O sole mio.. cioè : il mio sole.
Un titolo semplice. Un titolo poco intellettualistico, assolutamente non scientifico. Un titolo che parla di amore, di passione, di emozioni semplici e che tutti conosciamo. Un titolo innamorato ma realistico perché ci si può anche innamorare degli oggetti, ci si può appassionare alla loro storia : possiamo tutti insieme ascoltare la favola e la storia vera che hanno da raccontarci questi ‘soli Dogon’.
Chi leggerà queste righe avrà un’opportunità che nessuno prima ha mai avuto : ammirare in un volta sola ben .. Soli. Nessuno prima di oggi ha mai visto tanti Soli e tutti così belli in una volta sola e in un unico spazio. Nemmeno chi decidesse oggi di trascorrere dei mesi in territorio Dogon avrebbe la possibilità di vederne tanti, di forme
così diverse e di epoche così lontane, splendere contemporaneamente davanti ai suoi occhi.
Che cosa sono questi oggetti ? che cosa rappresentano ? chi li ha creati e perché ?
Ascoltiamo innanzitutto le diverse voci di alcuni di quelli che hanno scritto su libri, saggi scientifici, expertises a proposito di questi splendidi e misteriosi gioielli. Anche se …
Non si può prendere il sole in biblioteca ..
e nemmeno con una rete.
Il primo parere è di Fisher H. Nesmith (1)
“Questi soli Dogon …”
“Io veramente li chiamo ‘collane del Dio’ – interloquisce Huguennin (2).
“.. va be’, – riprende Nesmith – questi oggetti rotondi, con i raggi, a forma di sole
celebrano il ruolo di capo, forse di capo spirituale di ogni famiglia ancestrale. Quando un capo muore, l’anello che serve per appendere l’oggetto viene spezzato e si crea un nuovo pendente per il successore.”
“Secondo me, interviene Blandin (3) questi oggetti non hanno significati simbolici : sono semplici ornamenti che, da informazioni raccolte in territorio Dogon, vengono indossati da personaggi importanti e anche da donne anziane.”
“Ma come ? ribatte Nesmith : questa forma è chiaramente un tema di fertilità… c’è il principio femminile.. c’è il principio maschile…si suggerisce l’unione tra i due sessi… il disco rappresenta quindi il sole che fu originariamente mosso da una spirale roteante di rame..
Un vecchio saggio cieco, nero perdipiù, che si pensava fosse morto nel 1947, ma non era evidentemente veramente morto, improvvisamente si rifa vivo. In un libro che incontreremo più avanti (9), il grande vecchio saggio Ogotemmeli spiega all’allievo bianco :
”Il Sole è in un certo senso un vaso, portato all’incandescenza una volta per tutte e circondato da una spirale a otto avvolgimenti di rame rosso.”
E aggiunge poi, senza assolutamente preoccuparsi (erano altri tempi) di essere politically correct con il suo ospite bianco : “La Luna ha la stessa forma del Sole, ma il suo rame è bianco.. non è scaldata che per quarti … la Luna non ha un ruolo importante.. Mentre i neri sono creature di luce, estratti in pieno sole, é al chiaro di luna che sono stati creati i bianchi, di qui il loro aspetto larvale”.
Intervengono i collezionisti Colette e Jean-Pierre Ghysels (4) :
“Benché questi pendenti vengano chiamati “soli Dogon”, essi tuttavia non sembrano simboleggiare il sole.”
“Vi spiego io cosa sono, dice Pascal Delamaire (5). Ecco la leggenda che spiega la storia e il significato dei soli Dogon.
C’era una volta il sole.. anzi, ce n’erano dieci.
