Crazy Horses
Non sono mai stato in Africa.
Non so montare a cavallo.
Non sono, presumo, in preda a possessione.
Però sono il più grande esperto ed appassionato collezionista
di cavalieri africani Kotoko tra tutti quelli
della generazione che Leonardo definisce “… e beh !”
(della generazione “… e beh !” sono coloro i quali, quando si sa che sono morti,
si dice allargando lievemente le braccia : ” Ma quanti anni aveva ? ……. e beh!”.
Questa premessa chiarisce i motivi ed i limiti
di questo mio post di oggi, mercoledì 17 novembre 2010.
Mi appassionano questi monumenti equestri in miniatura
per svariati motivi :
la monumentalità microscopica. Minuscoli, pochi millimetri. Però se tu li presenti bene, loro si conquistano lo spazio tutto attorno con rapidità e decisione.
Sei davanti a loro come davanti ad un monumento equestre nel centro di una piazza. Il principio è quello del suiseki giapponese :
una minuscola pietra evocatrice, un sufficiente capacità di concentrazione e immaginazione ed ecco :
la gigantesca montagna è viva e palpitante davanti a te. Lo stesso con un cavaliere Kotoko : tu sei minuscolo, lui è gigantesco. Magia.
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echi visivi , ricordi scolastici, ore serene – Cangrande della Scala, Bonino da Campione, Verona e Venezia.
Echi gotici e romanici, più che classici o rinascimentali. Perché il Colleoni di Verrocchio in campo san Zanipolo e il Gattamelata di Donatello al ‘Santo’,
per non dire di Marco Aurelio in Campidoglio, parlano un altro più colto linguaggio.
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la scoperta di inesistenti ma innegabili affinità elettive :
i cavallini votivi della Grecia del 9°-7° secolo avanti Cristo
e le chefferies a sud del Sahara dalla comparsa dei primi cavalieri islamici ad oggi ?
e i cavalieri Tang ?
e questo misterioso cavaliere iberico datato VI secolo avanti Cristo ?
e questo altro, sempre iberico, datato 5°-4° secolo avanti Cristo ?
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la valenza terapeutica : non una scultura, ma una terapia
da prendere tutti i giorni, giorno e notte, per mesi e forse anni.
Effetto placebo o farmacologia del futuro ?
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l’iconografia capovolta : la cavalcatura non rappresenta un cavallo, ma rappresenta invece un essere umano che è posseduto (cavalcato) da uno spirito,
mentre il cavaliere non rappresenta un essere umano, ma uno spirito e proprio per questo quasi sempre non ha – non deve avere – tratti umani riconoscibili.
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i pensieri irriverenti :
se in questi gruppi equestri, la cavalcatura rappresenta un essere umano, uomo o donna, posseduto da uno spirito mentre invece il cavaliere rappresenta lo spirito che ‘cavalca, possiede, controlla e domina’ l’essere umano, allora quando il cavallo è vistosamente dotato di attributi significa forse che in questo caso rappresenta un uomo posseduto, ma non certo una donna ?
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Credevo che il mio amore fosse unico e segreto finché non ho scoperto poche ore fa un amore altrettanto appassionato.
Non posso che inchinarmi ad una passione che si esprime con tanta intensità, con un infinito dispiego di mezzi
e soprattutto capace di creare un risultato così entusiasmante e coinvolgente.
Inutile sprecare aggettivi : invito chi mi legge a scoprire, visitare, studiare ed amare il frutto di un amore grande sicuramente quanto il mio :
http://www.africarte.it/collezioni/PierLuigiPeroni1/collezione_peroni_kotoko.htm
Post Scriptum
Titolo di questo post : Crazy Horses.
Titolo del libro che da anni sogno di scrivere : Crazy Horses.
Perché ?
Perché un titolo quando è bello è bello.
Non c’è bisogno di spiegarlo : è internazionale, evoca e coinvolge, è centrato
e ha l’indispensabile pizzico di auto-ironia. Non si può fare meglio.
Perché queste minuscole monumentali sculture rappresentato proprio un cavallo pazzo montato da uno spirito che lo possiede,
Perché tutti noi adolescenti a Parigi col pretesto di perfezionare la lingua, abbiamo sognato le ‘Folies’,
ma siamo poi finiti, barando sull’età all’ingresso, al ‘Crazy Horse’.
Perché oggi mi ritrovo innamorato di oggetti che rappresentano proprio un cavallo pazzo.
