“€ureka !”
Appunti per un libro che scriverò un giorno.
Ho scritto “crear$i 9439 consigli pratici per la tua creatività”:
http://www.francobellino.com/?p=4437#more-4437
Però ogni giorno penso che devo dare un senso alla mia vita.
Ogni giorno so che devo cercare di essere utile ai mille figli che non ho avuto.
Sento che posso regalare dei consigli pratici a molti giovani, senza limiti di età.
Perciò quasi ogni giorno scrivo qualche nuovo consiglio pratico.
I nuovi consigli pratici li trovo leggendo, parlando, andando al mercato, ascoltando musica, guardando il telegiornale o un film. A volte guardando nel vuoto, perché il vuoto non è mai vuoto. Li trovo persino sognando : se mi sveglio e lo annoto subito quel consiglio non mi scappa.
Così ho trovato altri 9439 nuovi consigli pratici per la tua creatività.
Vorrei offrirteli in un nuovo libro che pubblicherò forse un giorno. Ma … ma non so se io ci arriverò a ‘quel’ giorno.
Allora li pubblico qui giorno per giorno, come vengono vengono. Per ora non li rileggo e soprattutto non li giudico. Per ora è giusto amarli e salvarli tutti. Poi verrà il giorno del giudizio : sceglierò, sceglieremo insieme, i consigli più belli e i più utili – i più veri – ed elimineremo tutti gli altri.
A quel punto dovrò soltanto orchestrare queste note e pubblicarle. Anche il titolo forse cambierà.
Ma per oggi va bene così.
‘Note senza testo’, ha scritto Bazlen.
‘Que serà, serà’ canta Doris Day.
1
Non fidarti mai di un coccodrillo
Nemmeno quando è morto.
Peter Beard, geniale fotografo, scrittore, playboy di sterminato successo, sempre circondato da bellissime donne (attrici, modelle, scrittrici, la moglie di un presidente e fanciulle etiopi) nel 1965 è in Africa e studia i coccodrilli. Lavora con un biologo scozzese, Alistair Graham, a Koobi Fora sulle rive del Lago Rudolph (oggi Lago Turkana) in Kenya. I due hanno appena ucciso un bestione lungo quasi 5 metri. Adesso aspettano l’arrivo dell’aereo che verrà a prelevarli solo domani.
Beard ha un’idea : per me scrivere è così importante che non smetto nemmeno mentre muoio.
Allora dice all’amico : “Alistair, mi fai questa foto ? Io che scrivo sul mio diario anche se il coccodrillo mi sta divorando” .
Quello che Beard non si aspetta però è che il coccodrillo morto davvero lo divora !
Si chiama ‘rigor mortis’ e succede anche a noi. Tu sei bell’e morto e i muscoli si contraggono e si irrigidiscono. Le zanne del coccodrillo morto .. ZAC ! addentano le gambe del povero Beard.
Ci volle del bello e del buono per scardinare le possenti fauci del coccodrillo (morto) e per liberare il povero Beard (vivo, ma quasi morto).
La foto però venne davvero bellissima : è un perfetto ritratto di Beard ed è oggi famosa in tutto il mondo. Si intitola “I’ll write whenever I can” (Io scriverò sempre qualunque cosa succeda). Una semplice stampa di questa foto il 19 Novembre 2008 ha fatto da Christie’s la bellezza di 55,250 sterline, quasi 70.000 €uro.
A me questa immagine piace davvero molto perché esprime tutta la mia passione di scrivere sempre e dovunque pur sapendo di non essere bravo, ma sperando di essere utile. Ma tant’è, qui ci sta bene e qui la metto.
Però io non mi fido del coccodrillo nemmeno quando è morto e stampato. Perciò se arriva qualcuno con il ‘rigor dollaris’ e mi chiede i diritti, io dichiaro fin da ora che mi fiondo immediatamente fuori dalla bocca del coccodrillo, cancello la foto dal mio blog e non pagherò mai nemmeno un centesimo. Qui lo scrivo e lo confermo.
E il coccodrillo vada pure dove sa benissimo di dover andare.
2
Non mi fido di un coccodrillo
nemmeno quando sarò morto.
Nel giornalismo il ‘coccodrillo’ è il ritratto di ogni personaggio (attori, cantanti, politici, criminali, campioni sportivi) che si tiene sempre pronto in Redazione. Così se qualcuno muore all’improvviso tu non devi fare ricerche : l’articolo, cioè ‘il coccodrillo’, ce l’hai già bell’e pronto.
Siccome però del ‘coccodrillo’ scritto da altri io non mi fido, il mio me lo sono già scritto da solo. Ci ho messo Chaplin e Kubrick, Prevert e Li-Yu, Francois Villon e Verdi e Puccini e anche Giovanna.
Non è male, spero soltanto che venga buono tra molti, moltissimi anni.
Eccolo :
E’ scomparso in silenzio, nell’elegante malinconia di un tramonto veneziano (ma forse indiano), Franco Bellino.
Per tutta la vita Franco ha cercato di donare a chi incontrava almeno un sorriso.
Ebbe un solo grande primo e ultimo amore.
La sua scomparsa ha lasciato per brevissimo tempo e in pochissime persone minime tracce : lacrime nella pioggia, lettere d’amore scritte sulla sabbia.
Fu sempre franco, non sempre bellino.
Se tu, chiunque e dovunque tu sia,
leggendo queste righe sorridi – anch’io,
chiunque e dovunque ora sia, sorrido.
Post Scriptum
anzi :
Ante Scriptum
José Antonio Muñiz Velázquez, direttore del Dipartimento di Comunicazione dell’Università Loyola di Sevilla è convinto, e lo propone sempre come esercizio ai suoi studenti
sia in Spagna che in Italia, che scrivere il proprio ‘coccodrillo’ sia un ottimo esercizio di scrittura creativa.
Prova anche tu. Ti farà molto bene, anche se non sei superstizioso.
3
E’ ridicola la paura del ridicolo.
Quante volte ci blocchiamo per paura di diventare ridicoli.
Mi invitano a cantare e io no. Dico : “Sono stonato”. In realtà ho paura di diventare ridicolo.
Mi invitano a ballare e io no. “No, no. Io sono goffo come un orso” (gli orsi non sono MAI goffi).
In pubblico vorrei alzare la mano e fare una domanda, ma mi viene il braccino (chi ha giocato a tennis mi capisce) perché ho paura di fare una domanda stupida. Poi la stessa domanda la fa un altro, tutti la trovano geniale e io mi morderei il braccino.
Quella persona è meravigliosa … vorrei dirglielo … adesso glielo dico, ma ….. ma se poi sono ridicolo ?
Così quello che poteva essere l’incontro della nostra vita svanisce per sempre.
Non è mai ridicolo mettersi in gioco : ridicolo è avere paura di essere ridicoli.
Pessoa ..
Il più grande poeta portoghese, nella vita un umile impiegato, un giorno scoprì che scrivere una lettera d’amore ti rende ridicolo.
Tutte le lettere d’amore sono ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero ridicole.
.. Vecchioni ..
Un grande poeta italiano, nella vita un umile (mica tanto umile) insegnante, un giorno scoprì che non scrivere una lettera d’amore ti rende ridicolo.
.. invece di continuare a tormentarsi con un mondo assurdo,
basterebbe toccare il corpo di una donna, rispondere a uno sguardo…
E scrivere d’amore, e scrivere d’amore, anche se si fa ridere.
Anche quando la guardi, anche mentre la perdi
quello che conta è scrivere e non aver paura,
non aver mai paura di essere ridicoli.
Solo chi non ha scritto mai lettere d’amore
fa veramente ridere.
.. e io :
Un umile pubblicitario un giorno si rese ridicolo davanti a decine di persone su un set.
Chiedo al grande attore che interpreta un mio film :
“Umberto (Orsini) in questa scena potresti per favore arrossire ?”
La richiesta era ridicola (cfr. “crear$i consiglio 4439) e io mi resi ridicolo.
Tu non avere mai paura.
Ridicolo è quando tu hai paura di essere ridicolo.
Pessoa :
https://www.youtube.com/watch?v=r6iOpI_yMKk
Vecchioni :
https://www.youtube.com/watch?v=xnslQaGKj44
Io :
https://www.youtube.com/watch?v=6f5m2bSsHwI al parziale 0:32 :
Post Scriptum
Tu prova per una volta a scrivere una lettera d’amore.
Non un SMS, un WA, non su Telegram, IG, Tik Tok :
no, proprio una lettera che scrivi con la penna, ma va bene anche la biro, su un foglio di carta, poi la metti in una busta, esci di casa e la infili nella buca delle lettere (se ancora esistono).
Vecchioni dice parole molto vere e perciò molto belle in questo video :
http://www.bibliolab.it/letteramore/vecchioni.htm
Che cosa è una lettera d’amore ?
La lettera d’amore è una cosa che si tocca .. è una cosa che ha una persona da raggiungere.
E’ una cosa vera, una cosa reale, fisica … E’ una cosa che manda fuori segnali che non sono soltanto parole: sono praticamente delle mani, praticamente delle carezze ….
E’ come toccare, come toccare l’altro .. la persona che c’è dall’altra parte…
Ho le lettere d’amore di mia mamma e mio papà quando erano fidanzati, lei a Bologna, lui a Roma. Ogni lettera di mia mamma finisce sempre
con l’impronta rosa delle labbra per dargli un bacio. Lui ha toccato quel foglio di carta, ha sentito il profumo di quelle labbra, ha baciato quel bacio. E lo ha amato e conservato per anni e anni e ancora oggi io in quelle lettere sento e vedo e amo il loro amore.
4
Aggiornati di notte !
Qualsiasi lavoro tu farai dedica almeno un’ora al giorno – ogni giorno, piuttosto di notte – per aggiornarti sulla tua professione.
Almeno un’ora al giorno per leggere, navigare, studiare, informarti. Anche i week-end possono servire; anche le vacanze possono essere preziose per sapere cosa succede intorno a te, cosa c’è di nuovo nel mondo, cosa fanno i migliori.
Sono in taxi a Milano, attacco bottone, come faccio sempre. Il tragitto è lungo, abbiamo tempo per conoscerci un poco.
Il tassista : In realtà io non sono un tassista. Ho la licenza del taxi, ma sono un TSRM.
Io : Scusi, cos’è un TSRM. E’ grave ? Si guarisce ?
Il tassista : TSRM è il Tecnico Sanitario di Radiologia Medica. In pratica io dovrei lavorare con un radiologo, un radioterapista, un medico nucleare …. in tutti i posti dove si usano radiazioni ionizzanti.
Ha presente la TAC ? .. la Risonanza magnetica ? .. la PET, che sarebbe la Tomografia a emissione di positroni ?
Io : Sì, purtroppo le ho presenti, tutte. E ho presenti anche le fatture pagate.
Il tassista : Ecco, benissimo : questo è il lavoro per cui io ho studiato. Per svolgere questa professione in Italia è necessaria la laurea triennale all’Università di Medicina. Ho fatto l’Università e mi sono laureato con il massimo dei voti.
Io : E allora perché non fa il TSRM e invece fa il tassista ?
Il tassista : Faccio il tassista perché il TSRM lavora come dipendente o come libero professionista. Per poter lavorare nel ‘pubblico’ però devi prima fare un concorso.
Io : Vabbè, e Lei lo faccia il concorso.
Il tassista : Concorso fatto, concorso vinto. Ma … ma siccome la legge non impone ai datori di lavoro la presenza di un tecnico laureato, loro per risparmiare non assumono. Sarebbe utile, sarebbe indispensabile, però non è obbligatorio. E optional, capisce ?
Io : Capisco. E allora ?
Il tassista : E allora ho fatto un altro concorso e ho vinto la licenza del taxi.
Vabbè gli dico, ma appena possibile tornerà a fare la sua professione.
Impossibile, dice lui : lo sviluppo della teoria e delle macchine è così rapida che se rimani fuori anche solo un anno, non puoi più recuperare.
Per te, ecco il consiglio pratico che nasce dalla chiacchierata con il tassista dottore in TSRM :
qualunque lavoro tu faccia cerca di trovare il tempo per essere sempre il più informato, il più aggiornato, per essere un tu migliore.
Ti conviene essere aggiornato nella tua professione perché la licenza di un taxi può costare anche 2-300.000 Euro. A Venezia anche di più.
5
Se non hai, dai !
Scopro in Rete uno straordinario esempio di creatività generosa :
Due malati gravi sono nella stessa stanza d’ospedale.
Uno dei due può sedersi dritto nel suo letto per un’ora ogni pomeriggio, perché è il momento in cui i suoi polmoni vengono aspirati.
Il suo letto è vicino all’unica finestra della stanza. L’altro uomo invece è costretto a rimanere sempre sdraiato sulla schiena : non può nemmeno voltarsi.
I due pazienti vicini di letto parlano per ore delle loro mogli, dei figli, delle loro case, del loro lavoro, ricordano il servizio militare di tanti anni fa e le ultime serene vacanze.
Ogni pomeriggio quando l’uomo nel letto vicino alla finestra può guardare fuori descrive all’altro tutto quello che vede.
L’uomo disteso comincia a vivere per aspettare quell’ora in cui il piccolo mondo che lui può vedere – il soffitto bianco di una bianca stanza d’ospedale – è reso vivo da tutte le immagini del mondo esterno.
Fuori dalla finestra c’è un parco con un bel lago. Anatre e cigni si muovono eleganti sull’acqua mentre a riva i bambini giocano con i loro modellini di barche. Coppie di innamorati camminano abbracciate tra le aiuole fiorite. In lontananza si vede il panorama della città. Ancora più lontano le montagne sono azzurre. Quando il sole lentamente scende dietro le cime più alte, il cielo diventa di fuoco.
Mentre l’uomo alla finestra descrive tutto questo, l’uomo disteso chiude gli occhi e lo immagina.
Un giorno proprio sotto la finestra passa una processione, i bambini cantano e la banda suona allegramente. L’uomo disteso non li sente però riesce a vederli ad occhi chiusi.
Passano i giorni. Una mattina l’infermiera viene a svegliarli, ma trova il corpo senza vita dell’uomo nel letto vicino alla finestra. E’ morto serenamente nel sonno.
Più tardi l’ammalato che deve rimanere disteso chiede: Potrei essere spostato vicino alla finestra, dove c’è ora il letto libero ?
Lo accontentano.
Nel nuovo letto lentamente, dolorosamente, l’uomo si puntella su un gomito e si solleva per guardare fuori dalla finestra.
Fuori dalla finestra vede un muro. C’è solo un muro.
Non si vede assolutamente niente altro : solo un muro.
Allora lui chiede all’infermiera: “Ma perché il mio vicino di letto mi ha inventato visioni così meravigliose fuori da quella finestra ? Fuori non si vede niente.”
L’infermiera risponde : “E’ vero, fuori da questa finestra non si vede niente. Ma anche se si vedesse qualcosa, il suo amico non l’avrebbe vista : era cieco.
Eppure con i suoi racconti, con le sue immagini tutte inventate, per giorni e giorni ti ha reso felice, vero ?”.
L’uomo capisce il dono meraviglioso che l’amico gli ha fatto. E anche tu capisci quanto con la tua creatività puoi sempre donare, persino quando credi di non avere nulla. Anche se non hai, dà !
P.S.1
Questa storia è bellissima, però è anche incredibile.
Si doveva raccontarla meglio. Se i due malati per settimane si sono parlati delle famiglie, del lavoro, dei viaggi e delle vacanze può anche darsi che l’uomo vicino alla finestra non abbia detto all’amico che lui era cieco. Però è impossibile che il malato che doveva restare disteso non si fosse accorto che il suo vicino di letto era cieco.
Per voler dire troppo chi narra questa storia storpia. Non c‘era bisogno di dire che il malato vicino alla finestra era cieco ; la storia era già bella così, con lui che inventava paesaggi meravigliosi solo per fare felice il vicino di letto.
Ecco per te da una sola storia due consigli pratici.
Primo consiglio, il più importante :
puoi sempre regalare qualcosa anche se non hai nulla. Fallo !
Secondo consiglio : quando hai detto quello che devi dire, fermati. Tutto quello che aggiungi non migliora, anzi può peggiorare. Non farlo.
Sii generoso di te, ma avarissimo di parole inutili.
P.S.2
“Se non hai, dai”.
La vuoi in musica ?
Ecco un’idea : https://www.youtube.com/watch?v=qd26426Rfsg
Preferisci più classico ?
Beethoven, la 3° o la 5° sinfonia e comunque : sempre. add marito finto cieco
6
Tu sei chi appari.
Scuola. Lezione o interrogazione in DAD.
Tu alzi la mano o il Prof ti interroga.
Lavoro : meeting in Smart.
Il Grande Capo o il Cliente ti fa una domanda.
Vita : su ZOOM per la prima volta le/gli appari tu.
Tu chi sei ?
Chi vuoi essere ?
Tu sei l’immagine che appare sul cellulare o sul monitor.
Sei la faccia, i capelli, il vestito che qualcun altro vede.
E che giudica.
Sei lo sfondo e l’ambiente in cui ti trovi. Che qualcun altro vede e che giudica.
Sei la luce e le ombre in cui gli altri ti vedono. E giudicano.
Sei l’immagine che hai scelto di essere : solo il volto (PP), solo gli occhi (PPP), mezzo busto (PA). Sei vicino o lontano dalla webcam. Stai piuttosto lontano per non fare il ‘faccione’. Stai proprio di fronte o un po’di ¾ come la Gruber. Di ¾ sei più sexy. Ti inquadri un po’ dal basso così sembri più alto o più autorevole.
Guarda gli altri in TV.
Hanno tutti sempre alle spalle una libreria. Meglio se fa angolo così i libri sembrano di più.
Molti mettono apposta qualche libro fuori posto così la biblioteca fa più “vissuto”.
Guai se appare una sfilza di volumi rilegati tutti uguali : fa tanto Enciclopedia acquistata porta-a-porta sul pianerottolo. Peggio ancora, peggio di Fantozzi, quelle file di libri, di cui si vede solo il dorso ma dentro sono vuote : sono i finti libri si usano sul set per non appesantire i finti mobili.
L’immagine di te che appare nelle lezioni in DAD, nelle riunioni di lavoro ‘smart’, nei dialoghi con il tuo amore lontano, parlano di te.
Per il Prof o per il Cliente o per il futuro Datore di lavoro quello che tu dici dipende sì da quanto è giusto e da come lo dici, ma dipende anche da quello che lui vede mentre tu lo dici.
Tu sei CHI appari.
Cerca di essere sempre il TU migliore.
Non una volta tanto : ogni volta.
7
Corso di fotografia : bocciato.
Anzi : espulso !
Anche nel più elementare corso di fotografia io sarei un allievo irrecuperabile perché ho 83 anni, per quasi 70 anni ho girato il mondo e non ho mai portato con me una macchina fotografica. Non volevo distrarmi : volevo concentrarmi a guardare, vedere, capire, emozionarmi, assaporare ogni istante e immagazzinare ricordi.
Il fatto di non avere una macchina fotografica ha prodotto un bizzarro risultato : in tutti i Paesi del mondo, persino i più improbabili ed esotici (Yemen, Cappadocia, Bali, Perù, Egitto, Sri Lanka, Cambogia), è capitato che qualcuno mi chiedesse informazioni stradali : non avevo la macchina fotografica quindi dovevo essere del posto.
Una volta però anch’io ho avuto una macchina fotografica : ero molto a Nord di Celebes/Sulawesi in territori quasi mai toccati prima di me da turisti. Portai con me una Polaroid : ogni scatto che facevo, la macchina dopo pochissimi secondi sputava fuori la fotografia già stampata e io la regalavo alla persona ritratta.
Per loro era una magia : erano stupefatti ed entusiasti. Mi avrebbero ospitato in casa loro per mesi. Peccato che nella stessa casa tenessero per mesi il cadavere di un parente caro in attesa di potersi permettere un maestoso e costosissimo funerale. A me non è rimasta nemmeno una foto !
Purtroppo vedo ogni giorno a Venezia migliaia di persone che non guardano la città che pure sono venuti a vedere, che pagano per scoprire.
Tu gli indichi una meraviglia e loro cosa fanno ?
Voltano le spalle – VOLTANO LE SPALLE ALLA MERAVIGLIA ! – per farsi un selfie. Non guardano Venezia : si guardano nel selfie, condividono e passano oltre.
Tornati a casa spunteranno Venezia dall’elenco dei posti da vedere e passeranno oltre nella lista.
Sharm el-Sheikh (non Egitto) ? Fatto.
Phuket (non Thailandia) ? Fatto.
Bali ? Fatto.
Gran Canyon, fatto. Anche Disneyland.
Yemen, da fare. Adesso però meglio di no.
(cfr. Consiglio 843 di ‘crear$i’)
8
C’è il coniglio, ma non c’è il consiglio.
Zoo di Parigi. Il leone Johannes non si muove da giorni : se ne sta abbacchiato in un angolo della sua gabbia. Non mangia. Deperisce.
