.
Sei sempre curioso ed interessante, Giovanna è fortunata.
Un abbraccio a tutti e2
Grazie Alberto.
Mi piace molto la tua analogia tra
le frange che proteggono il cuore del Gonfalone
e lo Stato da Mar che protegge il cuore della Serenissima.
Un aggiunta che arricchisce il mio testo.
Anche per questo scrivo : per dialogare e imparare.
Qui sopra ho scritto : Una forcola non è più soltanto un oggetto : diventa viva come una persona. Ha una sua storia, una sua vita : è viva !
E ancora ho scritto : Credo che ognuna di quelle forcole sarebbe felice di rivedere Venezia …
E poi : Sono sicuro che ognuna di quelle forcole, se io potessi oggi accarezzarla, riconoscerebbe la mia mano …”
Scrivo che una forcola è viva … che può essere felice … che riconoscerebbe la mia mano.
Passano poche ore e trovo il catalogo di una Mostra fatta a Milano nel 1980, 40 anni fa. “Antico e Moderno. Un incontro con Nella Longari”.
Trovo questo vecchio catalogo per caso. Ma non può essere soltanto un caso che proprio le primissime righe del testo di Alfredo Todisco
siano dedicate ad una scultura antica. Parla la scultura : “Voglio confidarvi un segreto : le statue pensano.
Le statue non esistono solo in virtù della loro superficie : hanno un’anima interna, nascondono una moltitudine di idee, di giudizi.
Il pensiero delle sculture è il più silenzioso al mondo; sta, come murato vivo, nell’interno delle loro teste di marmo
e proprio lì svolge un discorso senza fine”.
Due persone lontanissime nel tempo e nello spazio pensano lo stesso pensiero :
che tutto è vita, che persino gli oggetti (una forcola o una scultura) pensano, provano emozioni, parlano.
Sono convinto che se noi sappiamo essere umili e pazienti e soprattutto silenziosi,
le opere d’arte e anche gli oggetti che amiamo hanno molto da dirci.
Molto da dirci su di loro e molto, forse ancora di più, da dirci su di noi.
Mi scrive una carissima amica : “Grazie Franco, per questo racconto
E grazie a te e a Giovanna anche per il dono che avete fatto all’Ente Gondola, che spero prima o poi vorrá valorizzarlo.
Mi hai commosso quando hai scritto che le forcole a Venezia non possono stare su piedistalli
perché sono cose vive che devono stare su una barca…..
un po’ come l’albatros di Baudelaire che deve libarsi nell’aria per non essere grottesco.
Ognuno di noi ha bisogno del suo cielo per volare alto.
Un abbraccio a tutti e due.
S.M.C.
Post Scriptum
A volte il commento di un Lettore a un mio scritto è così bello e di tanto migliora il testo originale, che io sento il dovere di incorporarlo
perché questa aggiunta regala nuovo piacere ad ogni nuovo Lettore.
E’ successo con un commento ricevuto poche ore dopo aver pubblicato lo scritto qui sopra e sono felice di riportarlo qui.
Grazie Franco per questo racconto
Mi hai commosso quando hai scritto che le forcole a Venezia non possono stare su piedistalli
perché sono cose vive che devono stare su una barca…..
un po’ come l’albatros di Baudelaire che deve librarsi nell’aria per non essere grottesco.
Ognuno di noi ha bisogno del suo cielo per volare alto.
Silva.
Che bella, Silva, la tua immagine che avvicina ad un albatros prigioniero la forcola crudelmente amputata della sua gamba e posta su un piedistallo.
Quella forcola mutilata è sempre bella, è sempre elegante, ma diventa grottesca. Tu hai colto ed espresso proprio l’emozione che Giovanna ed io
provammo quando siamo venuti a vivere a Venezia : le forcole che a Milano erano bellissime, ammirate come sculture dagli ospiti che le amavano
e ce le invidiavanoL’albatros, a Venezia immediatamente apparvero infelici e ci resero infelici.
In un Palazzo sul Canal Grande, le forcole sui loro piedistalli erano improvvisamente sbagliate.
Facevano pena a noi e, sono sicuro, soffrivano loro.
Soffrivano le mie forcole proprio come soffre il maestoso signore dei mari, descritto da Baudelaire :
L’albatros
Souvent, pour s’amuser, les hommes d’équipage
Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.
A peine les ont-ils déposés sur les planches,
Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Comme des avirons traîner à côté d’eux.
Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule !
Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid ! …
L’albatro
Spesso per divertirsi i marinai
catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
che seguono, pigri compagni di viaggio,
le navi in volo sugli abissi amari.
L’hanno appena deposto sui tavolati del ponte
e già il re dell’azzurro è goffo e si vergogna;
strascina penosamente accanto a sé
le grandi ali bianche come se fossero remi.