A proposito : tutti noi appassionati di western conosciamo il famoso capo “Cavallo Pazzo”.
Però in lingua Lakota, ’Crazy Horse’é ’Tasunke Witko’.
Ormai é abitudine, anche negli Stati Uniti, chiamare il condottiero Oglala ’Tasunka Witko’.
Ma è sbagliato : la versione corretta é ’Tasunke Witko’, dove il ”Ta-”iniziale di Tasunke rappresenta il pronome possessivo “suo”.
La giusta traduzione quindi non è “Cavallo Pazzo”, ma invece : “Il suo cavallo è pazzo”.
E così siamo tornati ai cavalieri Kotoko : in queste figurine equestri
il cavaliere rappresenta lo spirito che possiede un essere umano ritenuto pazzo : “il suo cavallo è pazzo”.
Naturalmente, poiché il gioco delle analogie e delle coincidenze è senza fine,
anche il grande capo ’Tasunke Witko’ andava in trance : quindi anche lui,
come gli uomini e le donne per i quali si creano i “Putchis Guinadji” (les chevaux de la folie)
era in qualche modo soggetto a possessioni.
Probabilmente anch’io sono soggetto a possessioni, e quindi ragionevolmente pazzo,
se da anni ormai non esco di casa senza prima scegliere accuratamente uno dei miei cavalieri Kotoko,
mettermelo in tasca a poi accarezzarlo e coccolarlo per ore, sentendomi rassicurato e protetto
nel mondo ostile e pericoloso là fuori (abito in zona Loreto, il che per chi conosce la Milano di oggi significa pur qualcosa).
Se l’amico Pierluigi Peroni, creatore del bellissimo sito consigliato più sopra e mai abbastanza elogiato,
vorrà cooptarmi nel suo progetto di un libro sui cavalieri Kotoko parteciperò volentieri alla sua impresa.
Ma su un punto sarò irremovibile : il titolo è e deve essere “Crazy Horses”.
Merci beaucoup,
Je suis très touché par votre témoignage.
A bientôt j’espère,
Gérard
Caro Franco,
ti allego la poetica interpretazione di Giulio Calegari sui cavalieri in piedi sui loro destrieri :
“Credo sia difficile raggiungermi. Cavalco in piedi, posseduto dal mio spirito guida e mi allontano…”
Ciao, Gigi
Ricevo pochi minuti fa un messaggio da un amico che ancora non conosco,
ma che ringrazio di tutto cuore.
Pierre Boonefaes mi segnala un testo sui Putchu Guinadji e mi fiondo a leggerlo in Rete.
Questo è il titolo :
The Secret Of The Putchu Guinadji
Soul of Africa Museum
by Henning Christoph
editor Karen Barrett-Wilt
Questo è il link :
http://www.kunstpedia.com/articles/the-secret-of-the-putchu-guinadji.html
.. e questo è il mio entusiastico commento :
Grazie, Christoph. Grazie per il tuo appassionato testo, per le fotografie e per il film che spero un giorno di vedere. Grazie soprattutto per il tuo prezioso avvertimento quando scrivi : “Il vecchio “marabù” Bakura del villaggio non lontano da Marua ci ha mostrato alcuni Putchu Guinadji e subito ci ha avvisato molto seriamente di non toccarli perché la follia di chi li aveva prima posseduti avrebbe potuto contagiarci e riversarsi su di noi. Ci disse che prima che noi potessimo anche solo sfiorarli, lui avrebbe dovuto strofinarli uno per uno con una pianta di Gwouabi per renderli innocui”.
Ora immagina, caro Christoph, che da anni e anni io non esco di casa se non ho in tasca uno dei miei Putchu Guinadji. Ne porto sempre uno con me e poi per ore e ore lo accarezzo e lo coccolo. Ora siccome non ho di certo mai e poi mai strofinato i miei Putchu Guinadji con la pianta di Gwouabi, non è difficile immaginare a che livello di pazzia io sia ormai giunto. Incurabile e felice di essere così follemente innamorato dei nostri “crazy horses”. Franco
Suggerisco calorosamente a chiunque sia interessato ai Putchu Guinadji di leggere l’importante contributo dal titolo :
Il segreto dei Putchu Guinadji
che si trova a questo link :
http://kunstpedia.com/articles/the-secret-of-the-putchu-guinadji.html
Henning Christoph, collezionista e studioso, offre molte preziose informazioni che arricchiscono ulteriormente
l’imperdibile lavoro di ricerca sul campo, di studio approfondito e di esposizioni e pubblicazioni compiuto negli anni da Pierluigi Peroni.