Molto molto tempo fa il Cielo era vicino alla Terra. Vicino, ma così vicino che alla sera le mamme staccavano alcune stelle dal cielo per far giocare i bambini prima che si addormentassero. In quel tempo brillavano nel cielo non uno ma dieci soli. Un giorno però un cacciatore, molto abile con il suo arco ma anche molto imprudente, tirò le sue frecce contro questi soli. Ne uccise nove, soltanto il decimo sole riuscì a sfuggire al massacro e si nascose. Da quel momento fu per sempre notte. Buio e freddo. Senza il sole tutte le coltivazioni deperirono. I capi di tutte le famiglie allora si riunirono, pregarono a lungo ed offrirono numerosi sacrifici per supplicare il sole a riapparire.
Il sole era generoso, si impietosì per gli uomini ed accettò di tornare a risplendere nel cielo. Per ringraziarlo, per celebrare questo evento e per ricordare per sempre l’amicizia tra gli uomini ed il sole, un fabbro creò allora questo gioiello che i Dogon indossano sempre come eterno ricordo.”
Questa leggenda è davvero poetica ed è bello pensare che ognuno di questi splendidi oggetti rievochi non solo il potere benefico del Sole, ma anche la sua speciale amicizia con tutta l’umanità. E quindi con ognuno di noi.
Il viaggio del Sole dalle piramidi alle falaises Dogon
Secondo alcuni studiosi poi (6) il “sole Dogon” potrebbe essere un discendente diretto, una prova dei legami sotterranei, ancora misteriosi ma innegabili, tra alcune popolazioni africane ed il culto del dio Sole presso gli antichi Egizi.
Ma ecco una nuova voce (7) con una nuova sorprendente notizia :
“.. tutti sanno che il popolo Dogon aveva una notevole conoscenza dell’astronomia. I Dogon conoscevano il sistema solare, sapevano che il Sole era il centro di questo sistema e sapevano anche che la nostra Terra ruota attorno al Sole. Il Sole era perciò considerato come il re dei pianeti e i pianeti come suoi sudditi. Ecco perché i Dogon creano dei pendenti di ottone a forma di sole, con i raggi che si proiettano dal centro verso l’esterno. Questo pendente viene appoggiato sul petto del defunto prima che venga sepolto, per aiutare la sua anima a raggiungere, con la protezione dell’autorità suprema, il sole, la sua dimora eterna”.
Aldilà di questa nuova ipotesi del “sole Dogon” come prezioso compagno di viaggio nell’itinerario verso l’eternità, straordinaria appare la notizia che i Dogon avessero una così attendibile concezione del sistema solare e della rotazione dei pianeti attorno al sole.
Prende ora la parola un vero Dogon (8).
Parla Amaseru Dolo del villaggio di Ogol-alto e racconta la leggenda che già conosciamo, ma in una versione un po’ diversa :
“Molto tempo fa brillavano nel cielo non uno, ma dieci soli. Era un disastro per l’umanità : non c’era più acqua, i raccolti erano rinsecchiti e bruciati, il caldo era insopportabile. Per risolvere questa drammatica situazione un bravissimo cacciatore uccise con le sue frecce nove di questi dieci soli. Vedendo la strage dei suoi simili, il decimo sole si nascose. Una notte profonda, un diluvio di pioggia e un freddo gelido colpirono allora la terra e distrussero tutti i raccolti. Allora, per farsi perdonare gli uomini offrirono all’unico sole rimasto grandi sacrifici. E il sole sopravissuto, commosso per il sincero pentimento degli uomini, tornò al suo posto nel cielo per risplendere sulla terra. Per tramandare per sempre questo gioioso evento gli uomini crearono un pendente con l‘immagine di questo unico e benefico sole.”
Nella prima versione della leggenda il cacciatore era incauto e temerario; qui invece agisce per il bene dell’umanità, ma il punto d’arrivo è identico : il pendente rappresenta il Sole, è un sole amico dell’uomo e benefico e il gioiello celebra e tramanda nel tempo un avvenimento mitico straordinariamente positivo.