Il veterinario suggerisce di stimolarlo dandogli una preda viva. Forse così in Johannes si risveglia l’istinto e l’appetito. E’ una soluzione crudele, ma bisogna salvargli la vita.
Il guardiano mette dentro la gabbia del leone un coniglio vivo, che sarebbe comunque destinato al macello. Subito il guardiano scappa via : non vuole vedere. Vede la mattina dopo :
il coniglio è vivo, accoccolato tra le zampe del leone che lo protegge.
In pochi giorni Johannes, grazie al suo nuovo amico, riprende a mangiare (non il coniglio!), torna vivace e in forma.
L’amicizia gli ha salvato la vita.
Anche al coniglio.
A chi sta leggendo : in questo testo c’è un coniglio, ma manca il consiglio.
Però il titolo del mio libro esige che ogni testo sia un consiglio pratico per una vita creativa.
Se tu mi scrivi il consiglio pratico che nasce dalla storia del leone Johannes e del suo coniglio, prometto di fare immediatamente una nuova edizione del libro e di pubblicarlo.
Ed ecco da parte di Andrea Concato, uno dei più grandi copywriter italiani, un consiglio. Anzi due consigli, perchè come ha scritto un altro grande copy : “Du is megl che uan”:
Non sai quanto meglio potrai vivere! (questa non è per creativi)
9
Vedi
in ogni personaggio un paesaggio
e in ogni paesaggio un personaggio.
Ogni personaggio vive nello spazio, proprio come un paesaggio che tu esplori girando lo sguardo per tutto l’orizzonte. Ogni persona, anche tu, sei diverso in spazi diversi.
Ogni paesaggio vive nel tempo, proprio come un personaggio che nasce, cresce, cambia nel tempo di una vita e anche di un racconto o di un film.
Ogni spazio, anche dove vivi tu, è diverso in tempi diversi.
Tu che scrivi .. che disegni o dipingi o fotografi e crei immagini … tu che cammini o che danzi, che fai sport o crei musica … ricorda sempre che tutto vive. “Panta rei” diceva un greco antico.
Un paesaggio non lo conoscerai mai veramente perché è e sarà sempre diverso nelle diverse ore del giorno, nelle diverse situazioni meteo, nelle diverse stagioni dell’anno.
I poeti cinesi e giapponesi descrivono sempre nei loro versi una diversa stagione di ogni paesaggio.
Monet ha dipinto per giorni e mesi e anni gli stessi covoni di grano, la stessa facciata della Cattedrale di Rouen. Per 43 anni (43 anni !) Monet ha dipinto la stessa l’acqua e le stesse ninfee dello stagno a Giverny nelle diverse luci del giorno e della notte perché per lui – e in realtà – non era mai la stessa acqua e non erano mai le stesse ninfee. 250 dipinti dello stesso soggetto !
Vivaldi ha creato musica per raccontarci le diverse stagioni : il canto degli uccelli in primavera, il temporale estivo, l’allegria della vendemmia, il vento e la pioggia invernali. Nella musica di Respighi tu vedi i pini e le fontane di Roma; ascoltando ad occhi chiusi “Grand Canyon Suite” ti spalanca davanti agli occhi il paesaggio più famoso d’America.
Tu sei vivo, sei diverso : pensi diverso, parli diverso, vesti diverso, appari diverso in casa o a lavoro, in città o in campagna, in Italia o in viaggio. Anche la finestra davanti a te- quella da cui tu guardi fuori da quando eri bambino – ti mostra un paesaggio diverso ad ogni diverso momento del tempo e anche ad ogni tuo diverso stato d’animo.
Sei diverso. Sii diverso.
10
La coccinella salva l’ombrella.
(‘ombrella’ è scorretto, ma salva la rima)
Il professor Kazuya Saito, uno scienziato dell’Università di Tokyo, studia le coccinelle.
Da noi si dice che la coccinella porta fortuna, a lui porta una scoperta da Nobel.
Dalla coccinella del professor Saito sono nate applicazioni per le antenne dei satelliti nella tecnologia spaziale, in chirurgia per microscopici strumenti medici, nella vita di tutti i giorni persino per evitare che il tuo ombrello si rovesci quando tira troppo vento.
Kazuya Saito filma le ali delle coccinelle che si aprono quando lei inizia a volare e si chiudono quando atterra. Grazie a potentissime videocamere Saito scopre che quando la coccinella decolla le ali ci mettono un certo tempo ad aprirsi, invece quando atterra le ali ci mettono molto più tempo a chiudersi.
Come mai ? Genio della Natura.
La coccinella spesso decolla perché deve scappare da qualcuno che vuole prenderla e papparsela. Velocissima, se vuole salvarsi la vita.
Quando atterra su un petalo o sul dorso della tua mano invece può prendersi tutto il tempo che vuole : adesso non rischia nulla e decide lei dove e quando fermarsi.
Nel tuo lavoro creativo è lo stesso : decolla e mettiti al lavoro più in fretta che puoi, per sfuggire all’angoscia del non sapere cosa fare, alla sindrome del foglio bianco.
Poi, quando sei nel tuo volo creativo, esplora con calma tutti gli orizzonti e prenditi tutto il tempo che vuoi per decidere con calma dove e quando atterrare.
https://www.iis.u-tokyo.ac.jp/en/news/2697/
https://simanaitissays.com/2017/05/25/natures-origami/
11
Ci vuole orecchio.
“Ci vuole orecchio” canta nel 1980 Enzo Jannacci :
Ci vuole orecchio
Bisogna averlo tutto
Anzi parecchio
Per fare certe cose
Ci vuole orecchio
Sembra un gioco di parole, sembra uno scherzo.
Ma arriva Dario Diaz e ci fa scoprire che è invece una profonda verità e un prezioso consiglio non soltanto di creatività, ma di vita.
Scrive Dario Diaz :
Ieri 28 gennaio ho accompagnato nel suo ultimo viaggio un caro amico. E’ stata una cerimonia del tutto laica, senza preti ne rabbini con il loro freddo cerimoniale e con le loro parole prive d’amore e di dolore.
Ho sentito leggere una lettera scritta più di 30 anni fa dalla figlia al padre. Ora la figlia la leggeva spezzata da lacrime impossibili da ricacciare indietro.
Ho sentito il fratello dire della loro infanzia e adolescenza. Ho sentito le due nipoti adolescenti ricordare il nonno. E’ stata una grande emozione.
E poi mi sono reso conto di aver ho capito tutto
pur essendomi perso la maggior parte delle parole pronunciate. Come è possibile ?
E’ possibile perché ho ascoltato musica, non parole.
Non erano le parole a dare un senso a quella cerimonia : erano le lacrime e il pianto
e le frasi spezzate e gli occhi che spuntavano dalle mascherine.
Ho capito che io realtà stavo assistendo e partecipando ad un concerto :
tutti noi eravamo l’orchestra e quella che sentivo era musica,
la musica dei sentimenti e delle emozioni.
Era questa la musica giusta per trasmettere quel potente mix,
doloroso e pur confortante, che nasce dalla fusione dell’amore e del dolore.
Nella mia vita ho conosciuto l’amore e ho provato il dolore,
ma è la prima volta che sento la musica del dolore e dell’amore.
12
Una inquadratura indimenticabile !
Anche se tu non l’hai mai vista.
Sergio Leone sognava in grande.
“C’era un volta a Leningrado” sarebbe stato un grande film.
Leone non è mai riuscito a girarlo. Però così raccontava l’inizio del suo film :
Appaiono due mani sulla tastiera di un pianoforte.
Non sono le mani di un pianista qualunque : sono le mani di Dmitrij Šostakovič
che sta creando “Leningrado”, sinfonia n. 7 opera 60 in do maggiore.
Il musicista la compone proprio durante i 900 giorni
dell’assedio dell’esercito nazista alla sua città.
La macchina da presa si allontana dalle mani sulla tastiera ..
vediamo ora il musicista al pianoforte … poi il suo studio ..
… attraverso la finestra usciamo all’aperto e siamo ora
su un elicottero che vola sulla città di Leningrado …
Si vede tutta la città, il mare, il fiume … le vie, le piazze, i palazzi ..
Dalle case escono uomini, donne, bambini … alcuni vanno al lavoro,
i bambini vanno a scuola, uomini giovani e anche anziani
escono di casa per andare al fronte …
Un tram parte e alle varie fermate in molti salgono su quel tram :
sono soldati che vanno a combattere…
noi seguiamo la corsa del tram che arriva fino alla periferia ..
e lì vediamo le trincee dell’esercito sovietico …
migliaia e migliaia di uomini che visti dall’alto si muovono come formiche …
L’elicottero continua il suo volo : abbandona le postazioni russe …
supera il grande fiume Neva … sull’altra riva del fiume ecco 2.000 carri armati tedeschi …
Duemila carri armati tedeschi ?!?
Sì, duemila ! Me li ha garantiti, entusiasta del mio progetto, Gromyko in persona !
Ci avviciniamo proprio verso i carri armati … sono tantissimi,
tutti con i cannoni puntati sulla città, ma sembrano puntati contro di noi ! …
Andiamo vicini, sempre più vicini … fino ad inquadrare soltanto
un ufficiale ritto sulla torretta del suo Panzer :
è il Comandante tedesco che osserva la città e noi vediamo
la città e i soldati russi nelle trincee con i suoi occhi, attraverso il suo binocolo ……
Poi l’ufficiale nazista abbassa il binocolo …
la macchina da presa stringe proprio verso di lui :
vediamo la sua divisa .. è un generale .. .. poi il suo viso …
poi soltanto i suoi occhi … gli occhi sono azzurri.
Il Comandante urla : “Fuoco !”…
.. lo schermo diventa tutto nero .. appare il titolo :
C’era una volta Leningrado.
Un film di Sergio Leone.
Che grande film sarebbe stato.
Questa inquadratura, dalle dita di un pianista russo agli occhi di un ufficiale nazista,
in volo su panorami sconfinati e attraverso milioni di dollari,
anche soltanto a sentirsela raccontare, senza averla mai vista, è indimenticabile.
E’ la magia del Cinema, il sogno di un grande regista
che sa farti sognare anche senza girare un solo fotogramma.
In questa storia c’è un consiglio pratico per te :
quando crei, crea in grande.
Forse non sempre riuscirai a realizzare la tua grande idea.
Ma solo creando in grande tu sarai davvero grande, grande come davvero tu sei.
13
Creare domande
è la migliore risposta.
Il 2 Aprile 1968 alla prima di uno dei capolavori della storia del Cinema
“2001 : odissea nello spazio” 241 persone si alzano ed escono di sala durante la proiezione.
Tra questi Rock Hudson, che brontola :
“Qualcuno mi spiega di che c@zzo parla ‘sto film ?”
Glielo spiega, ce lo spiega Arthur C. Clarke che insieme a Stanley Kubrick,
“2001 : odissea nello spazio” lo ha creato :
“Se qualcuno capisce per davvero 2001, noi abbiamo fallito.
Noi abbiamo voluto creare domande, non dare risposte”.
A volte nella comunicazione commerciale, fatta per ottenere risultati concreti
(la pubblicità, le P.R., i redazionali) non dire tutto significa dire di più,
dire meglio e farsi ricordare molto più a lungo.
In “crear$i” trovi degli esempi ai Consigli 2679, 2697 e 2729.
Se pensi che sia rischioso fare un film che non tutti capiscono, tranquillizzati.
“2001 dissea nello spazio” è costato circa 12 milioni di dollari e ne ha incassati più di 250.
Però, un film è Arte. La Pubblicità è altra cosa : ha obiettivi concreti di comunicazione
e DEVE non soltanto farsi capire, ma deve persuadere.
Noi comunicatori non siamo artisti. Se siamo bravi non ce lo dicono il Direttore Creativo,
i colleghi, i concorrenti, nemmeno il cliente : ce lo dicono i risultati.
14
Auto-ironia (ironia in auto).
In auto ci sono Anna Marchesini e Massimo Lopez, due del “Trio”.
Giocano a farsi le interviste a vicenda. Comincia lui.
Signora Marchesini…
Sì ?
Signora Marchesini, ci racconti il percorso
che l’ha portata a cotanto successo di pubblico …
Sì ?
.. ci mostri il cammino artistico che l’ha fatta diventare
una delle attrici più talentuose.
L’ho data. Sì, l’ho data !
“Anna era straordinaria, ricorda Massimo Lopez.
Sapeva inchiodare ogni forma di stereotipo rovesciandone la forza con autoironia”.
Anna era straordinaria e straordinari erano quegli anni.
Erano anni in cui una delle più grandi e preparate attrici italiane (vedi commento)
poteva fingere di “averla data” per fare carriera.
Erano anni in cui si poteva cantare “Oh, che bella pansé che tieni, che bella pansé che hai, me la dai, me la dai, me la dai la tua pansé ?” senza essere accusati di stalking.
https://www.youtube.com/watch?v=iJqF8CkVVpI
Erano anni in cui tu potevi cantare “Pittore, ti voglio parlare mentre dipingi un altare.
Io sono un povero negro e di una cosa ti prego : pur se la vergine è bianca, fammi
un angelo negro. Tutti i bimbi vanno in cielo anche se son solo negri”.
Anche se son solo negri ? ! ?
Oggi non dico a cantarlo, anche solo a ricordarlo, tu sei razzista.
https://www.youtube.com/watch?v=8OAtRF-BV2A
Erano anni in cui le persone serie potevano non prendersi sul serio.
Gli anni più belli della nostra vita. Tu hai più fortuna :
per te gli anni più belli della tua vita non sono ancora iniziati :
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
(Nazim Hikmet)
15
Tu la mano alzala.
Sempre.
Scuola materna.
Tu chiedi : Chi sa disegnare ?
Tutti i bambini alzano la manina.
Tutti sanno disegnare.
Scuola media.
Tu chiedi : Chi sa disegnare ?
Meno di metà dei ragazzi alza la mano.
Pochi sanno disegnare.
Aula universitaria. Ieri.
Io chiedo : Chi sa disegnare ?
Su 81 studenti solo 3 alzano la mano.
Quasi nessuno sa disegnare.
Perché succede ?
Perché per gli adulti la domanda non è :
“Chi sa disegnare ?”
ma è diventata :
“Chi sa disegnare bene ?”.
Invece disegnare scrivere cantare ballare giocare lo sappiamo fare tutti.
E lo dobbiamo fare tutti. Ognuno a modo suo. Non è necessario farlo bene :
è necessario farlo per esprimerci, per divertirci, per comunicare.
Lo facciamo perché ci serve e perché ci piace. Punto.
Nello sport ci sono i fuoriclasse, i campionissimi.
Ma questo non ti impedisce certo di giocare a calcetto, a tennis, di sciare o di nuotare.
Così in ogni attività ci sono i professionisti – gli illustratori, i musicisti, gli attori e gli chef – quelli che quella attività la sanno fare davvero bene e magari ci vivono.
Ma non per questo tu dichiari : io non so cantare … non so ballare … non ti parlo d’amore.
Tu non rinunciare mai a fare tutto perché tu sai fare tutto.
Questo, per esempio, lo sai fare ?
Questo scarabocchio va in asta il 30 Marzo 2022 con un prezzo minimo,
destinato ad aumentare, di 70-90.000 dollari.
Vabbè : è firmato Joan Mirò e non Franco Bellino. Ma sono sicuro
che anche tu saresti capace di disegnarlo, no ?
E allora dai, e allora dai
Le cose giuste tu le sai
E allora dai, e allora dai
Dimmi perché tu non le fai ?
(solo un brano qui : https://www.youtube.com/watch?v=mbXCsINdcrk)
16
La testa di Testa.
La croce è un simbolo antichissimo
presente in tutto il mondo da mille e mille anni.
Un giorno arriva un uomo
e con un solo tratto crea
una croce completamente diversa :
Questa nuova croce è potente, ti coinvolge e ti emoziona.
Parla di dolore e di amore, di morte e di vita.
Quell’uomo è un genio ed è un amico.
Si chiama, perché non è mai morto, Armando Testa.
17
Cheppalle !!!
“Il tuo occhio è un muscolo.
Se vuoi mantenerlo sano e in forma devi esercitarlo.
Tu disegna : più disegni, più vedi.”
Lo dice Richard Serra, uno dei nomi fondamentali dell’arte contemporanea.
A Milano Serra espone 40 (qua-ran-ta) palle.
Sembrano tutte uguali, sono ciascuna diversa.
Nell’arte giapponese c’è un’immagine che da sola condensa centinaia di volumi :
è l’Enso, il cerchio tracciato con una sola pennellata.
Un gesto unico che a volte nasce dopo anni e anni di esercizio.
Io vedo le palle di Serra – che anche tu puoi vedere a Milano alla Galleria Cardi
dal 30 Marzo al 5 Agosto – come una evocazione del cerchio giapponese :
sintesi geniale di malinconica ironia.
Ma il cerchio e la palla tu non solo puoi vederli :
tu puoi disegnarli. Più disegni, più vivi.
18
Mi scrive il Direttore/Editore di “Magnifica Terra”,
la più elegante rivista italiana :
Ciao, Franco.
Scrivi per la rivista 1000 caratteri su questo progetto
così leggiadro e folle delle ‘Città invisibili’ ?
Baci da Vale !
Abbracci da Antonio.
Non potrei dire di no, nemmeno se volessi dire di no. Ho scritto :
Invisibile perché troppo visibile.
Lui e lei erano partiti da due città diverse.
Si incontrarono per caso : lui aveva sei posti a teatro, ma
aveva invitato 7 amici. Così loro due furono gli unici a vedere
lo spettacolo in piedi. Vicini però. Fu amore. Grande.
Facendo finta di lavorare lui inventava ogni giorno dei film.
Sperava che un giorno avrebbe filmato la città invisibile.
Viaggiarono in tutto il mondo perché in qualche parte del mondo
la città doveva pur esserci. Lui nuotò in tutti gli oceani.
Lei pianse di commozione ai piedi di un Buddha gigantesco
che le sorrideva.
Furono di casa nelle case di tante famiglie in tante città,
ma nessuna era la loro città. Alla fine la trovarono.
Prima di loro milioni di uomini e donne hanno visitato la stessa città.
Non è introvabile : è invisibile.
Per secoli migliaia di scrittori l’hanno descritta. Migliaia di artisti
l’hanno dipinta. Ogni anno 47 milioni arrivano da tutto il mondo.
I più non la guardano perché sono presi a farsi dei selfie.
Nessuno la vede. Per vederla non basta crederci. Non basta viverci.
Bisogna conoscere il suo nome e chiamarla per nome.
Il suo nome è.
(Il testo termina bruscamente qui perché il Direttore
aveva chiesto 1000 caratteri e 999 è davvero un bel numero)
19
Hemingway che decise di essere Hemingway.
Mi chiedo e ti chiedo :
se Hemingway, che era Hemingway, per scegliere il titolo di un suo romanzo ha scritto prima 44 titoli;
se Hemingway, che era Hemingway, per decidere il finale di un suo romanzo, ha scritto prima 47 diversi finali, uno più bello dell’altro;
io, che non sono Hemingway, per un titolo o un incipit o per il finale di una storia quanti ne dovrei scrivere
prima di trovare le parole giuste ?
Perché io, come chiunque altro, sia che scriva un romanzo sia che scriva un WA, devo trovare le parole assolutamente giuste. Non una parola qualsiasi, non una parola simile : no, quell’unica parola giusta.
E le parole giuste devono essere assolutamente tutte quelle indispensabili : non una di meno e soprattutto non una di più.
Per me che non sono Hemingway, come per Hemingway che decise di essere Hemingway,
scrivere è stupendo e difficilissimo.
Ma non ne posso fare a meno, perché soltanto se scrivo so davvero cosa penso.
20
Non c’è bisogno di guardare lontano
per creare un capolavoro.
L’idea ce l’hai sotto al naso !
Un musicista si mette al piano.
Deve comporre una canzone.
Non ha nessuna idea.
Sul leggio non c’è spartito.
Le dita sono immobili sulla tastiera.
La tastiera :
… tasti neri di ebano e tasti bianchi di avorio
Ebano nero e avorio bianco.
Bianco e nero; nero e bianco.
Da soli nero e bianco non fanno musica,
insieme sono musica.
Bianchi e neri e gialli e rossi : solo insieme si crea armonia.
Ebony and ivory
live together in perfect harmony
side by side on my piano keyboard.
Oh Lord, why don’t we?
We all know that people are the same wherever you go
There is good and bad in ev’ryone.
We learn to live, when we learn to give
each other what we need to survive, together alive
Ebano e avorio,
Vivono insieme in perfetta armonia,
L’uno accanto all’altro
sulla tastiera del mio pianoforte,
Oh, Signore, perché non noi ?
Lo sappiamo tutti che le persone sono uguali dovunque tu vai,
c’è del buono e del cattivo in ognuno di noi.