A me personalmente Henning Christoph ha regalato il consiglio, così essenziale e così prezioso
a cui ho dedicato il commento qui sopra e che ovviamente mi guarderò bene dal seguire.
L’avrei fatto, forse (ma non credo) anni e anni fa. Ormai è troppo tardi.
a proposito
dei miei acquisti di
ARTE AFRICANA
è artigianato contemporaneo
e talvolta
è arte contemporanea
in tutti e due i casi
non è antiquariato =
non è l’autenticità
e meno che mai l’antichità
che mi interessano… ma solo la qualità
mi interessano :
la bellezza
la raffinatezza
il piacere di guardare.. annusare.. toccare…
studiare e scrivere
vedere e rivedere per mesi e forse anni.
dice la proprietaria di un negozio di Bamako nel Mali :
“… opera d’arte è una cosa che non ti stanchi mai di guardare.”
i Bambara dicono delle loro sculture :
“sculture sono cose meravigliose
cose che si possono guardare per molto tempo”
(cfr. “Africa” p. 500)
se c’è la qualità –
che sia per esempio una bambola
veramente creata per servire in riti di fertilità
e veramente usata da donne Ashanti o Mossi
o invece
che sia semplicemente un oggetto creato con orgoglio artigianale
per ricavarne il massimo guadagno e l’apprezzamento di chi lo vede –
per me non fa differenza.
Non fa differenza
dal momento che non possiedo criteri attendibili
per discriminare una bambola dall’altra
(non le condizioni del pezzo – non l’uso evidente – non la patina – non il venditore – non la provenienza – non la data del primo acquisto a meno che queste ultime, data dell’acquisto e validità della provenienza, non siano documentate da prima del 1900, da prima cioè che iniziasse su larga scala il collezionismo europeo e quindi –
di conseguenza – una produzione indigena per il collezionismo. Ma forse anche questa limitazione è utopistica, si collezionava già molto prima.)
Sono convinto anche che tecniche di invecchiamento o “antichizzazione”
o “usurizzazione” (consumare il manufatto recente nei posti e nei modi in cui)
o di “nobilitazione” (attribuire l’oggetto a provenienze autorevoli)
siano assolutamente alla portata di chiunque, in Africa o nel mondo,
voglia applicarle per scopi commerciali.
Sono peraltro convinto che io non potrò mai, in ogni caso,
vedere un oggetto africano con occhi africani :
“L’occhio dello straniero vede soltanto ciò che già conosce.”
Ho scritto :
“L’arte africana quando è brutta è brutta,
anche se forse è bella proprio per i motivi per cui mi pare brutta.
Quando è bella, forse non è bella, proprio perché mi pare bella –
o comunque, non è bella per i motivi per cui a me pare bella.”
Allora,
se un oggetto mi appassiona,
se ho voglia di guardarlo e guardarlo ancora a lungo,
di toccarlo, di studiarlo, di scoprirne i minimi particolari
e di descriverli e di scrivere le mie emozioni,
e di vederlo e rivederlo in casa mia,
se ho proprio
un desiderio fisico molto più che intellettuale,
infantile molte più che maturo,
di possederlo — io pago quell’oggetto
non per quello che è
(non per quello che è storicamente /etnograficamente /commercialmente ,
anche perché non saprò mai con certezza che cosa veramente è)
ma lo pago per quanto mi piace
e per quanto mi fa – intellettualmente ed emotivamente e fisicamente –
godere.
E poi quando lo possiedo, me lo godo
per quanto continua a piacermi
ogni volta che lo guardo, lo tocco, lo accarezzo.
Lo godo come cerco di godermi la mia vita,
se posso, quando posso, quanto più posso.
Punto.
Scrivevo qui sopra : sono della generazione che Leonardo definisce “… e beh !”
(della generazione “… e beh !” sono coloro i quali, quando si sa che sono morti,
si dice allargando lievemente le braccia : ” Ma quanti anni aveva ? ……. e beh !”.
Oggi 4 settembre 2015 Lino Toffolo suggerisce una divertente variazione sul tema :
Ci sono tre età : giovane … adulto … e “Ti vedo bene”.