Probabilmente esistono molti altri testi su questo argomento e sicuramente archivi, biblioteche e persino la Rete offrirebbero molte altre interpretazioni. Ma io sono convinto che il vero significato di un oggetto non si trovi né dentro i libri né sui monitor dei computer. Si trova, ciascuno lo trova soltanto dentro di sé. E poiché si conosce solo ciò che si ama, ma si ama solo ciò che si conosce, cedo ora la parola ad Roberto Ballarini, titolare della galleria ‘Africa Curio’ di Milano, autore di importanti pubblicazioni sui metalli e sulla pre-monetazione africana, che ci aiuta a conoscere ancora più a fondo la magia, ma soprattutto la concreta realtà di questi Soli misteriosi.
Ecco come il fabbro Dogon crea il Sole.
“La fusione dei metalli con il metodo della cera persa è diffusa in una vasta area dell’Africa sub sahariana. Già dal X° secolo nella Nigeria meridionale, in particolare nelle città di Ife e Benin, è fiorente un’arte di corte che ha prodotto delle opere in bronzo, di grande valore estetico, conosciute ed apprezzate in tutto il mondo.
Nel Ghana i popoli Akan e Agni già prima del XVII° secolo realizzavano piccoli oggetti in bronzo utilizzati per pesare la polvere d’oro estratta nella regione fin dall’antichità.
I Baulè, insediati nella parte centrale della Costa d’Avorio, realizzavano per i loro sovrani piccole maschere in oro da portare appese al collo.
Tra i reperti estratti negli scavi intorno al villaggio di Sao nel Ciad meridionale, sono stati rinvenuti numerosi oggetti di bronzo, collane e pendagli,
databili dal X° al XIV° secolo.
I Senufo, quando erano ancora insediati nel Mali ad est dei Dogon, prima della loro migrazione verso sud, già nel XI° secolo
realizzavano maschere in bronzo che si ipotizza fossero usate per coprire e proteggere il volto dei sovrani defunti.
Nel Mali, lungo il corso del fiume Bani, un affluente del Niger, nei siti archeologici intorno alla città di Djennè,
la cui civiltà si fa risalire al XII° secolo, oltre alle terrecotte, sono stati estratti anelli, pendenti e collane di bronzo.
I Dogon hanno realizzato da tempi immemorabili piccoli oggetti in bronzo, anelli, collane, pendagli e anche piccole figure equestri.
La tecnica di costruzione realizzata con il metodo della cera persa è molto sofisticata.
Il gioiello viene prima realizzato in calco con del materiale come l’argilla o il gesso.
Appena prima che il calco solidifichi vengono praticate le decorazioni con utensili sottili ed affilati; poi il modello viene immerso in un bagno di cera fusa.
Dopo che la cera si è raffreddata ed ha rivestito tutta la superficie del calco di argilla, esso viene ricoperto e richiuso con dell’altro materiale refrattario.
Infine, attraverso un piccolo foro appositamente predisposto viene fatto colare il metallo fuso allo stato liquido. La cera si scioglie ed al suo posto
prende forma e nasce il manufatto di bronzo. Sarà sufficiente ripulirlo e liberarlo dalle incrostazioni residue per avere tra le mani un gioiello dai riflessi d’oro.
La fusione a cera persa avviene con miscele di minerali nativi di rame, stagno e zinco.
La fusione di rame e zinco produce il bronzo, quella di rame e stagno produce l’ottone.
Le percentuali dei vari elementi possono variare molto e ciò rende i manufatti molto diversi tra loro per durezza, colore e patina. Spesso vi si trova anche il ferro.
Le diverse composizioni dei metalli producono nel manufatto quei colori che variano in
funzione delle ossidazioni e delle patine che ricoprono l’oggetto con il passare del tempo.
Lo strato esterno dei bronzi da scavo di tutto il mondo è così costituito: uno strato profondo di colore verde-blu di alcuni mm. della lega corrosa e le sue composizioni, sotto il quale cresce in continuazione un sottile strato rosso dovuto alla trasudazione del rame puro per effetto elettrolitico della lega. Questo rame puro di color rosso, a contatto di acidi e sali disciolti nel sottosuolo, si trasforma col tempo in un sempre crescente strato di forma cristallina di colore verde-blu, a base di calcio, magnesio ed altri elementi in contatto con il bronzo. Nello strato cristallino si trovano a volte inclusioni di sabbia e terra.