Impariamo a vivere quando impariamo a darci l’uno l’altro
ciò che ci serve per sopravvivere : siamo vivi insieme.
https://www.youtube.com/watch?v=XjFSnfuZAvw
Pensa alle infinite volte in cui in tutto il mondo un musicista si è seduto al pianoforte.
La tastiera era lì, sotto il suo naso : è sempre stata lì. Eppure nessuno prima di Paul McCartney si è mai accorto che i tasti bianchi e i tasti neri raccontano una storia. Una storia di comprensione, di integrazione, una storia d’amore. In musica.
21
Si parla di pirla.
(astenersi permalosi)
Il 18 Aprile 2022 alle 22.30 in via Salvatori, in Darsena a Viareggio un ladro ruba a un pilota di F1 un orologio da polso, “Richard Mille Rm 67-02” che vale almeno 2 milioni di Euro. Scritto in cifre fa più impressione : un orologio che vale 2.000.000 €.
13 spunti di riflessione (quasi un ‘koan’ zen).
1
Uno che spende più di 2 milioni di Euro per un orologio da polso è un folle. Però se chi li spende è Charles Leclerc, pilota di Formula 1 e milionario, può permetterselo.
2
Uno che va in giro a piedi di notte in zona portuale male illuminata indossando un orologio da polso che vale almeno 2 milioni di Euro è un incosciente.
3
Uno che per concedere una foto ricordo, un selfie, a uno sconosciuto, si fa sfilare dal polso
un orologio da polso che vale almeno 2 milioni di Euro è un pirla.
4
Uno che con la scusa di farsi un selfie riesce a sfilare dal polso del proprietario un orologio
da polso che vale almeno 2 milioni di Euro è un genio …
5
.. soprattutto se la fa franca e non si fa prendere.
6
Però forse quell’orologio da polso che vale almeno 2 milioni di Euro Leclerc non l’aveva comperato : l’hanno fatto su misura per lui e glielo hanno regalato.
7
Comprato o regalato che fosse l’orologio da polso che vale almeno 2 milioni di Euro, rimangono sempre validi i pensieri qui sopra n. 2, 3, 4 e 5.
8
Però se a regalare al pilota di F1 l’orologio da polso che vale almeno 2 milioni di Euro è stato chi lo produce e lo vende, il mitico ‘orologiaio’ Richard Mille, allora nascono altri pensieri :
9
Vero o falso che sia stato quel furto – reale o architettato – di quel furto hanno parlato per giorni e giorni TV, Radio, Quotidiani, Settimanali e Social di tutto il mondo, con pagine intere, descrizioni e fotografie sia dell’orologio, sia del ‘testimonial’ pilota di F1.
10
Acquistare in tutto il mondo su TV, Radio, Quotidiani, Settimanali e Social lo stesso spazio che è stato dedicato gratis a quel furto, sarebbe costato molto di più dei 2 milioni di Euro che vale quell’orologio. Decine di milioni di Euro di pubblicità gratis per un furto di 2 milioni di Euro : un buon affare.
11
Se così fosse, allora nessuno – non il pilota, non il ladro, non l’orologiaio – nessuno è un pirla. Anzi, sono tutti dei geniali creativi.
12
Il pirla allora sono io che ho dedicato tempo della mia vita al furto di un orologio da polso che vale almeno 2 milioni di Euro, ma forse non è nemmeno un furto.
13
Sarebbe assolutamente fuori luogo anche soltanto pensare che chi ha dedicato tempo della sua vita a leggere queste mie riflessioni sia un pirla. Da questa storia, come dalle parabole e dalle favole, si può ricavare una morale : un consiglio pratico di creatività che chiunque non sia un pirla, sa comprendere e saprà al momento giusto applicare al suo lavoro e alla sua vita.
22
I grandi sono davvero grandi
quando …
Si sta girando il kolossal più kolossal della storia del Cinema.
5 anni di lavoro solo per prepararlo. Gli attori più famosi e più costosi e 14.000 comparse.
Sul set anche 15.000 animali : leoni, elefanti, giraffe, zebre, rane e cavallette.
Il regista non soltanto è molto vecchio, ma durante le riprese ha un infarto.
Niente però lo ferma : 3 giorni in ospedale e poi, contro il parere di tutti,
eccolo qui sul set a girare da 3 settimane una scena con migliaia di comparse.
E’ l’orgia degli Ebrei che – in assenza di Mosè, salito sul monte Sinai
a ricevere da Dio le tavole dei 10 comandamenti – fanno di tutto :
gozzovigliano, mangiano, bevono, ballano, copulano, giorno e notte.
Appollaiato in cima ad un’altissima scala l’anziano e sofferente regista
sta urlando dentro a un megafono i suoi comandi alle migliaia di attori,
comparse, tecnici e animali sotto di lui.
Si interrompe di colpo : nel silenzio si sente distintamente
la voce di una ragazza che sta parlando.
“ Grande ! tuona il regista. Noi siamo qui a creare la storia del Cinem
e quella ragazza .. (la indica distintamente in mezzo alla folla),
quella ragazza invece di ascoltare cosa dico io, chiacchiera con la sua amichetta.”
Il silenzio è, come dicono oggi, assordante.
“Magari la signorina – tuona il regista – magari la gentile signorina
vorrà far sapere anche a tutti noi che cosa cazzo è così importante da dire
che non può aspettare la fine delle riprese !”.
Se fosse Dio a parlare non ci sarebbe in migliaia di persone tanto terrore.
I divi di Hollywood, i generici, le comparse, i tecnici, gli animali (sì, anche gli animali
hanno capito la drammaticità del momento) trattengono il fiato.
Nel silenzio universale la ragazza apre la bocca :
“Dicevo alla mia amica qui : ma ‘sto vecchio pelato e scorreggione
si decide o no a dire : “Pausa-pranzo” ?
Il vecchio regista fulmina con lo sguardo la sventurata, ci pensa solo un attimo,
afferra il megafono e urla : “Pausa-pranzo !”.
Post Scriptum
Il gigante che nelle immagini qui sopra spacca in due il Mar Rosso e separa le acque
non è ovviamente il regista Cecil B. DeMille che gira nel 1956 in Egitto
“I dieci comandamenti”.
Però io me lo immagino proprio così mentre tuona nel suo megafono :
“Pausa-pranzo !”
I veri grandi sono davvero grandi quando sanno dimenticarsi di essere grandi.
23
Hemingway batte Bellino 47 a 3.
Sembra un punteggio da rugby : 47 sono i titoli che hanno portato Hemingway al titolo “Addio alle armi” e 3 i titoli di Bellino per “Addio ai consigli”.
In realtà la partita non è ancora finita.
E poi i titoli di ‘Papa’ non sono 47, ma soltanto 46. Guarda :
Ai numeri 1 e 27 c’è lo stesso titolo.
In più non è detto che Bellino si fermi a 3 titoli : ha una vita davanti per creare altri titoli ancora più belli.
E’ cominciato tutto così.
Hemingway lavora seriamente per il suo titolo. Anche Bellino ce la mette tutta.
Il suo primo titolo è quello che ha scritto qui sopra :
Va bene : il titolo dice subito che questo testo è il seguito di un libro, “crear$i”, di cui non si può fare a meno. Chiarisce che però non ci sono ripetizioni : sono altri 9439 Consigli Pratici tutti nuovi. E ti fa capire che Bellino non l’ha scritto per sé : l’ha scritto proprio per te : “per la tua creatività”.
I Consigli Pratici sono la bellezza di 9439 –
non sarebbe elegante contarli per controllare se sono davvero 9439.
omunque te lo dico : non sono 9439. Non sono ancora 9439 –
e sono preziosi per la TUA creatività.
Se tu compri “crear$i” non è che il Bellino diventa più ricco : per invogliarti a leggere ha deciso di guadagnare 3 centesimi per ogni copia venduta.
Per portare a casa 3 (tre) €uro il Bellino dovrebbe vendere 100 copie.
Te le immagini 100 persone – anche mettendoci dentro, mogli, parenti e conoscenti – 100 persone che comprano “crear$i” ? Pura fantascienza.
Ai suoi 82 studenti dell’Università di Siena, che pure il libro nel programma del corso ce l’avevano raccomandato in bibliografia, il Bellino ha preferito regalargli il pdf.
Perciò il titolo del nuovo libro ti dice : se leggi “€ureka !” ci guadagni tu : arricchisci la tua creatività e la tua vita migliora. Punto. Il primo titolo quindi era questo :
Però poi arriva un francese che mi dice :
“Ai vecchi piace dare buoni consigli
per consolarsi di non poter più dare cattivi esempi”.
Touché ! Il francese maledetto ha ragione.
Vecchio sono. Cattivi esempi non soltanto non li so più dare : non riesco nemmeno a immaginarli. Se non posso più dare cattivi esempi, e se i miei buoni consigli non servono a niente, i miei nuovi 9439 Consigli Pratici di “€ureka !” non servono proprio a nessuno. Il titolo è sbagliato.
Allora nel titolo non scriverò più “consigli di creatività,: scriverò : “esempi di creatività”.
Sì, ma per esempio perché “esempi” ?
Primo perché un consiglio non richiesto non è mai gradito, non è mai veramente utile.
Un esempio invace non da fastidio. A volte interessa. A volte di dicono : “Fammi un esempio”. Pronto, te ne faccio 9439. E tutti buoni.
Secondo perché così mi risparmio la fatica di dover ogni volta trovare una morale.
La morale ognuno se la trova da sé. Ce lo hanno insegnato i grandi pensatori greci e con parole davvero poetiche un filosofo tedesco, così puntuale che i suoi concittadini regolavano i loro orologi quando lo vedevano passare per la sua passeggiata pomeridiana.
Dice Kant : Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse:
il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me.
La morale non la trovi nei libri, non nelle prediche, non nelle lezioni e nei discorsi, non nelle opinioni degli altri : la trovi dentro di te !
La tua vera legge morale è la legge che ti dai tu.
Solo rispettando la legge che ti sei dato tu, tu sei veramente libero.
E tu puoi farlo, te lo dice Dio in persona. In Genesi 4.7 ,”Tu puoi” Dio lo dice non ad Adamo, che poveretto ha solo mangiato una mela : lo dice a Caino che ha appena ammazzato il fratello Abele :
http://www.francobellino.com/?p=1878
Se non posso più dare consigli pratici, posso però sempre dare dei buoni esempi.
Nasce qui il secondo titolo :
Questo titolo con gli esempi è forte.
Lo dice anche il proverbio : “ Vale più un solo esempio che non mille parole !”.
L‘esempio vince sui consigli.
Lo confermano anche i santi in Paradiso.
Sant’Agostino : “La favole insegnano, gli esempi trascinano”.
San Francesco di Sales : “Un grammo di buon esempio vale più di un quintale di parole”.
Vado con gli esempi allora ?
Eh no, perché arrivano psicologi e sociologi a rompere.
Il concetto è questo : oggi gli esempi non interessano più nessuno
perché il futuro non è più quello di una volta.
Bella scoperta : il futuro non è mai stato quello che si poteva prevedere.
Sì, dicono psicologi e sociologi, ma una volta si pensava che nel futuro tutto sarebbe andato meglio che non nel presente. Adesso invece tutti noi pensiamo, e i giovani sanno molto bene, che le cose peggiorano. Certi lavori di oggi, domani non ci saranno più. Certe sicurezze sono diventate dubbi : serve studiare ? serve impegnarsi ? è bene guadagnare sempre di più ?
Su questo punto devo tornarci (qui sotto al § 24), ma adesso devo trovare il titolo per il nuovo libro.
Mi salva un antropologo, Frank Rose, della Columbia University di New York – alla Columbia ci ho studiato anch’io 58 anni fa e proprio lì ho conosciuto uno psicologo pazzo che mi ha fatto giocare a ping pong con il pazzo americano capace di andare a stracciare i cinesi in Cina.
Dice il professor Rose : Noi comprendiamo la realtà attraverso le storie.
Lo dimostrano le neuroscienze. Lo confermano i miti degli antichi, le favole e le parabole, il teatro e i film, la radio, la TV, i giornali, i viaggi e la vita di tutti i giorni.
Fantastico: allora via dal titolo gli “esempi”, ci metto le ‘storie’ e vado con il nuovo titolo che sfrutta anche la moda dello storytelling :
P.S.
Che poi se non è elegante andare a controllare se sono per davvero 9439 storie, non una di più e soprattutto non una di meno, ancor meno elegante sarebbe andare a controllare se le “9439 Storie vere” sono per davvero tutte vere.
24
Occhio !
Questo testo è lungo.
Ci metti 10 minuti a leggerlo.
Ci metti 10 anni
a metterlo in pratica.
Ci ho messo 66 anni a scriverlo.
Io ti ho avvisato.
Da giovane mi hanno dimissionato. Avevano ragione loro.
I giovani oggi si dimissionano. Hanno ragione loro.
Da giovane, avevo 17 anni ed ero al mio primo impiego. In una riunione importante,
presente il miliardario Cliente Polaroid, ho dato del “trombone” al mio Direttore Creativo.
La mattina dopo mi chiamano in Direzione : “Bellino, o dà le dimissioni Lei o La licenziamo noi”.
In pratica mi hanno ‘dimissionato’.
Oggi succede il contrario : in tutto il mondo i giovani rifiutano offerte di lavoro
oppure danno le dimissioni dal lavoro che hanno già.
Negli Stati Uniti nel solo mese di Marzo 2022 quattro milioni e mezzo di lavoratori
hanno lasciato il loro posto di lavoro.
https://en.wikipedia.org/wiki/GreatResignation
https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2022/05/10/the-great-resignation-non-siamo-mica-gli-americani/ (Francesco Bruno)
In Veneto da Gennaio ad Aprile 2022 ci sono state 66.300 dimissioni.
Nello stesso periodo in Lombardia 420.000 dimissioni. Di questi 181.000 giovani sotto i 35 anni.
NEET & QUIT
Ho messo molti titolini come questo qui sopra
per spezzare il testo
e farti riprendere fiato nella faticosa lettura.
Ci ho messo le figure
per distrarti un poco.
Ci ho messo le battute
per strapparti un sorriso.
Il risultato però è lo stesso :
Il testo però rimane sempre troppo lungo.
Se vuoi smettere qui, sei sempre in tempo.
C’è sia una spaventosa disoccupazione giovanile : giovani che non hanno e non cercano lavoro (NEET) –
sia contemporaneamente uno spaventoso numero di dimissioni : giovani che lasciano un lavoro (QUIT).
Chi lascia la via vecchia per la nuova
sa quel che lascia e sa quel che trova.
I giovani saltano da un lavoro all’altro : fanno “Job hopping”. Saltano – qualche volta al buio, più spesso a ragion veduta – per mettersi alla prova, per sperimentare nuovi ambienti di lavoro, nuovi colleghi, sfide più coinvolgenti : saltano per migliorare la qualità della propria vita. Non è che questi giovani rifiutino il sacrificio e l’impegno : non accettano che la qualità della loro vita dipenda troppo dal lavoro.
Non vogliono guadagnare di più : vogliono lavorare meglio e vivere meglio.
Hanno scoperto che la vera ricchezza non è il denaro : è il tempo per sé e per le proprie vere passioni.
Non posso dargli torto. Però posso dirgli :
Nessuno nasce imparato.
Le statistiche dicono che un giovane rimane in media 15 mesi nello stesso posto di lavoro, poi cambia.
Fa bene a cambiare, se riesce a migliorare. Ma gli chiederei :
in 15 mesi sei sicuro di avere imparato il tuo lavoro ?
Sicuro di avere capito tutto quello che devi fare e tutto quello che tu potresti fare meglio di come si fa oggi ?
Leonardo da Vinci non è nato imparato : ha fatto l’apprendista a bottega da Andrea del Verrocchio per anni.
Michelangelo non è nato imparato : ha fatto bottega da Domenico Ghirlandaio per anni.
Nel 1584 a Milano il pittore Simone Peterzano …
sottoscrive un contratto che lo impegna a tenere in casa e in bottega un bambino di 13 anni. Gli garantisce vitto e alloggio
per quattro anni e gli insegnerà la pittura. Firma il contratto lo stesso ragazzino: Michelangelo Merisi da Caravaggio.
Forse solo Mozart è nato imparato, ma ancora non si sa per certo se fosse un uomo o un dio.
Medioevo a Venezia?
No : saggezza millenaria.
Tutto questo non succedeva soltanto mille anni fa : succede ancora oggi. Ho un amico a Venezia
che pochi anni fa anche lui “è andato a bottega”. Saverio Pastor, oggi uno dei più geniali creatori
di remi e di forcole, conosciuto in tutto il mondo, è stato allievo di Bepi Carli, “il maestro dei maestri”.
Lascio la parola a Saverio perché il suo racconto è troppo divertente :
“1l 15 Giugno 1975 andai a chiedere a Giuseppe Carli di farmi lavorare da lui per quell’estate.
Nonostante si lamentasse che da molti anni non aveva apprendisti, Carli sentenziò che io a 16 anni ero troppo vecchio,
non ero figlio di remèr e andavo ancora a scuola : quindi ormai non avrei potuto più imparare.
(La tradizione voleva infatti che l’apprendista entrasse in bottega da bambino e ci rimanesse circa 10 anni).
Salutandomi Carli però mi disse che sarei potuto tornare per guardare.
Il giorno dopo sono stato lì a guardare in silenzio per nove ore; e così per un mese, a guardare in silenzio.
Poi finalmente un giorno Carli mi ha detto : domani puoi spazzare bottega. Si è così aperto uno spiraglio
perché spazzare la bottega era il preludio di ogni apprendista. Poi si imparava a raschiare i remi vecchi. “
Saverio Pastor a sinistra e Bepi Carli a destra.
Per un apprendista remèr il sogno non è spazzare la bottega e nemmeno raschiare i remi vecchi : il sogno è scolpire una forcola
da gondola. Saverio ci arriverà dopo mesi , sarà bravissimo e ancora oggi studia e si migliora ogni giorno. Ha capito che “siamo tutti apprendisti in un mestiere dove non si diventa mai maestri” (Hemingway). E soprattutto non ha dato le dimissioni dopo 15 mesi
di apprendistato. All’apprendista Saverio è andata ancora bene, secoli fa agli apprendisti capitava di peggio.
I colori si fanno, non si comprano.
Falli !
Nella bottega del Verrocchio a Firenze l’apprendista doveva non solo spazzare la bottega,
darsi da fare per ogni richiesta, ma anche imparare disegno, pittura, scultura, architettura.
Se tu volevi imparare a dipingere, a bottega, carta, gessetti, pennelli e colori te li sognavi.
Per te apprendista i pennelli erano solo da lavare, far asciugare bene e mettere in ordine. I colori non li trovavi già fatti :
dovevi crearteli tu, macinando nel mortaio e amalgamando polveri diverse, costosissime e a volte anche velenose.
E dovevano essere proprio come li voleva il maestro.
Quando era abbastanza svezzato il compito più prestigioso del ‘ragazzo di bottega’ ra mettere insieme finissima sabbia
di fiume, polvere di marmo o pozzolana setacciata, calce e acqua e preparare un impasto. Poi stendere velocissimo l’intonaco
per l’affresco. E’ sul suo intonaco che il maestro interverrà a dipingere il capolavoro. Il capolavoro del maestro non quello dell’apprendista.
Se lavoro per te quanto mi dai ?
No : quanto mi dai tu per lavorare con me ?
Fabbri, falegnami, armaioli, calzolai, vetrai, orafi, pittori e scultori si fanno un mazzo così rimanendo per mesi nella bottega
di un maestro. Se va bene il maestro compensa il loro impegno 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 con vitto e alloggio. Vitto magro;
alloggio modesto e senza doppi servizi, anzi proprio senza servizi; letto non ‘king size’ ma un pagliericcio in affollata camerata
e basta. In certi casi poi è la famiglia dell’apprendista che paga il maestro perché il ragazzo possa entrare in una bottega prestigiosa.
Passano anni e finalmente l’apprendista ha finalmente il permesso di creare, tutto da solo, una sua opera.
Al confronto
l’esame di maturità è una passeggiata.
La sua prova di maturità si chiama “capolavoro’ o “capodopera”. La decide il maestro, non si discute, ci si lavora per tutto il tempo necessario, anche mesi e alla fine se il maestro la approva, quell’opera verrà presentata a una commissione dei migliori in città di quel mestiere. Non ci sono raccomandazioni, non ci sono crediti da esibire e non ci sono santi perché quei giudici non hanno nessun interesse che arrivi qualche nuovo professionista a togliergli il lavoro. Sono perciò molto interessati ad essere severissimi.
Se anche loro approvano l’opera del giovane, l’apprendista non sarà più ‘apprendista’ e potrà cominciare a lavorare (e fatturare!) da solo. Sperando che qualcuno affidi a lui, proprio a lui novellino e sconosciuto (che può vantare però il prestigio del nome del suo maestro e la fama della sua bottega !) un lavoro importante e ben pagato. Chi oggi legge gli annunci economici che offrono uno stage non retribuito a giovani purché abbiano anni di esperienza capisce bene che per l’apprendista appena promosso il buon lavoro ben pagato non capitava spesso.