Com’è goffo e maldestro il viaggiatore alato.
Lui, prima così bello, ora è comico e brutto …
Hai avuto una bellissima intuizione, Silva. La forcola ha senso sull’acqua, l’albatros ha senso in cielo.
Pensa che a me fanno già tristezza la sera, le forcole, quando vedo i gondolieri che preparano la gondola per la notte : méton la barca da note.
Sollevano la forcola e la infilano sotto il trasto, un po’ nascosta e protetta, mentre il remo rimane disteso verso poppa, in vista.
Poi i gondolieri coprono tutto con un telo blu e se ne vanno.
Uno di loro però si volta sempre due tre volte a guardare la sua gondola prima di lasciarla sola per tutta la notte.
E io penso alla forcola, che deve sentire molto freddo in queste prime notti d’autunno.
Lo sciacquio gentile del Canal Grande la culla dolcemente, ma a volte la forcola viene brutalmente sbattuta contro lo scafo
per il passaggio veloce di un’ambulanza o dei pompieri. Che risveglio brusco dev’essere
quello provocato dalle onde violente che si precipitano sulle gondole addormentate e le sbatacchiano rudemente.
Non so se la forcola dorme, so che sarà felice la mattina dopo quando lo sbesariòl o fiòsso verrà a verzèr la barca,
la prenderà in mano, forse la sfiorerà con una carezza e poi la infilerà dove la forcola deve e vuole stare :
nel nogaro o buso dea forcola, pronta ad essere accarezzata dal remo.
Una carezza quella del remo alla sua forcola a volte forte e decisa, a volte leggera e prolungata.
Il remo e la forcola : una storia d’amore, un contatto fisico, reale, concreto e quindi anche sensuale.
Un amore che ogni giorno da secoli si ripete a Venezia e che arricchisce d’amore anche la nostra vita.
Ho parlato del rapporto sensuale (erotico ?) tra forcola e remo.
Mi fa notare Paolo, il pasticciere-poeta, che un altro rapporto sensuale (erotico) è quello tra forcola e nogaro.
Qui i ruoli sono invertiti rispetto a prima : rispetto al remo che la accarezza la forcola è femmina.
Rispetto al nogaro in cui penetra la forcola è maschio.
Kamasutra in Canalasso ☺
Poi si potrebbe parlare anche della pènola.
Anche lei ha sentimenti. Anche lei ci parla.
Ma per ascoltare la voce della pénola
nulla meglio dei versi affettuosi di Paolo, poeta-pasticciere.
So’ un toco de legno
sensa valòr,
ma go da’ sostegno
al megio vogador.
Sensa de mi
la forcola sta mal
e no se pol vogar.
I me spense
i me strense
e quando che i se gà
ben servìo,
i me vanta
e i me buta in rio !
Requiescat in pace.
E se quel leone in realtà fosse una leonessa? Non è un tema di gender equality, ma di fierezza antica, di coraggio genetico, di quel fare cosi audace proprio di grandi donne che hanno sfidato il mondo. E se quella criniera fossero i capelli di Margaret Hamilton, ingegnere informatico responsabile del team che sviluppò il software impiegato nelle operazioni di allunaggio con l’operazione Apollo 11? E se quello sguardo fiero fosse quello dell’aviatrice Amelia Mary Earheart, la prima donna a sorvolare da sola il Pacifico? E se quella postura così retta e forte fosse quella di Rosa Park, la donna afroamericana che nel 1955 fu arrestata per non aver ceduto il suo posto in autobus ad un bianco? E se l’eleganza di quel corpo snello e veloce fosse propria di Coco Chanel, la donna che modificò radicalmente il mondo della moda con una visione della donna moderna e emancipata? E se il tuo leone avesse il talento, la saggezza e l’ingegno di Rita Levi Montalcini? Jean Paul scriveva che “nelle donne tutto è cuore, perfino la testa.” Il tuo Leone, Franco caro, unisce tempi e modi: attraversa secoli, religioni, culture modelli. È oltre noi. Il tuo Leone è libero, per questo eterno.
Grazie, Sara. Il tuo commento qui sopra conferma quello che ho sempre pensato :
scrivermi addosso è una colpa perdonabile perchè magicamnete produce in chi legge le mie farneticazioni pensieri profondi ed emozionanti.
Voglio qui pubblicare anche le affettuose parole che mi hai scritto in privato. Sono troppo belle perchè rimangano segrete :
Leggerti è un piccolo miracolo: è un po’ come aprire le imposte e sentire il mare.
Grazie per il link (che mi ha dato modo di leggere qualcosa di meraviglioso) e grazie per il post: quello rimarrà, esattamente come il Leone.