Questa stratificazione rosso vivo e verde-azzurro, costituisce una caratteristica inderogabile per autentici oggetti di scavo coperti con un’ incrostazione.
La datazione certa del bronzo è difficile da stabilire, tuttavia la patina di ossido di rame e le incrostazioni di terra che si trovano su molti soli Dogon indicano che sono stati riportati alla luce dopo un lungo periodo trascorso sotto terra.
La loro probabile anzianità dovrebbe risultare compresa tra il XV° ed il XVIII ° secolo.
Guarda anche tu il Sole ad occhi aperti !
Osservando a prima vista questi gioielli Dogon sembra che siano tutti uguali. Ciò è dovuto solo ad una prima impressione perché se ci si sofferma e li si guarda attentamente uno ad uno, si scopre in realtà che sono tutti diversi l’uno dall’altro. A volte presentano notevoli differenze.
Sono costituiti da un anello centrale di un paio di centimetri di diametro, dal quale si diramano numerosi raggi che variano da un minimo di 18 ad un massimo di 32.
Sul lato anteriore, la parte terminale del raggio è rifinita con una decorazione a rosetta con motivi a spirale.
Nella zona superiore uno o due raggi sono assenti per lasciare il posto alla striscia di pelle che, ricucita alle sue estremità, forma l’asola che permette il passaggio della collana.
Negli esemplari che ancora conservano la striscia di pelle si può vedere, soprattutto nella parte interna, quella usura che testimonia un utilizzo prolungato del pendente.
La parte posteriore dell’oggetto si distingue perché i raggi sono privi della rosetta ma sono uniti uno all’altro mediante un sottile profilo circolare.
Il diametro esterno dei pendenti può variare da un minimo di 4 cm ad un massimo di 12. Il loro spessore di norma è intorno ai 12 mm, ma in certi esemplari arriva fino a 25 mm.
Una ricerca iconografica sulle sculture lignee Dogon e sulle terrecotte di Djennè ha evidenziato una varietà di collane portate al collo, soprattutto nelle figure femminili, ma nessuna delle quali può essere riconducibile ai pendenti qui descritti.
Anche tra le tante fotografie che ritraggono popolazioni Dogon non è stato ritrovato alcun oggetto di questo tipo.
Sandro Leonardi ha effettuato numerosi viaggi presso i Dogon, nell’ultimo dei quali ha percorso per un mese tutta la falesia. Per quanto fosse interessato alla scoperta di uno di questi pendenti, non ne ha trovato traccia.
E’ probabile che i Dogon, uomini o donne, li portassero un tempo e li portino ancora oggi appesi al collo nascosti sotto la tunica di cotone che indossano sempre.
O forse gli antichi Dogon non hanno mai creato questi Soli, che sono invece un’apparizione assolutamente contemporanea.
Il Sole Dogon per noi è appena sorto.
La storia di questi splendidi gioielli Dogon è ancora tutta da scrivere. La loro apparizione sui testi di arte africana è alquanto recente.
La prima segnalazione di un pendente Dogon compare sulla rivista African Arts (Los Angeles – Ucla) del febbraio 1979, n°3.
Ne parla Fisher H. Nesmith Jr. in “Dogon Bronzes” (1) e ne illustra un esemplare a pagina 24, con la seguente didascalia: Pendant, collier de dieu, diametro 5,6 cm.
Due esemplari sono pubblicati su “Ethnos: gioielli da terre lontane”, del 1996 (4).
Appartengono alla collezione di Colette e Jean Pierre Ghysels, compaiono a pagina 99 con la didascalia : Pendenti Dogon, bronzo, diametro 6,4 e 6,8 cm. Uno dei due è di forma ellittica.
Alcuni esemplari sono pubblicati sul catalogo della mostra che ha realizzato nel giugno 2001 la Galleria Hélène e Philippe Leloup di Parigi “Afrique de l’ouest, bronzes et autres alliages”. Facevano parte della collezione di Andrè Blandin (3).