Stai facendo il tuo capolavoro ?
No, sto morendo di fame. Capitava.
All’apprendista fabbro però capitava di peggio: l’esecuzione di una serratura “alla vecchia maniera, con il meccanismo a vista, almeno 20-25 catenacci a scatto”. Insieme alla serratura, anzi prima, ovviamente la chiave, anzi : le chiavi.
Meglio se più di una, meglio se tra loro diverse. meglio se difficilissime non solo da realizzare, ma addirittura da immaginare.
Questo esame di laurea poteva tenere impegnato un apprendista per due o più anni. E siccome in quei due anni lui non aveva il tempo di lavorare ad altro, il povero apprendista poteva anche morire di fame.
Sono altri tempi, lo so.
Oggi il capitale di informazioni che un giovane possiede fin dalla nascita è infinitamente maggiore di quello che un saggio antico poteva accumulare in una vita intera di studi e di esperienze. Siamo fortunati : bambini sulle spalle di un gigante. Ma c’è una virtù che sarebbe preziosa oggi come allora e lo sarà sempre : si chiama Umiltà.
( Apro parentesi.
A proposito di umiltà.
A proposito di non farsi pagare, anzi di pagare pur di imparare da veri grandi maestri.
James Woods nel 1995 non è più un apprendista : ha 48 anni, è un attore affermato.
Ha già interpretato 29 film, ha già lavorato come protagonista con grandi registi come Elia Kazan, Cronenberg,
Sergio Leone in ‘C’era una volta in America’, Oliver Stone.
Ha vinto premi e nel 1987 ha avuto la Nomination agli Oscar (Academy Awards) come miglior attore protagonista.
James Woods viene a sapere che Martin Scorsese sta preparando un nuovo film : “Casinò”.
Nel cast Sharon Stone, Joe Pesci, Robert De Niro. E’ una splendida occasione
per imparare, per lavorare con dei grandi, per diventare un attore migliore.
Woods lascia un messaggio nella segreteria di Scorsese :
“Mi va bene tutto : qualsiasi data, qualsiasi luogo, qualsiasi parte, qualsiasi compenso”
(Any time, any place, any part, any fee).
) Chiudo parentesi.
Scegli tu il titolino :
Anche sul più alto trono del mondo siamo sempre seduti sul nostro culo.
(Montaigne)
È difficile essere umili quando si è grandi come lo sono io.
(Muhammad Ali)
Sto frequentando un corso di umiltà e funziona benissimo: sono il più bravo.
(M4gny, Twitter)
Umiltà : mai sentita nominare ? Purtroppo oggi non la insegna nessuna Università e raramente ne danno esempi i genitori.
Questo perlomeno dalle nostre parti, perché in Estremo Oriente e in America Latina e in Africa è ancora molto praticata.
Un esempio : ‘Harvard’ è una delle migliori Università del mondo. Ogni anno si laureano ad Harvard più studenti filippini
di quanti italiani si sono laureati ad Harvard non in quell’anno, ma negli ultimi 50 anni.
La buona borghesia italiana è abituata a considerare i filippini buoni collaboratori domestici. Di questo passo
la buona borghesia filippina non sarà tanto propensa ad assumere a casa sua noi italiani come collaboratori domestici.
Oltretutto noi non parliamo l’inglese bene come loro !
Si alza una mano :
Il futuro non è più quello di una volta.
Si alza un’altra mano : è la studentessa Anna Ruzzon. Il 19 Maggio 2022 nell’Aula Magna del Bo,
alla celebrazione dell’800° anniversario dell’Università di Padova, Anna dice al Presidente Mattarella :
“Trenta, cinquanta anni fa, quale futuro vi eravate immaginati per noi ?
Noi non siamo più il futuro : siamo il presente.
E siamo specchio di un sistema passato che evidentemente non ha funzionato”.
Bella scoperta : il futuro non è mai stato quello che si poteva prevedere.
E poi non è detto che le previsioni siano sempre sbagliate. Dice un meteorologo :
“La previsione era giusta: è il tempo che si è sbagliato !”.
Chiude la discussione Niels Bohr, premio Nobel per la Fisica :
“E’ molto difficile prevedere, specialmente prevedere il futuro”.
Psicologi e sociologi dicono : una volta si pensava che nel futuro tutto sarebbe andato meglio che non nel presente.
Adesso invece tutti noi pensiamo e i giovani sanno che le cose peggiorano. Certi lavori di oggi,
domani non ci saranno più. I lavori che saranno importanti domani oggi non riusciamo nemmeno a immaginarli :
come possiamo prepararci ? Certe sicurezze sono diventate dubbi : serve studiare ? serve impegnarsi ?
Il merito non è detto che sia riconosciuto e se viene riconosciuto non è detto che sia apprezzato.
Lo stage non insegna. L’apprendista non apprende, anzi lo prende dove non vorrebbe.
Nel periodo di prova nessuno ti mette veramente alla prova. Nessuno ti insegna nulla.
Spesso perché chi dovrebbe insegnarti non sa lui per primo.
Il tempo indeterminato è davvero indeterminato : non esiste più.
Tutto questo però succede negli uffici, tra i colletti bianchi;
non succede nelle botteghe artigiane, tra le mani sporche.
Anziché lamentarsi, forse sarebbe il caso di farci un pensierino.
E soprattutto
oggi
l’idea che i giovani hanno del loro futuro
è nuova.
Non è detto che il lavoro sia per loro così importante come lo è stato per noi.
Noi chiedevamo : Tu che lavoro fai ? In America la domanda era più diretta : Tu quanto guadagni ?
I giovani si chiedono e ti chiedono : Tu che vita fai ?
Guadagnare molto non è più un obiettivo : vivere meglio, questo è l’obiettivo.
E allora cosa posso consigliare io a un giovane ?
Ti consiglio di capire qual è la tua vera profonda passione.
Il lavoro che pagheresti tu pur di farlo.
Consiglio di cercarti un vero Maestro, il più bravo in ciò che ti appassiona.
Consiglio di pagare pur di imparare da lui.
E poi di avere l’umiltà di ascoltarlo e seguirlo anche se quello che ti dice non ti convince e quello che ti fa fare ti sembra inutile.
O ti sembra addirittura folle.
Ricorda il Maestro Miyagi (“crear$i” consiglio 7039 e anche qui :
https://medium.com/slamwork/i-miei-business-coach-il-maestro-miyagi-bd12062bbef7
“Io prometto di insegnarti Karate e questa è la mia parte.
Tu prometti di imparare.
Io dico, tu fai. Nessuna domanda. Questa è la tua parte”.
Così il giovane protagonista di “The Karate Kid” (1984) si ritrova a lavare e lucidare centinaia di auto :
“Dai la cera… togli la cera”… e impara a difendersi e a vincere,
ma soprattutto diventa un uomo buono, saggio e generoso.
“Dai la cera .. togli la cera” sembrano due azioni opposte.
“Perché devo dare la cera, se poi devo toglierla ?”
Tu fai. Se prima non dai la cera e poi non togli la cera, l’automobile non risplende.
Andando a bottega, facendo gavetta, a volte ti sembra che non stai imparando il lavoro dei tuoi sogni.
Ti sembra di perdere tempo perché quello che fai non c’entra niente con i tuoi obiettivi.
Io volevo imparare a creare la pubblicità e mi sono ritrovato per un mese a fare il benzinaio
nella stazione di Servizio Shell a pochi metri dall’Eliporto
(60 anni fa Milano aveva un Eliporto in pieno centro; oggi se lo sogna) ….
… andai per un mese a fare il benzinaio, divisa d’ordinanza, orario pieno, notti comprese
perché poi in Agenzia pubblicitaria, come apprendista copywriter,
avrei dovuto scrivere e dialogare sia con i benzinai sia con gli automobilisti.
L’auto l’avevoe quindi ero ‘automobilista’, ma il ‘benzinaio’ non l’avevo ancora mai fatto.
Il Maestro benzinaio mi dice :
Tu non chiedere mai : “Quanto metto ?”, ma chiedi sempre : “Faccio il pieno ?”. “Se ti dicono “Sì” per noi va molto meglio
che il rabbocco. Poi chiedi di aprire il cofano : se non hanno fretta, te lo aprono. Controlla l’acqua (occhio che scotta !).
Controlla anche l’olio : è su quello che si guadagna ! Pulisci il parabrezza e guarda le spazzole (mai dire : ‘tergicristallo’!).
Dato che ci sei, pulisci anche il lunotto. E anche lo specchietto esterno, se c’è. Non se lo aspettano e se lo fai bene,
potrebbe persino succedere, ma non succede mai, che ti diano la mancia”.
Il maestro Miyagi evoca questa immagine : per centinaia di milioni di persone nel mondo è la vita.
Bianco e nero.
Giorno e Notte … Caldo e Freddo … Attivo e Passivo …
Però nel bianco c’è il nero e nel nero c’è il bianco.
Il Maestro Miyagi direbbe :
Metti il nero nel bianco … togli il bianco dal nero.
Giorno e notte, bianco e nero, sembrano principi opposti : ma senza uno non esiste l’altro.
Dai la cera, togli la cera.
Spazza bottega … raschia vecchio remo.
Fai il benzinaio … conosci i benzinai.
Tu falla la gavetta : impara qualsiasi cosa iniziando dal basso.
A volte iniziando da tutt’altra parte poi arrivi proprio dove sogni di arrivare.
Posso infine consigliarti di cercare sempre di essere, a modo tuo, creativo in quello che farai.
Che se poi anche essere creativo non ti porterà al successo, però ti farà vivere meglio :
sarai te stesso, qualunque cosa tu decida di essere.
L’oracolo di Delfi diceva : “Conosci te stesso”.
Modestamente io ti dico : “Realizza te stesso”.
E’ questo il tuo primo capolavoro.
24 bis
Come si fa a capire se un testo è troppo lungo ?
Molto semplice : leggilo !
Se tu trovi una frase – una sola frase – che non aggiunge nulla di nuovo e interessante a quanto hai già letto,
allora quel testo è troppo lungo.
Di più : se tu trovi una parola – una sola parola – che non è indispensabile e si poteva evitare,
allora quel testo è troppo lungo.
Se però ogni frase che tu leggi aggiunge qualcosa che non sapevi e che ti interessa
e se ogni parola ti aiuta a capire meglio e ti arricchisce, allora quel testo,
anche se ti appare lungo, non è troppo lungo.
Non è troppo lungo persino se è più lungo di 10 righe.
“10 righe”
è il metro di valutazione di molti giovani, intelligenti e pigri.
E’ sotto 10 righe ? si può dargli un occhio.
Più di 10 righe ? troppo lungo. Troppo lungo ? non lo leggo
Funziona così e io che scrivo devo tenerne conto.
Ecco perché nel brano qui sopra – § 24 “Da giovane mi hanno dimissionato” –
mi sono sentito in dovere di scusarmi in rosso vergogna perché il mio scritto è troppo lungo.
Ma ho sbagliato : l’ho letto e riletto, scritto e riscritto e non è troppo lungo.
Dice quello che deve dire, non una parola di troppo e non una di meno. E’ giusto così.
Tu stai pensando :
“Per te sarà anche giusto così, ma un giovane lo vede lungo e non lo legge”.
Io penso : se questo giovane giudica un testo senza leggerlo, ma soltanto da come gli appare prima di leggerlo
il problema è suo, non mio.
Se poi in Italia metà degli studenti delle superiori non capisce quello che legge
(risultato delle ‘Prove INVALSI 2021’ e qui al § 39), il problema è ancora di più
un problema dei giovani, delle loro famiglie, della nostra società.
Non è più purtroppo un problema mio. Il mio problema, il mio impegno
è scrivere sempre parole vere, giuste, utili e scriverle in modo interessante e coinvolgente
e, se possibile, a volte persino divertente. Punto.
Del resto siamo Italiani e gli Arabi per giustificare il fatto di non essere mai riusciti a conquistarla tutta, dissero:
“l’Italia è un paese troppo lungo”.
Questa frase allunga il testo, ma io non l’aveva mai letta prima di pochi minuti fa e mi è piaciuta
e la trovo vera e persino divertente e ci dice anche molto sull’attuale situazione dell’Italia (Giorgio Ruffolo)
perciò allungo ancora un po’ un testo già troppo lungo. E sono contento.
25
Furto in un tramonto indiano.
E’ una bella sera nella campagna di un villaggio in India.
E’ il tramonto, la luce è dorata, c’è silenzio. Anche i pavoni, di solito così rumorosi, si sono quietati.
Una donna, forse una ragazza, munge una vacca.
La donna è tranquilla. E’ accovacciata al suolo, porta i capelli raccolti in alto a chignon.
Tiene la testa appoggiata al fianco della vacca. Ne sente l’odore, il calore, la vita :
La vacca è tranquilla. Lo capisci dalla testa sollevata a guardare davanti a sè, verso l’orizzonte. Sogna forse il pascolo dove tornerà domani. Le orecchie però sono volte all’indietro, forse la ragazza le parla o forse sta cantando.
La vacca ha un bel collare, due grandi ornamenti ai lati della testa e un leggero tessuto ricamato a proteggerle il dorso.
E’ tranquilla, lo capisci anche dalla lunga coda che pende immobile dietro :
La vacca e la ragazza però non si sono accorte che sul lato opposto, dove la ragazza non lo può vedere e dove la mucca non guarda, si è avvicinato un vitellino. Poppa anche lui il latte della mamma.
La vacca forse se ne è accorta : le mammelle in fondo sono le sue e lei riconosce bene la differenza tra la delicatezza della mano della ragazza e l’irruenza delle poppate del vitellino. Forse se ne è accorta, però fa finta di niente. Forse sorride sotto i baffi.
Il vitellino è vispo, coda dritta, si appoggia, per sicurezza, alla zampa anteriore della mamma.
Intorno alla zampa sinistra della mucca si arrotola la coda del vitellino :
Però in altre sculture simili, proprio intorno alla zampa sinistra, la mucca ha un cerchio di metallo che ne limita la possibilità di spostarsi. Oppure potrebbe essere una fune che tiene il piccolo legato alla madre per evitare che si allontani troppo.Propendo per la coda che il vitellino adopera, come fosse una scimmietta, per sentirsi sicuro e vicino alla sua mamma mentre è tutto preso a poppare.
Il vitellino poppa deciso ed è come se lui dicesse alla ragazza :
“La mia mamma ti dà il suo latte, ma guarda che il suo latte è anche mio !”
Forse anche la ragazza che munge lo sa bene che il vitellino arriva a fare il suo furto serale. Forse vede persino le zampe del vitellino sotto la pancia della vacca. Forse il vitellino sa che la mamma fa finta di niente per proteggerlo e sa ancheche la ragazza fa finta di non vederlo per non interrompere il gioco che fa sorridere tutti.
Il furto di latte al tramonto di una sera nel villaggio è un gioco che ha fatto sorridere l’artigiano che un giorno ha avuto l’idea. E’ un contadino, non sa leggere e scrivere, non è un artista, non sa nemmeno cosa significa la parola “scultore”.
Lui è il fabbro del villaggio, costruisce gli strumenti per il lavoro nei campi, per guidare gli animali e per cucinare.
Però a tempo perso modella e fonde figurine che poi vende al mercato della città. Crea piccole divinità dalle infinite braccia e teste di animali che sistemate con reverenza su umili altarini riceveranno preghiere ed offerte quotidiane.
Le sue statuine sono accarezzate, a volta vestite, spesso lavate e poi cosparse di candido latte e della rossa polvere della devozione.
Forse questa figurina si teneva nella stalla – un altro spazio nella stessa capanna dove riposano vicini uomini e animali – come preghiera di fertilità.
Al fabbro del villaggio questa volta modellando la scena della mungitura gli è venuta l’idea di rappresentare un gioco : il vitellino che ruba il latte che in fondo è già suo.
Stava modellando la creta per la fusione a cera persa, ha visto per davvero un vitellino malandrino e gli è venuto da sorridere.
E’ successo tanti e tanti anni fa : la sua piccola creazione è piaciuta al mercato della città ….. poi ha vissuto a lungo su poverissimi altarini familiari …… ha ricevuto la ‘puja’ di latte e polveri colorate ….… ed è infine arrivata fino a qui,
a Venezia.
Eppure dopo decine di anni e dopo migliaia di chilometri la magia è rimasta : sorridono la vacca e la ragazza e il vitellino. Ancora è calda e accarezza l’anima la luce dorata del tramonto. Dopo tanti anni ancora il furto del vitellino fa sorridere tutti noi che li vediamo nel loro attimo di magia e di poesia.
Esistono migliaia di bronzetti simili a questo, però non ne ho mai visto uno
dove ci sia il gioco del vitellino che va a poppare il latte di nascosto dalla ragazza che munge la vacca e con la tacita e sorridente complicità della mamma.
Una volta soltanto ho visto la stessa scena con la vacca, la mungitrice e il vitellino.
E’ un bassorilievo nel tempio ‘Pancha Pandava Mandapa’ a Mahabalipuram, nel Sud dell’India,
dove con Giovanna abbiamo vissuto ore meravigliose tra i templi sulla spiaggia, cullati dal canto del mare.
Nel tempio la grande scena non è proprio uguale alla piccola scultura :
… anche qui ci sono chi munge, la vacca e il suo vitellino. Il vitellino però non ha ancora deciso di andare a poppare perché si gode l’amore della mamma che lo sta leccando affettuosamente.
Quel bassorilievo ha circa 1300 anni e anche dopo secoli ad ammirarlo non c’eravamo soltanto noi due :
Questo tenero e sorridente idillio campestre, tutto questo incanto di amore e di ironia, tutta questa poesia sono racchiusi in una piccola scultura : pochi millimetri e pochi grammi di una poverissima lega di bronzo, ricca però di rame.
E’ il rame che crea la luce dorata del sole al tramonto, la luce che illumina e accarezza la vacca, la ragazza e il vitellino.
Il vitellino che ruba il suo latte, la vacca che sorride sotto i baffi,
la ragazza che fa finta di non vedere quello che vede benissimo,
il fabbro che guarda la vita e ne scopre la magia e anch’io ….
abbiamo tutti un messaggio per te, che stai leggendo queste righe :
Il mondo, il tuo mondo, è pieno di piccoli meravigliosi capolavori che pochissimi vedono.
Tu non lasciarti distrarre da TV e cellulari e WA.
Tu guarda il modo intorno a te e scopri la bellezza e la poesia e godi !
Ci sono infiniti tesori che ti aspettano
e non ti serve una mappa per trovarli : ti basta l’amore.
26
Se vuoi veramente farmi ridere
devi veramente farmi piangere.
Racconta Nanni Loy, scrittore e regista :
Un giorno porto un mio testo a Totò.
Lui non lo apre nemmeno, mi chiede : “Il tuo personaggio tiene fame ?”
Rispondo : “Beh, sì ha problemi per mangiare…”
“Tiene suonno ?” continua Totò.
“No, per ora non ci sono scene dove ha sonno. Però le posso aggiungere.”
E Totò : “E questo personaggio tiene freddo ?”
“Sì, ha freddo perché è davvero povero”.
“Vabbuono, dice Totò. Su tre cose me ne bastano due”.
Decide di fare il film senza neanche conoscere la storia. Totò elenca le tre cose più serie,
più dolorose, più tristi. La fame, il sonno, il freddo sono problemi di tutti
ed è su queste cose che il comico deve lavorare.
Charlie Chaplin : “La vita è una tragedia in primo piano e una commedia in campo lungo”.
La vita, se la vivi da vicino, in Primo Piano, a volte è una tragedia, ma da lontano la tragedia (soprattutto se è la tragedia di un altro) può farti ridere.
Forse Chaplin ha letto Tolstoi : “(Da lontano) tutte le famiglie felici sono uguali;
(da vicino, in Primo piano) ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”.
Definitivo Giovanni Covini che non citerò mai abbastanza.
Parla con l’autore di un film che tratta di un argomento tragico
e però vorrebbe far ridere.
L’autore del film si giustifica con Covini :
“Vabbè, che c’è di male, dai ? È una commedia”.
Covini : “No. Non è mai solo una commedia.
Falla su qualcos’altro, la commedia, non su un argomento così tragico. Oppure sì,
falla la tua commedia su questo argomento, che va benissimo,
ma mi devi spaccare in quattro. Mi devi spaccare in quattro dalle risate e dalla disperazione”.
Risate e disperazione insieme.
27
Piuttosto caro lo sperone di Leone
Si gira “Il buono, il brutto, il cattivo” in Spagna. A fine giornata Leone si accorge che manca un’inquadratura : il dettaglio a pieno schermo di uno sperone che gira.
Ecco la sequenza dove manca l’inquadratura dello sperone : nella camera “4” di una locanda
il Buono del titolo (il “Biondo” per i suoi compari) è tutto preso a smontare, pulire e rimontare
la sua pistola : praticamente inerme e indifeso.