Il mio commento è poca cosa, l’ho pubblicato un istante fa: pensieri tra le dita o tra il manto di quell’essere così integro e intatto nella sua fierezza.
Lo riporto qua, nell’assoluta convinzione che ognuno di noi porti con sé la storia di umano,
il cui tocco, che sia di parole o di penna, generi in qualche modo magia.
Buonanotte Franco, un caro abbraccio,
Sara
Che dire, Maestro? Siete da operetta. Tu, Sara, il Leone, le Forcole… ce n’è abbastanza per emulare Goldoni.
Che dico, operetta? Un’opera, la tua, che assurge a misericordiosa missione per erudire le anime fagocitate dalla bieca quotidianità.
Il quotidiano che proponi tu è poesia. E’ danza.
Il nostro grazie per la tua grazia.
bello
belle le foto
belli i leoncini
e le riflessioni su di essi
anca massa!….. ce n’è per 3 articoli
Aggiungerei solo una cosa: le vostre forcole (alcune) erano esposte in Arsenale nell’antica officina da remi
in occasione dei 700 anni de larte dei remeri, inserite in una mostra che si completava con una in Cansiglio
e con l’esperienza di archeologia sperimentale consistente nella realizzazione di un remo da galea di 9,3mt
e, ovviamente il corrispondente libro, ricco di contributi di illustri esperti
ciao
Grazie, Saverio.
Ti sei commosso almeno un poco ?
Giovanna ha detto
che ci si sente il mio grande amore per Venezia.
Un po’ è anche merito tuo.
Anca massa !
Franco
Complimenti molti bello ed esauriente.
Sapevo che eri un artista della penna (oggi PC) e del pensiero.
Il tuo lavoro è un cocktail di ingredienti, non so se definirlo una superba ricerca,
un racconto poetico o una breve storiografia vestita di arte letteraria.
Posso solo dire : BRAVO.
Grazie FraDiDo.
Giovanna leggendo il testo qui sopra si è commossa e ha pianto.
Aveva gli occhi lucidi non per qualche argomento in particolare, ma perché, ha detto :
“Si sente il tuo grande amore per Venezia”.
E’ vero : leoncino scarmigliato .. frange del gonfalone .. forcole della gondole
e incontri con bepi Carli, il ‘maestro dei maestri dei remèr’ .. sono soltanto pretesti.
Quello che mi piace fare e mi sforzo di fare, dedicando giorni e giorni di scritture e riscritture,
è condividere con chi mi legge il mio amore per Venezia.
Amore che arriva fino al punto di preoccuparmi per la forcola che di notte dorme da sola nella sua gondola
e viene sballottata dalle onde troppo alte che solleva l’ambulanza che sfreccia velocissima in Canal Grande. ‘
Rimbambimento senile’ sarebbe la diagnosi. La prognosi è inevitabile e manca per ora una terapia.
Che peraltro non seguirei, mi trovo bene così.
‘Rinco’ e sereno.
Complimenti .
Un testo bellissimo, interessante e pieno di sorprese. Ormai chi ti conosce, chi ti legge sa di partecipare ad uno spettacolo che ha uguali solo al Cirque du Soleil. Ogni tuo testo é un avventura, con un’atmosfera speciale, con sorprese e colpi di scena. Un testo che pavesa (per restare in tema) emozioni, storia, magia.
Bravò (da leggere in francese)
Il tuo commento, Reffo, xe beo, ciò (da leggere in veneziano).
Anch’io ho pensato istintivamente a Brancusi e Moore quando ho visto lo spettacolare corredo fotografico che accompagna il tuo excursus sulle forcole e sul loro straordinario specialista, quel Bepi che rimpiango di non aver conosciuto. C’è qualcosa che ci rende complici in questo periodo, Franco, oltre alla vecchia amicizia e all’amore per Venezia: come te provo gusto a concentrarmi sui dettagli, sulle miniature, sulle “frange” più defilate dell’universo quotidiano. Aguzzo lo sguardo e scorgo cose che prima non coglievo. E so il perché. È il mio modo di reagire all’oppressione pandemica e alla claustrofobia che ne deriva. Sapendo di non potermi allontanare troppo dalla casa, dal giardino e dalle immediate adiacenze, ho idealmente ridotto il mio paesaggio abitativo in frammenti spesso non più grandi di un mattone e lo vado fotografando pezzetto per pezzetto per scoprirvi qualcosa di inedito. Una specie di ossessione che chiamerei Covid art, se non suonasse comicamente arrogante. (Del resto, pandemie ed epidemie hanno lasciato tracce indelebili nel nostro patrimonio culturale, dal Decameron a Santa Maria della Salute…).
Chiunque vanti titoli sulle foto di questo articolo mi contatti subito per la loro immediata rimozione.