Un altro esemplare è in “Les mondes Dogon” (8) un catalogo pubblicato nel maggio 2002 in occasione di una bella esposizione culturale realizzata in Francia nell’Abbazia di Daulas. Appartiene alla collezione di Alain Bilot ed è interessante perché appeso ad un grande anello d’avorio.
Il primo esemplare offerto ad una vendita pubblica ci risulta sia quello proposto sul catalogo Ketterer di Monaco. Asta n° 168 del 14 dicembre 1991. E’ illustrato a pagina 31, lotto n° 76, e descritto in inglese come “A disc-shaped bronze pendant with leather loop”, diametro 7 cm, stima 200 Marchi.
Un secondo esemplare è stato offerto all’asta per la dispersione della famosa collezione di Hubert Goldet che si è tenuta a Parigi nel giugno del 2001. E’ illustrato a pagina 314, lotto n° 419; “pendentif Dogon, bronze, diamètre 7 cm”; stima 3000/4000 Franchi.
27 Soli, tutti della collezione di Pierluigi Peroni furono esposti a Villa Pacchiani, Santa Croce sull’Arno nel giugno del 2004 e illustrati in un catalogo dal titolo “Maschere e Gioielli dei Dogon”(12). Sono oggi tutti visibili oggi sul sito :
http://www.africarte.it/collezioni/PierLuigiPeroni/Collezione-Pierluigi_Peroni.htm
Altri esemplari compaiono soprattutto sui libri che illustrano i gioielli africani pubblicati in questi ultimi anni, ma il mistero che avvolge questi splendidi pendenti è tuttora rinchiuso negli scrigni della memoria o della fantasia del popolo Dogon.
La magia di un sole Dogon.
Non sono mai stato nell’Africa nera. Non ho mai conosciuto un Dogon.
Eppure.. eppure sono rimasto abbagliato, abbacinato, persino abbronzato dal sole Dogon.
Qualche anno fa ho scritto : mi affaccio alla finestra e vedo un gigantesco sole Dogon
sulla facciata del bel più palazzo di Siena e quindi del mondo (con qualche fondata riserva, forse,
solo per quanto riguarda Venezia e in particolare il maestoso palazzo Contarini degli Scrigni – Corfù).
Solo che qui a Siena il sole Dogon lo chiamano “monogramma di san Bernardino”.
Questo per dire che pur non sapendo nulla di arte africana, pur non avendo mai dormito sotto le stelle sulle falaises Dogon e pur senza aver mai letto fino in fondo “Dio d’Acqua”, siamo tutti esperti di soli Dogon.
Un sole Dogon è la più semplice, la più profonda, la più antica ed emozionante immagine che ci accompagna in questo nostro viaggio terreno.
E’ il viso della madre, il seno che ci allatta, il cerchio dell’orizzonte, il cerchio finito che rappresenta l’infinito. Nascita, morte, rinascita. Forse.
“In uno dei più stupefacenti caos di rocce dell’Africa, vive un popolo di contadini guerrieri….” Con queste parole inizia uno dei più straordinari libri mai scritti non solo sull’Africa ma sull’uomo e sulla dignità dell’essere uomini. Si chiama “Dio d’acqua”, l’ha scritto Marcel Griaule, fu pubblicato nel 1948 in Francia ed edito in Italia da Bompiani.(9)
Il libro è talmente famoso che sarebbe patetico qui sintetizzarlo. Meglio procurarselo e gustarselo subito tutto. “Dio d’acqua” è la storia di un incontro : l’incontro di un Bianco e di un Nero. L’incontro inizia proprio così : il nero non si vede, è nascosto nella sua poverissima casa e soprattutto il nero non ci vede : è cieco.
Ma eccolo che appare : “La voce si avvicinava lentamente. Dall’ombra interna venivano dei fruscii di mani sfregate sui muri e sul legno degli stipiti. Un bastone tastava le pareti; si sentì un suonar vuoto di vasellame; alcuni pulcini minuscoli sbucarono a uno a uno dalla gattaiola, spinti da una grande vita che avanza.