Quattro assassini arrivano per farlo fuori.
Fuori, in strada sfila una interminabile colonna di centinaia di soldati a cavallo,
il Generale su un carro, decine di feriti che si trascinano sulle stampelle, migliaia di fanti
che marciano a piedi, carri e carrozze e cannoni a traino.
Il frastuono della colonna in marcia copre il rumore dei passi dei killer che avanzano
in punta di piedi (cioè, in punta di stivali) per sorprendere e uccidere il Buono.
Manca lo sperone che gira : eppure è lui l’eroe di questa sequenza.
Sarà proprio il rumore dello sperone a rompere il silenzio che si crea perché la colonna di soldati, cavalli, carri e cannoni si è improvvisamente fermata.
Il dettaglio di quello sperone che – enorme a pieno schermo – gira, fa un inconfondibile rumore e mette sull’avviso il Buono, è fondamentale per il film.
“… e non l’abbiamo girato !”, dice Leone a fine giornata.
“Vabbè, dice il Produttore a Leone, lo faremo un altro giorno”.
Passano i giorni, finiscono le riprese, partono gli attori, si smonta tutto, ma …..
“Ma dobbiamo girare il dettaglio dello sperone”, dice Leone.
”Vabbè, dice il Produttore. Che ci vuole ?
Gli speroni, un paio di stivali e una comparsa che cammina”.
“No, dice Leone. Lo sperone si vede a pieno schermo, gigantesco. Ma dietro …
dietro lo sperone che gira si deve vedere la colonna di soldati, i cavalli, i carri e i cannoni.
Tutti prima marciano e poi improvvisamente si fermano.
Questo si vede sullo sfondo, davanti si vede lo sperone che gira”.
Non so se il dettaglio dello sperone che gira l’hanno poi mai girato. Ma so per certo
che al Produttore è girato, e non per un pugno di dollari, nemmeno per qualche dollaro in più, ma per qualche milione di dollari in più, al Produttore è girato qualcos’altro.
Post Scriptum (3 cadaveri dopo)
In realtà il dialogo di Leone con il malcapitato Produttore (o Direttore di Produzione)
è inventato. Come puoi facilmente verificare a questo link :
https://www.youtube.com/watch?v=cPEUSCxaTKs
i 3 assassini camminano in punta di stivali prima sulle scale e poi nel corridoio della locanda.
E da dove sono loro non si vede affatto la colonna di soldati, cavalli, carri e cannoni
prima in movimento e più tardi improvvisamente immobili e in silenzio.
Quindi non è vero che girare l’inquadratura con il dettaglio dello sperone che gira
avrebbe richiesto una cifra spropositata. Si poteva girare dovunque in qualsiasi momento praticamente a costo zero.
Inoltre non è nemmeno vero che nel film sia stato il rumore degli speroni a salvare la vita
del Buono. E’ stato il rumore del tacco degli stivali sul pavimento di legno del corridoio
della locanda nel preciso momento in cui cessa il frastuono della colonna in marcia.
I tacchi, non gli speroni !
A creare la leggenda è stata forse la battuta del Biondo che spiega ai 3 cadaveri
che a tradirli è stato il suono dei loro speroni. E gli fa eco il Brutto, simpaticissimo,
che fa girare i suoi di speroni ..
… richiama l’attenzione del Biondo e lo invita a suicidarsi.
Forse lo sperone di Leone è una leggenda e nel western quando la leggenda diventa realtà,
vince la leggenda. Lo dice il titolo : “C’era una volta il Western” di Sergio Leone.
Post Scriptum (3 ore dopo)
Telefona l’Editor, lui in vacanza in Sardegna, io qui a lavorare :
“Guarda, Franco che il titolo del tuo prossimo libro -
“€ureka ! dopo ‘crear$i’ altri 9439 consigli pratici per la tua creatività” -
lo dice chiaramente.
Tu prometti 9439 consigli pratici e perciò ogni tuo brano deve contenere un consiglio pratico.
In questa storiella dello sperone, vera o falsa che sia, dov’è il consiglio pratico ?
Come tutti sanno gli Editor hanno sempre ragione : il loro compito
è separare il grano dalla pula e poi pubblicare la pula.
Perciò obbedisco.
Ecco per te, amico Lettore, un consiglio pratico, anzi tre consigli pratici,
utili se tu lavorerai nel Cinema, in TV, nello spettacolo, sui social, ma in fondo in qualsiasi professione richieda creatività, improvvisazione e decisioni fulminee.
Primo consiglio pratico :
Non rimandare mai a domani l’inquadratura che puoi girare oggi.
Secondo consiglio pratico :
L’inquadratura che tu potresti girare oggi, se la rimandi, potrebbe essere
l’ultima inquadratura che ti capiterà mai più di girare in tutta la tua vita.
5 minuti di più oggi per una vita migliore domani.
Terzo consiglio pratico :
Fa come Snoopy :
28
Esame di Greco antico.
Trenta. E lode. E scomunica. E Oscar.
Esame di Greco antico alla severissima prestigiosa Università di Oxford.
Uno studente, 7 professori. Uno più severo dell’altro. Lo studente si siede,
gli propongono un testo in greco da tradurre a prima vista.
E’ il brano che racconta la passione di Cristo.
Lo studente attacca sicuro, traduce rapido e perfetto.
Non una sbavatura, nemmeno un’imprecisione.
Continua per parecchi minuti, profondamente immerso nella lettura.
I 7 severissimi professori sono stupefatti. Finalmente il Presidente della Commissione
dice allo studente : “Va bene. Basta così. Bravissimo. Si fermi.”
Lo studente non fa una piega, non alza la testa continua a tradurre.
“Le ho detto di fermarsi. Abbiamo capito. Ha già il massimo dei voti : si fermi !”
Lo studente alza gli occhi dal libro e dice : “Per favore, lasciatemi continuare.
Questa storia mi appassiona. Voglio scoprire come va a finire”.
Il voto è inevitabile : 30 e lode. Nemmeno un Professore riesce a tradurre
un testo mai visto prima così velocemente e senza un errore.
La scomunica è inevitabile : non puoi arrivare a quell’età e non saper nulla del Nuovo Testamento.
Persino gli analfabeti sanno come va a finire la Passione di Cristo.
Anche l’Oscar è inevitabile : lo studente fa Wilde di cognome.
Ti racconto di Oscar perché gli esami nella vita non finiscono mai.
Anche tu ne dovrai affrontare sempre e di ogni tipo.
A scuola, sul lavoro, nei campi sportivi, in amore e – i peggiori – in ospedale.
Se puoi, se riesci, prova ad affrontarli tutti con la stessa innocente e irriverente spregiudicatezza
con cui lo studente Oscar qui sopra ha affrontato il suo esame di greco antico.
Forse questo tuo atteggiamento non riuscirà a modificare l’esito dei tuoi esami
(in particolare RX, PEC, TAC, RM, macchine del tutto sorde alla personalità del paziente),
ma certo renderà molto più simpatico te.
29
Fai tu l’unico esercizio che Chuck Norris nemmeno osa provare.
Uno dei più divertenti esercizi di creatività in cui, se vuoi, puoi metterti alla prova è creare storie su Chuck Norris.
Chuck Norris è ideatore, sceneggiatore, produttore e attore protagonista dei 203 episodi (più alcuni film Cinema) della serie TV “Walker, Texas Ranger” (la virgola – , – ci andrebbe perché “Walker” è il cognome del protagonista e “Texas Ranger” la sua qualifica). Per non farsi mancare niente Chuck Norris è anche la voce che canta la sigla “The eyes of a ranger”e in certi film intepreta due diversi personaggi contemporaneamente.
Da anni in tutto il mondo giovani creativi si sfidano ad inventare nuove imprese del mitico Ranger.
Provaci anche tu : io ti regalo qui sotto alcune imprese di Chuck Norris.
Tu le leggi e poi scrivi anche tu qualche impresa di Chuck Norris :
inventa la cosa più fantastica, impossibile, incredibile e magari anche divertente che ti viene in mente.
Il cellulare di Chuck Norris non squilla.
Si mette di fianco a lui, con la mano alzata. In silenzio.
Se un semaforo diventa rosso davanti a Chuck Norris,
è perché si emoziona.
Secondo la Bibbia, Dio ha impiegato sei giorni per creare l’universo.
Prima Chuck Norris aveva creato Dio schioccando le dita.
I rubinetti in casa di Chuck Norris non perdono, vincono.
Se Chuck Norris è positivo al Coronavirus,
il virus entra in quarantena per due settimane.
Una notte, durante un temporale,
Chuck Norris è stato colpito da un fulmine.
Il fulmine è morto sul colpo.
Chuck Norris salta i fossi per lungo.
Chuck Norris non va a caccia :
gli animali vanno a bussare alla sua porta e si sparano da soli.
Chuck Norris può volare perché la forza di gravità non ha il coraggio di dirgli che non può.
Quando Chuck Norris ha lasciato l’impronta delle mani
sulla Hollywood Walk of Fame, il cemento era asciutto.
Chuck Norris, quando gioca a scacchi, vince sempre.
Con la prima mossa.
Se Chuck Norris parte per una vacanza ai Tropici e sbaglia aereo ritrovandosi al Polo Nord,
gli orsi polari pitturano il ghiaccio di giallo, piantano gli ombrelloni sull’iceberg e si mettono il tanga.
Le orse il bikini.
Chuck Norris può circondare i suoi nemici. Da solo.
Quando parli con Chuck Norris devi stare zitto.
Quando Chuck Norris gioca a squash o a padel, il muro perde sempre.
Chuck Norris annega i pesci.
Chuck Norris mangia il brodo con la forchetta.
Chuck Norris non bagnava il letto da bambino. Il letto si bagnava da solo per la paura.
Chuck Norris non gioca a ping pong : gioca solo a “ping”: gli basta un colpo per vincere.
Quando Chuck Norris va al mare, i salmoni risalgono la corrente dei fiumi per evitarlo.
Quando scatti una foto a Chuck Norris, il flash rimane accecato.
Chuck Norris non porta l’orologio. Decide lui che ora è.
Chuck Norris, prima di volere una cosa, la ottiene.
Chuck Norris quando legge non si deve leccare le dita. Sono le pagine che sudano dalla paura.
Quando Chuck Norris parla al telefono, parla davvero al telefono.
E il telefono ascolta ed esegue tutti i suoi ordini.
Un giorno un avversario di Chuck Norris ha schivato il suo calcio rotante.
E’ comunque morto, decapitato dallo spostamento d’aria.
Chuck Norris una volta ha sbattuto accidentalmente contro una torre.
A Pisa.
Un giorno Chuck Norris ha preso il treno e se l’è portato in camera.
Chuck Norris una volta ha calciato un cavallo sul mento.
Ora i discendenti di quel cavallo si chiamano “giraffe”.
Se stai leggendo queste parole, Chuck Norris ti ha fatto un grande favore: ha deciso di non ucciderti. Non ancora.
Queste storie ti sono piaciute ?
Qualcuna ti ha fatto sorridere ?
Hai capito lo spirito di questo esercizio di creatività ?
Allora inventa tu qualche nuova storia di Chuck Norris :
una storia così impossibile e divertente che nessuno finora ci aveva mai pensato.
Divertiti e divertici.
Hai scritto una nuova storia ? Se me la spedisci a questa mail :
franco.bellino@francobellino.it
e se Chuck Norris la giudica davvero geniale, io te la pubblico.
Attenzione però :
invece di mettersi a pensare una propria storia per eseguire questo esercizio di creatività,
alcuni hanno pensato di copiare dalla Rete andando sui siti di “Chuck Norris Facts”
o anche sull’italiano : https://welovechucknorris.blogspot.com/
Altri, meno smanettoni, si sono comperati questi imperdibili libri …
e
… e poi mi hanno spedito delle storie che volevano far passare come loro creazioni.
Senza nemmeno aprire le loro mail –
sono le mail che si aprono spontaneamente
perché sanno che Chuck Norris apre in due le mail con un calcio rotante -
… Chuck Norris si è accorto dell’inganno.
Di questi ‘furbetti’ nessuno ha saputo più niente.
Lo sanno tutti però che quando Chuck Norris ti uccide con il suo calcio rotante,
tu prima di toccare terra ti vedi passare davanti tutta la tua vita come un film, compresi gli inserti pubblicitari,
i commenti del regista, il director’s cut, le interviste agli attori, il back-stage e la moviola degli highlights in slow-motion.
30
Orologi a cucù nei mari svizzeri.
.. e coriandoli da 23.037 Euro
Orson Welles era un genio.
Orson Welles, per amore di battuta, nel film ‘Il terzo uomo’ dice :
In Italia per 30 anni sotto i Borgia ci furono guerre, terrore, omicidi, carneficine…
ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento.
In Svizzera non ci fu che amore fraterno ….. ma in 500 anni di quieto vivere e di pace
che cosa ne è venuto fuori ? L’orologio a cucù.
https://www.youtube.com/watch?v=pBy5q-UdIrk
La battuta è bella, la storia non è vera.
L’orologio a pendolo, con lo chalet di legno, la finestra che si spalanca e il cuculo che salta fuori e canta le ore,
è un’invenzione tedesca : nasce nel ‘700 nella Foresta Nera.
Però sugli orologi gli Svizzeri hanno capito tutto molto rapidamente e sono oggi i più famosi creatori nel mondo.
Geniale in proposito questo ‘distinguo’ di Guido Clericetti :
“Non so perché, ho sempre pensato che gli orologi svizzeri della Svizzera Italiana siano un po’ meno precisi”.
Dove è finita la Flotta ?
Orson Welles, IL regista, il genio, della Svizzera aveva capito poco. Poco avevano capito anche gli Stati Uniti d’America
che per l’inaugurazione del Canale di Panama, nel 1914 invitarono la Svizzera a partecipare allo storico evento
“con alcune unità della sua Marina da guerra” :
Un rapido controllo della propria flotta e gli Svizzeri si accorsero non solo di non avere una ”Marina da guerra”,
ma dovettero anche ammettere di non avere nemmeno un mare.
La scoperta fu traumatica, ma con grande nonchalance il Governo Svizzero rispose ringraziando gli USA per l’invito
e dichiarandosi “dolentissimo di non potere purtroppo partecipare allo storico evento non possedendo una Marina”.
Mai sottovalutare gli Svizzeri !
A Panama la cosa finì lì, ma non per gli Svizzeri : si fecero una domanda e si sono dati una risposta.
Dal 1941 hanno l’Ufficio Svizzero della Navigazione Marittima (USNM);
negli oceani di tutto il mondo naviga la Flotta Commerciale Marittima che batte questa bandiera :
… e un giorno hanno detto : “Il mare non l’abbiamo e difficilmente lo avremo.
Ma per mare ci sappiamo andare e ve lo dimostriamo”.
La più importante gara di vela in mare aperto, il più antico e famoso trofeo sportivo
ancora oggi disputato e prestigiosissimo è l’America’s Cup :
La Svizzera decide di partecipare e dato che ci si trova bene, ne vince non una, ma due edizioni : 2003 e 2007
con l’imprendibile ‘Alinghi’.
Della Svizzera, a parte le planate di Alinghi e l’incantevole eleganza tennistica di Roger Federer,
mi affascina un’altra scoperta.
Franco Gengotti, un tempo carissimo amico, mi vede in partenza per Zurigo e mi dice :
“Occhio, è Carnevale : se lanci coriandoli, devono essere tutti di un solo colore. O tutti rossi, o tutti verdi, o tutti blu”.
Oh bella, e perché ?
Perché in Svizzera non vogliono che qualcuno lanci coriandoli raccolti da terra.
I coriandoli raccolti da terra sono di tanti colori diversi e sono sporchi !
Non è bello, e nemmeno igienico, ricevere in faccia, magari in bocca, coriandoli raccolti da terra.
Per cui se lanci coriandoli devono essere di un solo colore : lo dice la Legge.
Naturalmente non ci credo.
Naturalmente sbaglio.
Sono rimasto da allora ammirato e incantato da questa creativa preoccupazione carnevalesca.
Purtroppo temo che negli ultimi anni i controlli siano stati meno rigorosi perché vedo oggi in vendita
anche sacchetti di coriandoli in technicolor. Peccato.
Di coriandoli si è occupato anche il genio di Einstein che dice :
Dio non gioca a dadi.
Però lancia coriandoli nello spazio cosmico.
Lo dice per contrastare la meccanica quantistica e Niels Bohr,
e lo dice con una bellissima immagine lirica. E’ emozionante vedere il Padre Eterno che sparge allegramente
coloratissimi coriandoli nel buio cosmico. Con la Via Lattea poi ci ha indicato una meravigliosa strada di luce.
Anche Tano Festa lancia coriandoli nello spazio cosmico :
I coriandoli di Tano sono pezzettini di carta gettati sulla tela impregnata di colore. Sono fuochi d’artificio.
Sono galassie, costellazioni che emergono da universi colorati e si abbandonano a una danza luminosa:
coriandoli o polvere di stelle ? Però se anche tu, come me, ti innamori dei coriandoli di Tano Festa
tieni presente che …
i coriandoli qui sopra a sinistra, li compri con qualche decina di centesimi;
quelli di Tano a destra, li compri con qualche decina di migliaia di €uro.
Sui coriandoli nel cosmo ci sono due interessanti risposte alla frase di Einstein quando dice :
Dio non gioca a dadi. Però lancia coriandoli nello spazio cosmico.
Contrariamente all’intuizione di Einstein, non solo Dio gioca a dadi, ma sembra essere
l’unico del quale possiamo fidarci per un gioco onesto. (Hans Christian von Baeyer)
Einstein sbagliò quando disse: Dio non gioca a dadi. L’esistenza dei buchi neri suggerisce infatti
non solo che Dio gioca a dadi, ma che a volte ci confondegettandoli dove non li si può vedere.
(Stephen Hawking).
Per non sapere né leggere né scrivere né di cosmologia, semmai dovesse capitarmi
di trovarmi in futuro in un Carnevale (evento che ho scrupolosamente evitato per 83 anni,
fino a quando due anni fa mi hanno obbligato a mettermi in maschera)
mi asterrò dai coriandoli e mi dedicherò e rigorosamente solo a stelle filanti
e trombette a lingua di Menelik (vulgo, Menelicche) :
+
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Un Asparago. Un milione.
Purtroppo non è in vendita.
Un giorno Manet finisce un quadro che rappresenta un mazzo di asparagi.
Questo :
Vede gli asparagi un colto collezionista, Charles Ephrussi e se ne innamora.
Con il pittore si accorda sul prezzo e si porta il mazzo di asparagi a casa.
Manda subito al pittore la cifra dovuta, ma la cifra è sbagliata.
Il prezzo concordato era 800 Franchi, ma qui ci sono 1000 Franchi.
Accettarli non è giusto.
Rifiutarli è scortese.
Cosa fa Manet ?
Fa un asparago.
Prende tela e colori, dipinge un asparago, questo :
… e lo manda in regalo al generoso collezionista con un bigliettino che dice :
“Al vostro mazzo mancava un asparago”.
Se anche non fosse un capolavoro, esposto oggi al Museo d’Orsay,
questo asparago sarebbe un capolavoro di intelligenza e di ironia.
Per fortuna non è in vendita.
Anche se in casa noi preferiamo gli asparagi verdi,
per quell’asparago bianco solitario (gli asparagi non li vedi mai soli)
mi svenerei.
32
Biglia Blu
E’ il 7 Dicembre 1972 :
per la prima volta nella storia dell’umanità (quantomeno che noi si sappia)
l’Uomo vede dove vive : vede il pianeta Terra.
Questa è la prima fotografia in cui si vede per intero il nostro pianeta.
Chi fotografa e la sua macchina fotografica sono lontani 29.000 Km da noi.
Forse gli UFO hanno fatto altre foto, ma per ora non lo sappiamo.
Se la cerchi negli Archivi della NASA, la foto ha questa sigla : AS17-148-22727
e completa e non capovolta appare così :
Vista la foto, venne naturale darle un titolo : “Pianeta Blu”
Ma anche “Blue Marble”, cioè “Pallina blu|”.
Meglio ancora, per noi che ci abbiamo giocato : “Biglia blu”
Fino a pochi anni fa abbiamo avuto la presunzione di pensare
che noi siamo addirittura il centro dell’universo cosmo, e che quindi
attorno a questa minuscola pallina blu ruotassero il Sole e i pianeti e stelle e galassie …
… oggi sappiamo, perché lo abbiamo visto con i nostri occhi,
di essere una trascurabile presenza
su una microscopico granello di sabbia, anzi di acqua.
Nell’universo noi siamo praticamente invisibili :
un pianeta illuminato solo di luce riflessa e privo di luce propria,
soprattutto considerati i recenti pazzeschi aumenti delle bollette elettriche.
La Terra, la nostra Terra, quella su cui vivi tu che mi stai leggendo, è una piccolissima pallina blu.
Appare blu perché blu è l’acqua e la Terra è quasi completamente coperta non dalla terra,
ma dall’acqua.
Ma allora perché chiamarla “Terra” ?
Se è fatta soprattutto di acqua dovremmo chiamarla “Acqua”. Magari “Mare”, magari “Oceano”.
“Oceano” come nome è più maestoso e fa più impressione che non l’acqua che viene anche giù dal rubinetto.
E poi non solo il pianeta, anche noi uomini e animali e piante siamo fatti quasi tutti di acqua.
Non sarà un caso se alla NASA il nome del nostro pianeta è “Ocean Planet” (Pianeta Oceano).
E anche “Water World” (Mondo Acqua).
Stando così le cose la mia amica Mari proporrebbe come nome per il nostro pianeta : “H2O”.
La molecola dell’acqua è fatta di due atomi di idrogeno – due H – e di un atomo di ossigeno – un O.
Quindi : H2O. Mari è molto intelligente : magari tu vedi …
.. leggi male e vai al suo bàcaro che si chiama : “H2NO”. Niente acqua da lei in Cannaregio,
ma vini, birre e cicchetti buonissimi, sempre freschi e creativi.
Un filosofo, Simone Regazzoni, ha dedicato un intero libro a questa idea dell’importanza dell’acqua :
“Oceano. Filosofia del pianeta” (Ponte alle Grazie 2022).
Se non vogliamo più chiamarlo “Terra”,
cerchiamo insieme un nuovo nome per il nostro pianeta :
Pianeta Blu ?
Mondo Mare ?
Pallina Blu ?
Pianeta Oceano ?
Mondo Acqua o Acquamondo ?
Per me il nome più bello è :
Questa è la mia proposta per il nuovo nome del nostro pianeta : “Biglia Blu”
(“Blu” senza accento, perché non ci va, però maiuscolo perché mi va).
Ci sono 6 buoni motivi perché tu mi approvi “Biglia Blu” come nuovo nome della Terra :
1
Chiamare il nostro pianeta “Biglia” evoca subito il gioco. Un gioco infantile innocente.
Un gioco di bambini nelle piste disegnate sulla sabbia nella spiaggia delle vacanze estive
o nelle buche scavate sul prato mentre le mamme chiacchierano sulle panchine dei giardini pubblici.
Pubblico anche un’altra foto perché sono sicuro che i bambini della ‘Generazione Alfa’ (i nati dal 2010 a oggi)
si stanno chiedendo : “Ma come si fa a disegnare una pista sulla sabbia ?”
Si fa così :
… e subito dopo si rinforza la pista appena tracciata con acqua di mare raccolta con l’insostituibile secchiello.
2
Chiamare “Biglia” il nostro pianeta evoca un altro pianetino – l’Asteroide B612 -
da cui parte per venire a trovarci il Piccolo Principe :
“B612”, questo inesistente e realissimo pianetino, è in realtà un asteroide così piccolo
che il Piccolo Principe vede sorgere e tramontare il sole 43 volte ogni giorno.
3
Chiamare “Biglia” il nostro pianeta ci regala una tappa preziosa nelle nostre prossime vacanze spaziali.
Il 2 Giugno 1998 un gruppo internazionale di Astronomi scopre nello spazio un’altra biglia, un asteroide,
non inventato da un poeta, ma realissimo. Si chiama “1998KY26” :
Lì il sole sorge e poi tramonta ogni 10 minuti e 7 secondi.
Tra alba e tramonto passano solo 5 minuti : una giornata fulminea !
Ma la scoperta è importante per noi perché su “1998SK26” c’è acqua, molta acqua.
Acqua che potrebbe offrire una pausa-pranzo
(bevande e cibo coltivato in loco a km zero) ai nostri futuri turisti cosmici.
Ci si arriva da casello a casello in circa 442 giorni di volo perché la sua distanza da noi varia,
ma sono circa 4.589.392 Km, più o meno. Oltretutto non è facilissimo da trovare
perché per ora nello spazio mancano i cartelli stradali e lui è molto piccolo :
come un SUV o un pulmino scolastico, più o meno. Piccolo così :
4
Chiamare “Biglia” il nostro pianeta significa riconoscere al pianeta su cui viviamo e a noi stessi
la fragile bellezza di una bolla di sapone. Viviamo su una delicatissima bolla di sapone.
Siamo noi stessi una fragilissima bolla di sapone :
Un magia infinita che sempre finisce troppo presto, ma sempre si può ricreare.
Almeno fino a che abbiamo acqua e sapone e fiato per soffiare.
5
Chiamare il nostro pianeta “Biglia Blu” è poetico perché evoca il blu del cielo sereno,
il blu del mare profondo, il blu degli occhi di un amore e persino le mille bolle blu di Mina.
6
Chiamare il nostro pianeta “Biglia Blu” dimostra quel tanto di sprezzatura (vulgo, understatement)
e quel pizzico di auto-ironia che rende proprio noi, i peraltro trascurabili abitanti di questo pianeta,
gli unici (fino a prova contraria) geniali e creativi abitanti dell’universo a noi noto.
Post Scriptum 1
Mi chiedi : se da oggi il nostro pianeta si chiama “Biglia Blu”,
allora noi, invece che “Terrestri”, ci chiameremo “Biliardini” ?
“Biliardini” ? non sarebbe poi così lontano dal vero, mi pare.
Post Scriptum 2
Einstein dice : “Dio non gioca a dadi”.
Forse Dio non gioca a dadi, sono sicuro però che se Dio gioca, gioca con le biglie.
Guarda questo giovane dio di Giava : guarda con che eleganza di gesti e di pensiero
lancia nello spazio la sua biglia blu.
33
Il più bel verso della Divina Commedia
è un canto d’amore. Modernissimo.
S’io mi intuassi come tu t’inmii.
Per me, e ripeto per me, e sottolineo per me così dantisti, letterati e professori posano
la matita rossa-e-blu, per me oggi, domani non so, questo verso è il più bello tra i 14.233
versi di tutta la Divina Commedia. Arrivare primo su 14.233 è da Guinness dei primati.
S’io mi intuassi come tu t’inmii.
Se io potessi entrare in te (S’io mi intuassi)
come tu t’inmii (come tu entri in me).
Lo dice Dante nel 9° canto del Paradiso al verso 81. Dante sta parlando a dei Beati
che mostrano di poter sentire dal di dentro quello che lui pensa e quello che lui sente :
Dante vorrebbe anche lui avere questo dono divino e perciò dice a uno di questi Beati :
S’io mi intuassi come tu t’inmii.
Questo verso è difficile anche solo da immaginare.
E’ un’acrobazia di creatività linguistica.
E’ difficile da scrivere.
E’ difficile da leggere.
E’ difficile da pronunciare e da ricordare.
E’ difficile da spiegare e commentare.
E’ geniale !
Molti ci vedono un’anticipazione e una descrizione del concetto di ‘Empatia’.
Cito : “Il termine Empatia deriva dal greco, en-pathos cioè, sentire dentro.
L’Empatia consiste nel sentire dentro di sé le emozioni degli altri
come se fossero nostre : calarsi nella realtà di un’altra persona e comprenderne
punti di vista, pensieri, sentimenti, emozioni”.
Non mi dilungo qui, ma https://www.stateofmind.it/empatia/
Scopro solo oggi dentro di me – mi in-mio – non solo questo verso di Dante :
scopro che io l’ho messo in pratica con Giovanna creando il nostro anello di nozze.
Dante l’ha scritto, noi lo viviamo ogni giorno.
Comincia tutto così, come sempre cominciano le cose più belle : per gioco.
Ero innamorato di Giovanna. Per me è sempre stato difficile, e difficile è ancora oggi,
dire “Ti amo”. Figuriamoci poi regalarle un anello di fidanzamento.
Un giorno sono in cucina, ancora nella casa dei genitori.
Vedo nel lavello il tappo di gomma legato alla catenella con un anellino metallico.
L’anellino è fatto più o meno così :
Subito mi intriga la scoperta che l’anellino è fatto di due fili che però diventano uno.
Due che diventano uno : è l’amore !
L’amore espresso da un umilissimo anellino metallico.
L’anellino sta in fondo al lavello, si occupa dello scarico dei rifiuti
eppure esprime con semplicità, senza dire una sola parola e con immediata evidenza
il concetto più importante del vita : l’Amore.
Stacco l’anellino da catenella e tappo di gomma del lavello
e la sera lo regalo a Giovanna. Si infila perfetto nel suo anulare.
Non ho mai saputo, e ancora oggi non so, se le fece piacere o no.
Però quando anni dopo decidiamo di sposarci,
decisione presa e messa in atto in pochi giorni
(tutti pensarono che ‘dovessimo’ farlo perché lei era incinta) faccio realizzare
da un prestigioso e paziente gioielliere di Corso Vittorio Emanuele
le nostre vere nuziali.
Sono semplicissime, in oro bianco, senza scritte
e sono identiche proprio all’anellino del tappo del lavello.
Ecco la vera nuziale di Giovanna :
Paolino Spreafico, monsignore della Basilica di Sant’ Eustorgio, quando
nella Cappella Portinari vide il vassoio su cui erano posati i due anellini
(proprio identici all’anellino del lavello della sua cucina), fu molto sorpreso.
Però la nostra spiegazione convinse anche lui.
Essere due in uno. Noi due insieme, sposandoci, creiamo qualcosa
che non esiste in me da solo, che non esiste in te da sola,
esiste solo se esiste il nostro amore.
S’io mi intuassi come tu t’inmii.
C’era anche una spiegazione più erotica : “Due corpi di giorno e uno di notte” …
… ma questa versione la risparmiammo al Monsignore.
S’io mi intuassi come tu t’inmii.
Questo simbolo del nostro amore sarà nato anche per gioco, avrà sorpreso gioielliere e monsignore, parenti e amici, però sembra che funzioni ancora dopo quasi 60 anni.
Non ho scritto “funziona” : ho scritto “sembra che funzioni”.
34
L’ingegnere innamorato,
lo scrittore incazzato,
il bidonista geniale.
Sei mi stato innamorato ?
Certo che sì.
Hai mai fatto un regalo al tuo amore ?
Certo che sì.
Hai mai regalato al tuo amore una torre alta 330 metri ?
Temo di no.
Beh, qualcuno l’ha fatto.
Amore, la tua iniziale
non la scrivo con lo spray sui muri :
la scrivo col ferro nel cielo.
Ho vissuto mesi a Parigi.
Ci ho speso molti stipendi non tanto in suites, ostriche e champagne, quanto in fogli degli amatissimi Hokusai, Itcho e persino in antiche rocche calabresi e ferri da calza greci.
Ho vissuto mesi a Parigi e la Tour Eiffel non passava certo inosservata.
Eppure solo ieri ho scoperto che la Tour Eiffel è anche una dichiarazione d’amore.
Tour Eiffel : sappiamo tutti quanto è alta : 312 metri e 28 centimetri, che diventano 330 con l’antenna. Sappiamo quando è nata : nel 1889, dopo solo 2 anni per farla nascere da zero.
La prima foto è del 10 Agosto 1887; l’ultima del 12 Marzo 1889. Sono bastati 5 mesi per scavare
le profondissime fondamenta e solo 21 mesi per il montaggio di tutte le parti metalliche.
Oggi in Italia, con lo stesso tempo a disposizione, non si fa nemmeno in tempo a bocciare un progetto.
Però nella Tour Eiffel io non avevo mai visto quel messaggio d’amore : una grande grandissima “A” :
Non so se questa storia sia vera; so che ci hanno fatto un film “Eiffel (2000) di grande successo e con incassi miliardari.
La Torre Eiffel ha la forma di una “A” perché “A” è l’iniziale di Adrienne Bourgès, la donna che Gustave Eiffel ha amato follemente.
Si erano incontrati a Bordeaux, lei aveva 17 anni e lui 27. Lui, giovane ingegnere, è in città per costruire un ponte di ferro sulla Garonna. Nasce l’amore, decidono di sposarsi, lui va dal padre di Adrienne e chiede la mano della figlia. Il padre dice : “No!”.
Monsieur Bourgès dice che Eiffel non è il marito giusto per la figlia.
Punto e a capo.
Umiliato, Eiffel sposerà una “brava ragazza”, Marguerite Gaudelet. Avrà cinque figli. Nel 1877 Marguerite muore a soli 32 anni.
Eiffel ha 42 anni, è vedovo e ricco, è un uomo di successo. Non si risposerà mai più, ma …
.. ecco la magia : un giorno (nel film almeno) il vedovo Gustave incontra il suo primo grande amore : Adrienne. Anche lei adesso è sposata, ma la passione li travolge.
Però non succede nulla, tranne un piccolo quasi invisibile dettaglio : Gustave dedica alla sua Adrienne una lettera “A” alta più di cento metri, che domina e illumina tutto il panorama della città più luminosa del pianeta Terra.
Una “A” che tutto il mondo vedrà e ammirerà per secoli.
Anche se questo regalo d’amore rimarrà per secoli segreto ai più.
Segreto mica tanto : la sua “A”, alta 115 metri e larga1650 metri quadrati, è in grado di accogliere 1.600 visitatori.
Ancora più divertente dell’amore segreto di Eiffel per Adrienne
è l’odio non segreto, anzi dichiarato per la Tour Eiffel dello scrittore Guy de Maupassant.
Il genio che rese invisibile la Tour Eiffel.
Guy de Maupassant odia davvero la Tour Eiffel.
Scrive di essere disposto a lasciare Parigi pur di non vederla mai più. : “J’ai quitté Paris et même la France, parce que la tour Eiffel finissait par m’ennuyer trop. Non seulement on la voyait de partout, mais on la trouvait partout, faite de toutes les matières connues, exposée à toutes les vitres, cauchemar inévitable et torturant.
(‘ Lassitude’, extrait de Guy de Maupassant, La Vie errante, 1890)
Prima di partire però (non partirà mai) Maupassant inventa una soluzione geniale. Dovunque lui si trovi a Parigi, se solo alza lo sguardo, l’orrido asparago di ferro gli sbatte negli occhi ?
Persino quando è chiuso in casa, vede la Tour Eiffel nel pennino con cui scrive i suoi capolavori ?
Allora cosa fa ? Fa sparire la Tour Eiffel. Decide che d’ora in poi lui pranzerà e cenerà soltanto nel ristorante dove, anche seduto all’aperto, è sicuro di non vedere la Tour Eiffel.
Quale ristorante ? Quello sulla Torre Eiffel !
Proprio dentro la Tour ci sono 4 maestosi saloni. Ogni salone ha 500 coperti.
Un ristorante propone cucina alsaziana e le cameriere indossano costumi tradizionali.
Poi c’è un ristorante russo e due di cucina francese classica, di cui uno diventerà olandese.
Probabilmente per non vedere la Tour, Maupassant ci andava chiuso in carrozza
e si faceva accompagnare al suo tavolo bendato : solo lì, finalmente,
poteva guardarsi attorno e non vedere la Torre.
Da quel giorno, ogni giorno, per essere assolutamente sicuro di non rovinarsi il pasto
vedendo la Tour Eiffel, lui si siede a tavola ‘dentro’ la Tour Eiffel !!!!
“Ma come, dicono gli amici : proprio tu che detesti la Tour vieni nella Tour ogni giorno ?”
E lui: “ Certo: questo è l’unico posto di tutta Parigi dove sono sicuro di non vedere il mostro !”
Nota riservata a pochi intimi:
A Siena però la trovata geniale dello scrittore francese non funziona. A Siena se proprio non ami
la Torre, per non vederla puoi sempre salirci sulla Torre del Mangia. Però la Torre e i Torraioli faranno sempre comunque parte integrante della tua vita di contradaiolo. E per fortuna che è così.
Il genio che vende la Tour Eiffel. Due volte.
Grande come Eiffel che l’ha innalzata e come Maupassant che l’ha resa invisibile,
grande e geniale è il signore che per ben 2 (due!) volte è riuscito a vendere la Tour Eiffel.
E’ il “conte” (tra virgolette) Victor Lustig, forse nato in Cecoslovacchia, che si presenta però come un nobile austriaco, erede di una antichissima casata che possiede castelli in tutta Europa.
Victor è sempre elegantissimo, raffinato e affascinante, colto e informato, parla cinque lingue, sa ascoltare e sa convincere, senza mai alzare la voce, sempre con classe e riservatezza.
Victor è intelligente : legge i giornali, si tiene informato.
E’ il 1925 quando Victor legge un articolo sulle pessime condizioni in cui versa la Tour Eiffel
a causa della scarsa manutenzione derivante dagli alti costi di gestione e dal fatto che la Francia
si sta faticosamente riprendendo dalla Grande Guerra.
L’articolo dice : forse bisognerà demolire quello che oggi è il simbolo per eccellenza della capitale francese.
Maupassant ha reso invisibile la Tour Eiffel ?
Victor la demolisce : ne fa un rottame e lo mette in vendita.
Arriva a Parigi, si procura buste e carta intestata del Governo Francese e prende alloggio nella più costosa suite del più costoso hotel di Parigi : il “Crillon” in Place de la Concorde.
Da quell’indirizzo e su carta intestata del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, come se davvero lui fosse un plenipotenziario segreto del Governo francese, Victor invita le cinque più grandi imprese di ferramenta e acciaieria della città a una riunione riservatissima nella sua suite.
Quell’ invito ministeriale è troppo allettante : ci vanno tutti i grandissimi capi.
Victor spiega che proprio loro sono stati scelti in considerazione della loro ottima reputazione di imprenditori onesti e specializzati nella gestione dei rottami metallici.
Non può fare il meeting al Ministero perché tutto deve restare segreto persino al Ministro stesso.
“Abbiamo un problema, dice lui : sia per i vertiginosi costi di manutenzione,
sia per ragioni politiche che non posso qui rivelare, dobbiamo demolire la Tour Eiffel :
a giorni verrà rasa al suolo”.
Ma nessuno deve saperlo per evitare manifestazioni di piazza, sollevazioni sociali e crisi politiche.
Tutto il progetto e il contratto devono rimane assolutamente segreti fino al giorno in cui si comincerà la demolizione svitando il primo bullone. Perciò il mio Governo mi incarica di vendere già oggi i rottami della Torre al miglior offerente. A uno di voi”.
Siccome in ogni asta che si rispetti prima di fare un’offerta bisogna esaminare la merce, Lustig carica su una limousine presidenziale i suoi invitati e li porta ad una minuziosa visita sulla Tour Eiffel.
Come se fosse lui il padrone di casa, riesce grazie a documenti falsi ad evitare la coda dei turisti. Ottiene una scorta speciale che li accompagna dovunque, anche nelle parti non visitabili. Pretende e ottiene la massima discrezione per sé e i suoi ospiti durante la visita.
Poi chiede di fare un’offerta segreta per l’acquisto dei rottami della Torre, 7000 tonnellate di ghisa e di acciaio, ad ognuno di loro.
Lui però ha già deciso che accetterà soltanto l’offerta di quello che ha scelto come il suo pollo, ops : come il suo pesce : il miliardario Henri Poisson (nomen omen).
Tra tutti Victor sceglie Poisson perché è l’imprenditore più giovane, il meno esperto, quello per cui fare il ’colpo grosso’ della Tour Eiffel rappresenterebbe l’ambito salto sociale.
C’è un problema però : la moglie di Poisson non si fida.
Chiede a Lustig come mai il suo nome non appaia negli elenchi
del Ministero, dove nessuno sembra aver mai sentito nemmeno parlare di lui … come mai un affare di risonanza mondiale debba restare così segreto … come mai si debba prendere una decisione di tale importanza in così poche ore …
E qui Victor ha un colpo di genio : confessa il suo imbroglio.
Anni dopo, il Perozzi (il primo “Amici miei”, l’unico) darà una definizione del genio
che si adatta perfettamente a Victor : “Che cos’è il genio ? E’ fantasia, intuizione,
decisione e velocità di esecuzione”.
La riunione con gli imprenditori è appena finita, gli invitati si stanno allontanando,
ma Victor invita Poisson e signora a fermarsi un attimo.
Rimasti soli loro tre, Victor confessa, confessa apertamente la sua colpa :
“Amici carissimi, io sono un semplice funzionario. Importante, decisivo per questo affare,
ma non ricco. Non guadagno abbastanza per lo stile di vita che conduco. E ……”.
Non c’è bisogno di aggiungere altro : questa confessione convince definitivamente
Poisson e signora che hanno veramente a che fare con un vero funzionario.
Ci credono perché lui, come tutti i veri politici, chiede una tangente.
Così Lustig riceve dai Poisson non soltanto la caparra favolosa per assicurarsi
l’acquisto dei rottami della Tour Eiffel : riceve anche una sostanziosa bustarella !
Poisson e signora, scomparso Lustig e scomparsi i loro capitali (si parla di oltre 250.000 franchi dell’epoca) sono così umiliati che nemmeno denunciano il bidone alla Polizia. Meglio che nessuno e soprattutto meglio che i loro concorrenti ne sappiano mai nulla.