.. una grande vita che avanza.
Finalmente apparve una tunica bruna, tesa sulle cuciture e sfrangiata dall’uso come una bandiera delle guerre di un tempo; poi una testa si chinò sotto l’architrave e l‘uomo si drizzò in tutta la sua statura, volgendo verso lo straniero il suo volto indescrivibile : “Salute a coloro che hanno sete !” disse. Le labbra spesse parlavano la più pura lingua di Sanga. Non si vedeva nient’altro : esse sole vivevano. Il resto era come ripiegato su se stesso, tanto più che, dopo le prime parole, la testa si era chinata verso terra. Le guance, i pomelli, la fronte, le palpebre non erano che un’unica identica devastazione : erano increspati da cento rughe che conferivano loro un rictus doloroso, come di un volto inondato da una luce troppo viva o sul quale cadesse di continuo una gragnola di pietre.
Tutto pareva ancora sotto i colpi di una scarica a bruciapelo, e gli occhi erano morti. Poiché i due visitatori venivano da fuori e si supponeva che avessero lavorato nella calura, l’uomo, appoggiato al suo bastone, disse infine :
“ Salute ! Salute di fatica ! Salute di sole !”.
Salute di sole !
Conosco una bimba a Madrid, figlia di un amico regista.
Questa bimba ha un nome bellissimo : Sonsoles.
Chiedo alla bimba : cosa significa Sonsoles ?
Sono soli…. sono dei soli.
E come mai un nome così strano ?
E’ un nome che nasce dalle parole di un bambino.
Un giorno un pastorello vide una donna bellissima : la Vergine Maria.
Corse allora al paese per raccontare il suo incontro.
Qualcuno chiese :
“.. e come sono gli occhi della Vergine ?”.
“Sonsoles”.. disse il pastorello. “I suoi occhi sono dei soli.”
Da allora Sonsoles è il nome bellissimo per molti bimbi spagnoli….
e forse Sonsoles è anche il titolo di questo mio incontro con i “soli Dogon”.
Le prime parole che un uomo bianco ascolta da un uomo Dogon parlano di sole :
“ Salute ! Salute di sole !”. E’ un saluto, è un benvenuto, è un augurio.
E’ rivolto a ciascuno di noi. Questa bellissima forma di saluto ci dimostra
che i “soli Dogon” non sono in realtà solo dei soli.
Non sono nemmeno soltanto dei gioielli, dei pendenti, degli amuleti, dei talismani, dei portafortuna …
Ogni sole Dogon è – come è evidente – quello che ognuno di noi scoprirà che é.
testi citati nel testo
(assolutamente NON una bibliografia !)
1. Fisher H. Nesmith “Dogon Bronzes” in ‘African Arts’ vol XII, number 2 – February 1979
2. Huguennin G. editor “Les Tellems et les Dogons” 1973
3. Blandin André :
- “Bronzes et autres alliages” 1988
- “Fer Noir” 1992
- “400 objets africains pour la vie quotidienne” 1996
- “Bronzes et autres..” presso la Galerie Leloup 2001
4. Colette e Jean-Pierre Ghysels “Ethnos – gioielli da terre lontane” – 1996
5. Pascal Delamaire più volte citato in rete alla voce “soleil Dogon”
6. Theophile Obenga “L’Afrique dans l’Antiquité – Egypte pharaonique/Afrique noire” – 1973
7. expertise della Totem Rosebank Gallery di Vittorio Meneghelli
8. Moussa Konaté-Michel Le Bris “Les Mondes Dogon” – 2002
9. Griaule Marcel “Dio d’acqua” edizione Bompiani 1968
10. Meyer L. “Les art des metaux en Afrique Noire” 1997
11. Schaedler Karl-Ferdinand “Earth and Ore” 1997
12. “Maschere e Gioielli dei Dogon” 2004 (prima stesura di questo stesso mio testo)