Da parte sua Lustig, il cosiddetto nobile austriaco, conduce una vita da nababbo a Vienna, sempre con l’occhio sulla stampa francese, in attesa di veder scoppiare lo scandalo della truffa sulle prime pagine dei giornali, ma dopo diversi giorni si rende conto che qualcosa non quadra. Nella stampa neppure una parola sull’imbroglio appena perpetrato. E siccome un grande artista non ha paura di nulla, poche settimane dopo Lustig è di nuovo a Parigi.
Invita altri imprenditori ad una riunione segretissima e vende un’altra volta la Tour Eiffel.
Questa volta però i soldi non arrivano : invece alla Polizia arriva una denuncia corredata
da tutti i contratti firmati su carta intestata del Ministero. Arrivano anche i poliziotti,
ma arrivano tardi : Victor è già al sicuro all’estero mentre la Tour Eiffel – intatta e mai demolita –
è ancora lì.
Per aver venduto la Tour Eiffel non l’hanno messo in prigione, anche se più tardi e per altri ‘bidoni” Victor ad Alcatraz ci è (purtroppo) finito per davvero.
Ecco qui sotto la foto segnaletica di Victor presa dal fotografo di Alcatraz, dove lui comunque,
per non sbagliare, si è fatto registrare con un falso nome : Robert V. Miller.
Il nome di Victor Lustig (qualunque sia il vero nome) merita, a mio parere, di stare dignitosamente accanto a quelli dell’innamoratissimo ingegner Eiffel e dell’incazzatissimo scrittore Maupassant.
Tocco finale del genio : nel suo certificato di morte ad Alcatraz
non solo lui è registrato con il falso nome, ma alla voce “Professione” l’impiegato non sa cosa scrivere e senza sapere nulla delle sue imprese a Parigi, gli dedica un’onorabilissima professione : “Venditore”. Per scrupolo scrive : “Apprendista venditore” e poi aggiunge “Falsario”. Avercene oggi in qualsiasi professione, purché legale, degli ‘apprendisti’ così geniali.
Scrivere “Venditore di Torre Eiffel” sarebbe forse stato un po’ troppo.
35
Non è vero che Franco ama Venezia.
“Come mai voi milanesi (“Solo Giovanna è milanese, io sono nato a Varese.” preciso inevitabilmente io. Cestisticamente negli anni ’60 essere varesino e non meneghino
faceva un’abissale differenza) …
“Come mai voi milanesi avete deciso di vivere a Venezia ?” è la quotidiana domanda,
spesso anche dopo soltanto una frase di uno di noi due.
Giovanna risponde : “Perchè Franco ama Venezia”.
E Lei, Giovanna ?
“Io ?… “ e qui segue un orizzonte di risposte che parte da : “Le mie radici sono a Milano ….. Milano mi ha dato tanto … a Milano ho avuto un lavoro bellissimo… Pensi, mi pagavano
per occuparmi di moda e avrei pagato io pur di farlo … A Milano se vuoi lavorare, lavori ! … Milano ti dà tutto e a noi due ha dato tantissimo ! …“
Ecco invece la mia risposta alla domanda : “Come mai voi milanesi avete deciso di vivere a Venezia ?”.
Non l’abbiamo deciso noi :
l’ha deciso Venezia.
Per anni siamo andati a visitare i posti nel mondo dove erano vissute le grandi culture del passato : India, Sri Lanka, Giava, Burma, Thailandia, Cambogia, Egitto, Grecia, Turchia, Giappone, Messico, Perù.
E ovviamente si andava in tutta Europa : Portogallo, Spagna, Olanda, Francia, Gran Bretagna, Austria, Russia.
Poi andavamo a conoscere, se possibile a vivere, tutto dell’Italia: Liguria, Veneto, Emilia, Toscana, Alto Lazio, Umbria, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna. Tutto : dalle grandi città d’arte alle sconosciute trattorie suggerite dalle mitiche guide regionali del Veronelli.
E poi si viaggiava per conoscere e amare i grandi artisti : Giotto, Masaccio, Piero, Caravaggio, Serodine, Tanzio. Il pretesto erano : le grandi mostre, le raccolte pubbliche e private più importanti, vivere i paesaggi che quei grandi avevano dipinto e le città dove avevano vissuto.
E poi arrivò Venezia.
C’era già, da sempre, ma un giorno ci parlò. E ci dimostrò – fatti non parole – che tutto quello che noi cercavamo nel mondo, c’era già a Venezia. E a Venezia non lo vedevi : lo vivevi !
A Venezia la tua vita diventa arte e bellezza.
E allora la mia risposta alla domanda “Come mai voi milanesi avete deciso di vivere a Venezia”diventò :
“Perché io amo Venezia”.
Oggi molti vanno a Venezia per spuntarla dalla lista dei “viaggi da fare, posti da vedere”.
Molti per farsi dai selfies da condividere in tempo reale (in tavola le moeche si raffreddano,
i bigoli incementiscono, ma tant’è).
Quindi fino a pochi minuti fa la mia risposta alla domanda : “Come mai voi milanesi avete deciso di vivere a Venezia ?” era : “Perché io amo Venezia”. Ma non è così.
Solo pochi minuti fa ho scoperto che la verità è un’altra. Devo questa scoperta a Mauro Bonazzi che su ‘SETTE’ cita ‘Gentiluomo in mare’ di Herbert C. Lewis, Adelphi, che scrive :
“E’ bellissimo, è stupefacente, eppure sono così solo.
Che cos’è la bellezza senza qualcuno con cui condividerla ?”.
Che cos’è la bellezza senza qualcuno con cui condividerla ?”.
Da oggi non dirò più : “Vivo a Venezia perché amo Venezia”
Dirò la verità :
“Vivo a Venezia perché amo Giovanna”.
Che senso avrebbe per me tutta la magia di Venezia
se non potessi condividerla con la donna che amo ?
Se non fosse stato per condividerlo con Giovanna che senso avrebbe avuto per circa 40 anni andare aVenezia quasi ogni week-end ?
Furtiva uscita dai rispettivi uffici (io lasciavo la giacca sulla spalliera della poltrona per far ‘vedere’ che ero ancora in ufficio), incontrare Giovanna già sul treno per prendere in Centrale il treno delle 5, inevitabile cena da Ernesto con ciacoe fino a notte fonda, due interi giorni di vagabondaggi senza meta e infine il primissimo treno per Milano all’alba del lunedì per essere nei rispettivi uffici “quasi” in orario ?
Se non fosse stato per condividerlo con Giovanna perché andare al capolinea della Linea “1” del vaporetto, scegliersi i due posti a prora per provare anche 100 volte l’emozione di percorrere in tutte e due le direzioni e in tutte le ore del giorno e della notte e in tutte le stagioni dell’anno, il Canal Grande ?
Se non fosse stato per condividerlo con Giovanna che senso avrebbe avuto anno dopo anno riuscire a sentirci di casa e saperci da Lei riconosciuti davanti alla Nicopeia in San Marco ?
Se non fosse stato per condividerlo con Giovanna che senso avrebbe avuto essere così spesso presenti da farci riconoscere dai custodi della Scuola di San Rocco, rimanendo ogni volta stravolti dal genio scatenato del Tintoretto ?
Ci voleva poi la serena gioia del Veronese a San Sebastiano per ritrovare un equilibrio emotivo e gustare a cena il pesce della “Furatola” quando in cucina c’era ancora Bruno.
Se non fosse stato per condividerlo con Giovanna che senso avrebbero avuto le gallerie, i musei, i palazzi .. la scoperta vissuta ogni istante di ogni giorrno che a Venezia tu non vedi l’arte : tu vivi nell’arte ed è la tua vita che diventa arte.
Da quando vedi arrossarsi l’orizzonte all’alba a quando la ‘Marangona’ suona la mezzanotte
tu stai vedendo, tu stai facendo, tu stai essendo arte.
“Vivo a Venezia perché amo Giovanna”.
Mi sembra tuttavia poco probabile che, nonostante questa mia appassionata dichiarazione d’amore, in futuro Giovanna alla domanda “Come mai tu Giovanna, milanese, hai deciso di vivere a Venezia ?” possa rispondere :
“Vivo a Venezia perché Franco mi ama”.
Eppure è così.
Post Scriptum
A commento di queste mie righe, Giovanni Covini mi scrive parole troppo intense e profonde perchè io abbia l’eleganza e il pudore di non pubblicarle. Chiedo scusa :
Beh, casomai tu fossi ancora al mac…
ho solo letto la dichiarazione d’amore a Giovanna, che diventa nelle tue mani il solito gioiello.
E sai cosa?
Sono d’accordo con Giovanna nel non farmi commuovere.
per non abbagliare con il suo volto chi lo guarda.
è Giovanna, di cui fai parte e che in certa misura diventi.
Attrarre è la prima mossa di un piano divino della vita, che parte dal fiore con l’ape
e finisce a Giovanna con Franco.
E in mezzo ci stanno tutti gli equivoci, le incomprensioni, i passi necessari.
Un abbraccio intanto. A te, che è come dire anche a Giovanna che non ho mai conosciuto.
36
Mi sono chiesto e mi sono risposto.
Mi sono chiesto :
Se tu sapessi per certo che quello che tu scrivi nessuno lo leggerà mai, lo scriveresti lo stesso ?
Mi sono risposto :
Certo che lo scriverei ! Scrivo perché quando leggo quello che ho scritto faccio delle scoperte :
scopro di avere pensieri e di sentire emozioni che – se non li avessi scritti -
non avrei mai saputo di pensare e di sentire.
Non stare nemmeno un giorno senza scrivere almeno una riga.
In realtà Plinio il Vecchio attribuisce questa regola di vita al pittore greco Apelle,
che quindi non scriveva, ma disegnava. Apelle
(che nello scioglilingua era “Apelle, figlio di Apollo fece una palla di pelle di pollo ecc.ecc.”)
non lasciava passare nemmeno un giorno senza esercitarsi disegnando o dipingendo.
Questa regola vale per tutti noi : per chi scrive, per chi disegna, per chi fa musica,
per chi cucina, per chi danza, per chi crea moda o design. Vale soprattutto per chi ama :
Non lasciar passare mai nemmeno un giorno
senza dire e dimostrare a chi ami che la/lo stai amando.
Un famoso giornalista americano per anni pubblicò ogni giorno il suo editoriale su un grande quotidiano. Quando andò in pensione salutò i suoi lettori con sincera preoccupazione :
“Con oggi non scriverò più. Come farò d’ora in poi a sapere che cosa penso ?”.
Io scrivo dopo aver letto un libro, visto un film, sentito un concerto.
Scrivo dopo aver visitato una mostra, un monumento, un museo.
Scrivo durante e dopo un viaggio.
Scrivo perché scrivere mi aiuta a dire a me stesso – anche se nessuno mi leggerà mai –
quello che ho visto, quello che penso, quello che sento.
Se uscendo da un film dico “Bello !” non ho detto niente e non mi sono detto niente.
Se invece scrivo di quel film, di quella storia, di quella regia, dell’interpretazione di quegli attori, ….. cerco di dire, e scopro, che cosa mi è piaciuto, cosa no, cosa ho capito e cosa non ho capito,
cosa mi ha emozionato. E’ come se vedessi un’altra volta quel film.
E’ come se ascoltassi un’altra persona che mi racconta quello che penso io e non lo sapevo.
Da un po’ di tempo scrivo anche per fregare l’Alzheimer.
Quando arriverà, la carogna mi ruberà tutti i ricordi. Ma se io li scrivo oggi i mei ricordi,
allora forse qualcuno me li leggerà, e forse qualche mio ricordo riuscirò a ricordarlo
e a riviverlo e ad emozionarmi ancora una volta.
Scrivo e scrivo sempre a mano perché tra i pensieri e la mano c’è un collegamento fluido e immediato.
A volte la mano non ce la fa a stare dietro alla velocità e alla quantità delle idee che vogliono apparire …. però scrivendo a mano le idee non spariscono : le recuperi, un po’ in ritardo, ma non le perdi.
Invece parlando quante volte stai dicendo una cosa, ti interrompi e dopo non ricordi più quello che stavi dicendo.
Un testo nuovo lo scrivo sempre a mano e solo dopo averlo riletto e riscritto,
quel testo lo batto al computer. Se partissi dal computer
scriverei un testo diverso da quello che ho scritto a mano.
Lo so ed è dimostrato scientificamente : scrivere a mano oppure battere su una tastiera
produce nello stesso autore, sullo stesso argomento, due testi diversi.
Non è che un testo sia meglio dell’altro : sono semplicemente diversi.
Io mi fido più della mano per creare; poi del computer per giudicare sul monitor
quel testo come se non l’avessi scritto io.
Questo vale per quelli della mia generazione : per noi che alle Elementari
siamo partiti dal tracciare delle linee … e poi dallo scrivere una lettera alla volta,
sui quaderni con “le righe di prima” :
… per noi il collegamento tra la testa e la mano, tra il pensiero e la scrittura è fisiologico, naturale.
Invece alla macchina da scrivere e poi al computer noi ci siamo arrivati dopo, più tardi.
Ancora oggi per noi il collegamento tra pensieri e la tastiera è qualcosa a cui abbiamo dovuto adattarci cambiando le nostre abitudini : non è naturale, è tecnologico.
Figuriamoci poi per me il collegamento tra i pensieri e la tastiera del cellulare.
Non ci provo nemmeno e quando proprio mi tocca devo stare molto attento
a non digitare sul cellulare anche tutti i ”Vaffa!” che mi turbinano per la testa.
Scrivo a mano ogni giorno anche per tenere allenata la mano : ho visto troppe persone anziane imbarazzate in Posta o in Banca anche se soltanto devono scrivere la loro firma su un documento.
Non voglio arrivare a fare del mio nome e cognome, della mia onorata firma, uno scarabocchio,
con la tacita benevolenza di un impiegato che mi vede come un relitto e si chiede
se anche lui mi sta pagando l’immeritata pensione.
No, caro travet : non sono ancora un relitto e per ri-avere sotto forma di pensione
tutti i soldi che ho già versato nei miei anni di lavoro dovrei campare – calcoli alla mano – 113 anni.
Nessun giorno senza scrivere almeno una riga, ok. C’è però una situazione
in cui si può anche stare senza scrivere : WA, Tik Tok, Facebook, Twitter, Instagram, Pinterest …
Quando stai per scrivere sui ‘social’, prima di scrivere, sarebbe bene pensare.
E se decidi di non scrivere, persino lo scienziato Plinio il Vecchio e il pittore Apelle,
da dove si trovano, ti approvano e ti sorridono.
Il 18 febbraio del 1910, D’Annunzio riceve questo telegramma da Giovanni Del Guzzo, da Fontecchio :
“Ammirazione sincera sua vasta dottrina vanto nostra terra natia mi fa porre sua disposizione fabbisogno per scorrere America Latina onde affermare in quelle lontane contrade opulenti valore forte razza abruzzese progresso cultura nostra Italia”.
D’Annunzio non sa chi sia questo signore, ma il fatto che nel telegramma l’ignoto ammiratore
si dichiari “pronto mettere a sua disposizione il fabbisogno” non può lasciarlo indifferente.
D’Annunzio è pieno di debiti e perciò risponde immediatamente.
Giovanni Del Guzzo è abruzzese come lui, è emigrato prima in Brasile e poi in Argentina
e ha fatto un sacco di soldi.
I due si incontrano l’8 marzo 1910 all’Hotel Brun di Bologna.
Del Guzzo propone al Vate di fare un viaggio in Argentina, per tenere un ciclo di conferenze,
in occasione dell’Esposizione universale di Buenos Aires e della celebrazione della Liberazione.
In cambio Del Guzzo salderà tutti i debiti di D’Annunzio.
Per D’Annunzio è l’apparizione del Messia e lo scrive :
“Da questo momento in avanti, ora che le nostre anime sono vincolate dal sacro nodo dell’amicizia,
deve scomparire tra noi qualsiasi etichetta e bugiarderia sociale,
e dobbiamo abruzzesemente darci del tu”.
Del Guzzo mette a disposizione di D’Annunzio la somma di 480 mila lire, l’ammontare dei suoi debiti.
In cambio riceve un messaggio per il Presidente della Repubblica Argentina e anche un libro.
Il libro è “Forse che si forse che no” (forse quel titolo avrebbe dovuto fargli nascere qualche dubbio, no?).
D’Annunzio gli consegna anche diciassette suoi manoscritti e un’auto favolosa, la “Florentia”,
che ha tenuto sempre nascosta per sfuggire al sequestro dei creditori:
un bolide della potenza di 35 HP, che raggiunge i 70 km orari.
Ecco la “Florentia” in uno stupendo manifesto
con la coraggiosa scelta di mettere
la signora in veletta al volante. Guida lei, con una mano sola,
circondata da un larghissimo boa di struzzo,
mentre saluta con un candido fazzoletto l’uomo che ama,
a bordo di un motoscafo sempre di marca Florentia.
E l’autista ? E’ seduto in divisa a fianco della signora in veletta,
apparentemente tranquillo, ma secondo me preoccupatissimo.
“Caro Giovanni – dice D’Annunzio a Del Guzzo abbracciandolo sulla scaletta del piroscafo -
salpa pure fiducioso per Buenos Aires. Io ti seguirò a breve.
Per il momento devo recarmi a Parigi per curarmi i denti.
Sarà un soggiorno brevissimo: 5 giorni.”
“5 giorni ?!?”
D’Annunzio a Parigi ci rimase 5 anni.
E il povero Del Guzzo ?
Il “tenace colono” ci rimise la faccia e i soldi, tempestò di lettere e telegrammi d’Annunzio
(che si guardò bene dal rispondere), scrisse un libro contro D’Annunzio
e gli fece causa.
Alla fine si consolò vendendo gli autografi dannunziani : ne aveva 17 e tutti ‘buoni’,
di mano di D’Annunzio. Così tornò in pari con i soldi
incautamente “messi a disposizione” del Vate e passò persino alla Storia.
E D’Annunzio ?
E’ a Parigi, con la scusa del dentista, in realtà pieno di soldi e di donne :
Natalia De Goloubeff, una contessa russa, Ida Rubinstein, Romaine Brooks,
persino donna Maria Hardouin, dei duchi di Gallese, sua prima e unica moglie.
Compone capolavori e crea (e mette in pratica) un nuovo motto :
Il suo motto è una variante al “Nulla dies sine linea”di Plinio il vecchio;
indubbiamente più soddisfacente anche se fisicamente impegnativo.
“Nulla dies sine ictu” significa infatti : “Nemmeno un giorno senza un assalto”.
‘Assalto’ a cosa te lo lascio immaginare senza problemi con la Buon Costume :
tanto nessuno legge quello che scrivo.
Post Scriptum.
D’Annunzio il suo motto lo crea in latino. Noblesse oblige.
Però in fondo lo stesso concetto l’avevo scritto anch’io all’inizio di questo brano :
“Non lasciar passare mai nemmeno un giorno senza dire e dimostrare a chi ami che la/lo stai amando”.
A ogni Lettore. A terzi e a tutti.
Ho fatto largo uso di citazioni, fotografie e immagini trovate in Rete
e ho sempre doverosamente citato la fonte.
Se però qualcuno trova che ho involontariamente omesso una doverosa citazione
ed ho perciò leso i suoi diritti, me lo comunichi a questa mail :
franco.bellino@francobellino.it
Provvederò immediatamente ad aggiungere la citazione
o a rimuovere la foto o il testo citati,
senza però dover corrispondere alcun diritto.
Consiglio 7.
Ho scritto più o meno le stesse cose qui :
http://www.francobellino.com/?p=3936
Le riporto qui a futura memoria per quando metterò in bella copia queste righe.
Ammissione di inadeguatezza.
L’autore di questi consigli ha sempre viaggiato astenendosi rigorosamente dal portare con sé qualsiasi strumento per la registrazione di immagini : ovviamente non telefoni cellulari (di cui in quegli anni nemmeno la fantascienza sospettava la futura esistenza e folle diffusione), né macchina fotografica, né cinepresa o telecamera, che pure gli sarebbero state ampiamente e gratuitamente disponibili avendo egli lavorato per circa 30 anni nella più importante Casa di Produzioni cinematografiche e televisive d’Italia nel ramo pubblicitario.
Egli per guadagnarsi da vivere inventava storie per immagini, ma si asteneva dal registrare immagini di sé e dei suoi viaggi.
I selfie non erano ancora stati inventati o si chiamavano “auto-ritratti” ed erano quindi opera di artisti, pittori e fotografi di professione, non di avventurosi esploratori del week-end, andata-e-ritorno in giornata per non pagare l’albergo e colazione-al-sacco per non farsi spellare vivi dai banditi del posto.
Per l’autore di questa pièce non fotografare era una scelta di rispetto e di amore. Era la dimostrazione etica e pratica di assoluto rispetto sia per i luoghi sia soprattutto per le persone che via via in tutto il mondo incontrava. Rispetto per persone che – e ce n’erano ancora ! – ancora pensavano che chi si appropriava della loro immagine, poteva poi anche appropriarsi della loro anima e condizionare la loro vita. Rispetto per culture e personalità che si poteva tentare di conoscere, con cui si poteva forse dialogare, ma che non si potevano derubare.
Quelle persone andavano rispettate, con loro si poteva dialogare, ci si poteva vedere e rivedere, a volte scambiarsi piccoli doni, accettarne l’ospitalità, in certi casi diventare parte della loro famiglia (i Kelker e gli Allred nello Utah; i Gajjar a Rajkot nel Gujarat e gli Agarwal a Johdpur nel Rajasthan), in due casi diventarne fratelli adottivi come Ashya a Udaipur e Rejon a Banjar Bentuyung di Bali), ma non si poteva appropriarsi delle loro immagini, meno che mai della loro anima.
Un bizzarro effetto collaterale di questa sua scelta fu che per decenni, in ogni parte del mondo, persino in Paesi dove la sua presenza, la sua carnagione, il suo abbigliamento lo indicavano immediatamente come ‘alieno’ e non del posto, sempre capitò che qualcuno – vedendolo privo di macchina fotografica – lo fermò e gli chiese informazioni stradali. La logica era questa : quello lì non ha una macchina fotografica, quindi deve essere del posto, forse sa indicarmi dove devo andare. Qualche volta l’alieno seppe indicare la direzione giusta, perché tornava spesso nei posti che amava e alla fine li conosceva bene, come uno del posto.
Soltanto una volta, in viaggio con la donna che amava, loro due soli in regioni lontane dai flussi del turismo occidentale, egli portò con sé una ingombrante Polaroid prima versione. Lo fece perché quella macchina gli consentiva di regalare a uomini, donne, bambini e anziani le immagini che uscivano ancora tiepide dal gigantesco apparecchio. Immagini che venivano accolte e religiosamente osservate sul palmo della mano. Immagini che apparivano come un dono prezioso da conservare con precauzione e guardare e condividere con religiosa attenzione. Per alcuni di loro quella era la prima e unica volta nella loro vita che vedevano un’immagine permanente di se stessi. Ben diversa e ben più ‘sacra’ che non le immagini di sé viste in specchi d’acqua o in frammenti di specchi o su superfici riflettenti.
Di quel viaggio infatti egli non ha nemmeno una, una sola foto.
Non ha immagini, però ha ricordi. Meravigliosi ricordi. A volte ricordi nitidi e coloratissimi. A volte sfocati. A volte evocati da un suono, da un odore, da un nome, da un profumo. Ricordi che possono nascere dalla lettura di un testo o di una mail che parla dello stesso argomento o viceversa da un testo che parla di tutt’altro, ma che misteriosamente ha il poter di far rinascere immagini e sensazioni vivissime di tutt’altro. A volte anche ricordi che tornano in vita grazie a degli appunti di viaggio.
Il nostro autore sapeva benissimo che i ricordi svaniscono, sapeva che andare verso il capolinea della sua attuale incarnazione comporta una progressiva e forse totale perdita del suo capitale di ricordi. Perciò, quando possibile, la sera prima di addormentarsi annotava i momenti più importanti della giornata appena vissuta. Lo faceva anche Bruce Chatwin, ma lui aveva una Moleskine, qui invece si usavano notes con fogli bianchi e senza l’elastico.
Libero dall’impegno di registrare tutto ciò che gli capitava di interessante o che vedeva di emozionante, quindi niente foto e niente film, l’autore si ritrova però oggi nell’impossibilità di documentare e arricchire con immagini la condivisione dei suoi ricordi.
Buongiorno Franco!
Ho aperto il nuovo €ureka!
Come il solito fantastico!
Diventa più difficile però leggerne uno a caso. Me ne sono appena sparati tre uno dopo l’altro !
Grazie mille per avermi inviato il link.
Niccolò
Niccolò,
attento all’overdose.
Può essere letale
guidando.
F
Altre pillole di saggezza.
Vanno giù senz’acqua, tonificano lo spirito e alleviano l’insonnia.
Commento a § 22 “I grandi sono davvero grandi quando …”
Appassionati e storici del Cinema esigono da me l’esatta frase pronunciata dall’irriverente fanciulla.
Era probabilmente una ragazza del luogo perché in una produzione con 14.000 comparse non le si fa certo arrivare da lontano.
Ma la nostra contadinella egiziana dimostra una così raffinata conoscenza della lingua inglese
da far presumere una sua precedente frequentazione dei salotti di Buckingham Palace o quantomeno delle aule del MIT.
Infatti la battuta tramandata dice testualmente :
“I was just saying to my friend here : ‘I wonder when that bald-headed old fart is gonna call ‘Lunch !’”
(Fonte della citazione : “IMDb”, autorevole e documentatissima miniera internazionale di dati filmografici.)
Nota a 14 Auto-ironia (ironia in auto)
*
Intervista di Roberta Scorranese a Massimo Lopez,
pubblicata a pagina 27 del ‘Correre della Sera’ del 15 Aprile 2022.
*
Anna Marchesini ha avuto successo non perché “l’ha data”, ma perché ha studiato tutta la vita.
Laurea in Psicologia all’Università ‘La Sapienza’, anni di studio prima e di insegnamento poi all’Accademia di Arte Drammatica,
presenza fissa al mitico “Piccolo” di Milano, autrice dei testi, protagonista e regista di Teatro, TV e Cinema, scrittrice.
*
La canzone “Angeli negri” nasce negli anni ’40 da una poesia dello scrittore venezuelano Andrés Eloy Blanco
(guarda caso, si chiama Blanco e scrive Negro) : “Pìntame Angelitos Negros”.
Sono passati 80 anni e non mi ricordo di avere mai visto angioletti neri in volo attorno a martiri, santi e madonne.
Altra nota a 14 “Auto-ironia (ironia in auto) :
*
Sì, è vero : dopo “I migliori anni della nostra vita”
ci andava questo link :
https://www.youtube.com/watch?v=RNeXIRv-1ZY
Ma non volevo esagerare.
Grazie Franco. Ho letto e riletto i tuoi consigli: creativi o di vita, il confine è sottile ma non fa differenza. Sono belli: di quella bellezza che ti ammalia, come un sorriso luminoso, un bacio rubato, una carezza che non ti aspetti. Sono intelligenti, arditi, irriverenti e dissacranti, ma anche di grande buon senso, sensibilità, spessore dell’animo. Sono utili, semplicemente perché inducono alla riflessione, lasciandoti aperto a una molteplicità di risposte. Sono te, la tua vita, la gente che hai incontrato, i luoghi dove hai vissuto. E se, come diceva Victor Hugo, è dall’ironia che comincia la libertà, tu sei un uomo libero. Chapeau.
Che bello, Sara,
pensa che bello se anche soltanto la metà
di quello che tu mi scrivi fosse vero.
E’ straordinario come tu riesca a intuire
quello che io vorrei fare, ma non so fare.
Tu senti e leggi quello che io sento ma non ho scritto.
commento al consiglio pratico n. 20 :
“Non c’è bisogno di guardare lontano per creare un capolavoro. L’idea ce l’hai sotto il naso”.
L’idea ce l’hai sotto il naso, al bancone del bar, sul divano dopo cena e davanti alla TV.
Cappuccino al mattino : caffè nero e latte bianco.
Uiskino dopo cena : Black & White.
Filosofia cinese : Yin e Yang, nero sul bianco e bianco sul nero.
Cinema e TV : la realtà è a colori, ma il bianco-e-nero è più realistico.
Siena e la sua ‘balzana’ : soltantro bianco e nero. Eppure Siena è la città al mondo
dove i più profondi contrasti creano una meravigliosa unità.
commento ai consigli 12 e 27
Sia la leggenda dello sperone che costa milioni,
sia la storia dell’inquadratura che costa miliardi,
vengono dal film :
“Sergio Leone : Cinema, Cinema”
di Manel Mayol e Carles Prats, Spagna 2002
Al sogno di Sergio Leone, il regista Giuseppe Tornatore ha dedicato il libro : “Leningrado”, Sellerio 2018.
Quando morì il 30 aprile 1989 per un infarto, Leone era al lavoro su un progetto che avrebbe dovuto raccontare
l’assedio di Leningrado durante la Seconda guerra mondiale da parte delle truppe di Hitler.
Il Fuhrer consigliato dai suoi generali decise di prendere la città per fame, circondandola e aspettando.
Secondo i suoi consiglieri in un anno, isolati dal mondo,
senza rifornimenti gli abitanti di Leningrado avrebbero dovuto arrendersi. Invece così non fu
e l’assedio durò 900 giorni, con la sconfitta dell’esercito nazista e perdite umane ingenti da tutte e due le parti….
Tornatore si innamora del progetto : è convinto che almeno una bozza del soggetto firmato da Leone esista veramente.
Grande è stato lo stupore quando a casa del figlio di Leone, Tornatore scopre
che tutto quello che Leone aveva scritto del suo film sono tre paginette scarne:
l’abbozzo della scena iniziale che lui usava per raccontare l’idea ai produttori e convincerli a finanziare il progetto…
Leone narra la prima sequenza del suo film in maniera così convincente, dilatando il racconto e arricchendolo di particolari,
da far pensare che avesse lo script dell’intero suo film già pronto sulla sua scrivania.
Io non ho il libro di Tornatore e non ho ancora letto “le tre paginette” che sono tutto quello
che in anni e anni di lavoro sul suo sogno Leone ha lasciato scritto.
Quello che Leone dice nel mio testo qui sopra al consiglio 12 è soltanto
una mia traduzione e re-interpretazione del parlato dello studioso Christopher Frayling
nel film citato qui sopra.
commento a 25 “Furto in un tramonto indiano.”
Cercando immagini per questa storia d’amore trovo in Rete un film girato in un villaggio dell’India
dove davvero una ragazza munge la vacca e insieme a lei un vitellino poppa il latte della mamma :
lo vedi qui : https://www.youtube.com/watch?v=oEFLTgXh9A8
Solo che nel film non c’è il gioco del vitellino che ruba il suo latte
e non ci sono la sorridente complicità della vacca e della ragazza.
C’è la verità, manca la magia.
C’è magia invece in queste parole di Simone Cristicchi che canta
“Abbi cura di te” :
Adesso chiudi dolcemente gli occhi e stammi ad ascoltare
Sono solo quattro accordi ed un pugno di parole
Più che perle di saggezza sono sassi di miniera
Che ho scavato a fondo a mani nude in una vita intera.
Non cercare un senso a tutto, perché tutto ha senso
Anche in un chicco di grano si nasconde l’universo
Perché la natura è un libro di parole misteriose
Dove niente è più grande delle piccole cose.
È il fiore tra l’asfalto, lo spettacolo del firmamento
È l’orchestra delle foglie che vibrano al vento
È la legna che brucia, che scalda e torna cenere
La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere
Perché tutto è un miracolo, tutto quello che vedi
E non esiste un altro giorno che sia uguale a ieri
Tu allora vivilo adesso, come se fosse l’ultimo
E dai valore ad ogni singolo attimo.
Altro commento a 25 “Furto in un tramonto indiano” :
Le mucche non danno il latte.
A father used to say to his children when they were young: When you all reach the age of 12 I will tell you the secret of life.
One day when the oldest turned 12, he anxiously asked his father what was the secret of life.
The father replied that he was going to tell him, but that he should not reveal it to his brothers.
The secret of life is this: The cow does not give milk.
“What are you saying?” Asked the boy incredulously.
As you hear it, son: The cow does not give milk, you have to milk it. You have to get up at 4 in the morning,
go to the field, walk through the corral full of manure, tie the tail, hobble the legs of the cow,
sit on the stool, place the bucket and do the work yourself.
That is the secret of life, the cow does not give milk. You milk her or you don’t get milk.
There is this generation that thinks that cows GIVE milk.
That things are automatic and free: their mentality is that if “I wish, I ask….. I obtain.”
They have been accustomed to get whatever they want the easy way…
But no, life is not a matter of wishing, asking and obtaining.
The things that one receives are the effort of what one does.
Happiness is the result of effort. Lack of effort creates frustration.
So, share with your children from a young age the secret of life,
so they don’t grow up with the mentality that the government, their parents, or their cute little faces
is going to give them everything they need in life.
Remember
commento al Consiglio 28
Esame di Greco antico.
Trenta. E lode. E scomunica. E Oscar.
… e poi dicono che l’Esame di maturità non serve !
All’esame di maturità Sigmund Freud ha dovuto tradurre “Edipo Re”.
E da lì che è nato il complesso.
commento a 33
Il più bel verso della Divina Commedia è un canto d’amore. Modernissimo.
La creatività di Dante è scatenata.
Paradiso :
7.6 s’addua
9.73 s’inluia
9.81 m’intuassi … tu m’inmii
10.148 s’insempra
21.84 m’inventro
22.127 t’inlei
Inventa dei verbi e gioca con pronomi e avverbi :
lei : inleiarsi
lui : inluiarsi
tu : intuarsi
me : inmiarsi
Gioca con gli avverbi :
sempre : insemprarsi
dentro : inventrarsi
Gioca con i numeri :
col 2 = adduarsi
col 3 = intrearsi
col 5 = incinquarsi
Dante gioca. Gioca anche tu.
commento a 34
“L’ingegnere innamorato, lo scrittore incazzato, il bidonista geniale.”
Leggi sulla figura di Victor Lustig, bidonista così geniale e così audace
che a Chicago tirò – e ne uscì vivo –
un terribile bidone a uno che, lui sì, era davvero terribile : Al Capone, detto ‘Scarface’ :
https://www.smithsonianmag.com/history/man-who-sold-eiffel-tower-twice-180958370/
https://mussaad.medium.com/lessons-in-sales-from-the-man-who-sold-the-eiffel-tower-twice-6af3e8d5afc5
https://www.womedizioni.it/aperiodico/cronaca-mito/victor-lustig-luomo-che-vendette-la-tour-eiffel/
Victor Lustig sapeva di essere un grande e come un altro grande scrisse le sue Tavole della Legge.
Decalogo del perfetto bidonista.
1.
Ascolta sempre tutti con pazienza e vera attenzione.
2.
Mai dare l’impressione che ti stai annoiando.
3.
Aspetta che sia l’altro a dirti le sue opinioni politiche. Dopo tu dici che la pensi esattamente come lui.
4.
Aspetta che sia l’altro a dirti la sua religione. Dopo tu dici che è anche la tua religione.
5.
Sfiora argomenti di sesso, ma prosegui soltanto se l’altro dimostra vero interesse.
6.
Mai parlare della tua salute.Tu stai sempre benissimo.
7.
Mai ficcare il naso nella vita degli altri. Fallo, ovviamente, ma non farlo vedere.
8.
Mai vantarti. Che tu sia importante è ovvio.
9.
Mai in disordine o disordinato.
10.
Mai ubriaco.
Mi rimprovera l’Editor : “Cosa c’entra Franco questa storia con la Creatività ?”.
C’entra perché in questa storia ci sono tre esempi di vera geniale creatività :
La Tour Eiffel vista come una gigantesca “A”.
Vedere quello che c’è sempre stato, ma nessuno ha mai visto prima, è creatività.
Cancellare l’esistenza di quello che non si vuole vedere semplicemente andandoci dentro.
Questa è creatività, persino rispettosa di ciò che non ci capisce e non si ama.
Vendere qualcosa che non si può nemmeno pensare di vendere.
Su questo tipo di creatività mi astengo perché già esistono centinaia di manuali e migliaia di esperti di marketing.
commento a § 36
“Nulla dies sine linea”
Sul match D’Annunzio/Del Guzzo
devo tutto a Daniela Musini e al suo divertentissimo :
“I 100 piaceri di d’Annunzio. Passioni, fulgori e voluttà”,
e
a Maurilio Di Giangregorio, a questi link :
http://www.mpl.it/fontecchio-del-guzzo-il-vate/
https://agenziastampaitalia.it/cultura/cultura-2/27083-la-vicenda-d-annunzio-del-guzzo-nel-libro-di-maurilio-di-giangregorio
Sull’importanza dello scrivere a mano :
https://www.segnalezero.com/scrivere-a-mano/
https://www.anticacartotecnica.it/grafia-e-calligrafia/
https://alleyoop.ilsole24ore.com/2020/11/10/unarte-antica-e-dimenticata-la-scrittura-manuale/
commento a § 38
“Nulla dies sine linea”
Scrivere è riscrivere, non è mai scrivere.
commento a :
“€ureka. Non mi fido di un coccodrillo. Nemmeno quando sarò morto”
http://www.francobellino.com/?p=4800#more-4800
Masneri su “Il Foglio” del 1 settembre 2022
Il “coccodrillo” è un’altra forma giornalistica che sta risentendo molto del cambiamento tecnologico :
il ‘pezzo freddo’ che un tempo era tenuto pudicamente nel cassetto dei giornali per personaggi molto vecchi o moribondi,
oggi viene sparato online senza troppe cautele.
Così puoi cercare e trovare :
“Mario Rossi, padre della letteratura e autore del romanzo “Poveri anni in Cilento” è venuto a mancare … INSERIRE DATA”.
INSERIRE DATA ?!?
Manca solo la data e tu sei ancora vivo !
Pitagora chiedeva ai suoi allievi 5 anni di silenzio.
Bepi Carli dà a Saverio il permesso di osservarlo per una settimana, ma in silenzio.
Se oggi un prof chiede 1 minuto di silenzio agli studenti, non è nemmeno sicuro
di rivederli alla prossima lezione.
Buonasera, gentilissimo Dottor Franco Bellino.
Ho letto con attenzione una buona parte dei Suoi scritti che mi ha inviato. Sul finale del Suo “coccodrillo”, ho cominciato a ridere, per poi accorgermi che Lei l’aveva previsto. Che meraviglia, tutto ciò che ha scritto… Mi permetta di dirLe che credo di aver capito qual è una delle Sue qualità più grandi: la generosità. Lei è senz’altro un uomo di una generosità fertile, esplosiva e produttiva, diretta a scopi concreti (per i giovani e non solo, questo è importante).
Poi, stasera, grazie ai Suoi scritti, ho capito qualcosa anche di me stessa. Questo è naturale, quando si verifica un vero “contatto”, cioè un incontro autentico con un’altra persona, che si percepisce familiare ma nello stesso tempo originale; il contatto genera cambiamento, individuazione, scoperta (questo concetto è caratteristico della Gestalt ed è chiarito benissimo da Polster in un suo saggio). Il qualcosa che mi sembra di aver capito di me stessa è che ci si migliora sempre attraverso atti di generosità o almeno rivolti all’altro: ogni qualvolta ci si impegna e si riesce bene è perché si è pensato quel gesto, quell’opera, da offrire a qualcuno (una volta me ne vergognavo perché mi sembrava sciocco non riuscire a fare bene per me stessa, qualcosa che mi riusciva benissimo per gli altri). Un bambino impara a camminare meglio, se sta cercando di aiutare un altro bimbo a farlo. Un cuoco riesce bene, se viene chiamato a preparare le merende per bambini che non hanno una madre, una vera cucina, una vera casa. Un insegnante dà il meglio di sé quando è un po’ stanco e capisce la stanchezza dei suoi allievi e cerca di portare sollievo, sorriso, leggerezza. Aveva ragione Oliver Sacks: “Parlare agli altri è parlare a sé stessi”.
Lei, dunque, ha fatto e tutt’ora fa molto del bene agli altri e a sé stesso, parlando con dolcezza e benevolenza. Le parole che riserva a Sua Moglie sono bellissime e moltiplicano i tesori che ha ricevuto. Continuerò a leggere e rileggerò con attenzione.
Ho in mente delle idee per diffondere i Suoi pensieri, a scuola: spero di riuscirci. Mi ci vorrà quella salute che latita, ma spero sempre di trovare albe e tramonti che facciano superare bene ogni notte buia. Buonanotte e grazie ancora per la stupenda conversazione e per i Suoi preziosi scritti. Le porgo l’augurio di ogni bene, con autentica e profonda gratitudine.
Commento al capitolo 34 : “L’ingegnere innamorato, lo scrittore incazzato, il bidonista geniale”.
Dell’incazzatura di Maupassant che – pur di non vedere la Tour Eiffel – ci andava a pranzo tutti i giorni nel ristorante del primo piano, ho scritto qui sopra..
Roland Barthes ne scrive però :
“Sguardo, oggetto, simbolo. : la Tour Eiffel è tutto ciò che l’uomo decide di metterci e questo ‘tutto’ è infinito.
Spettacolo guardato e guardante, edificio inutile e insostituibile,
mondo familiare e simbolo eroico,
testimone di un secolo e monumento sempre nuovo,
oggetto inimitabile e costantemente riprodotto,
è il simbolo puro aperto
a tutti i tempi, a tutte le immagini e a tutti i sensi :
la metafora irrefrenabile.”