Perché non si è mai visto Ganesh su una barca.
Il Dio dalla testa di elefante è divinità popolarissima in tutto il mondo, non solo in India. E’ il dio della fortuna, del denaro, del successo negli affari e nelle imprese più ardite. Ti aiuta a superare ogni ostacolo, ha come tutti gli dei un suo veicolo e questo veicolo è, con feroce o forse inconsapevole ironia, un topolino.
Lo si è visto in infinite pose diverse, però mai lo si era visto in barca.
Ma la Cambogia è un paese d’acqua.
Come e più di Venezia, l’acqua è la sua vita e anche la sua morte.
Un territorio piatto come un tavolo da biliardo ha nei secoli costruito la sua incredibile potenza e ricchezza su un gigantesco geniale sistema di canalizzazione che portava l’acqua a tutti – città, templi, palazzi, case, villaggi, palafitte, capanne, vivai per le piantine di riso e risaie.
Un sistema così geniale che sapeva sfruttare persino le piene capaci di invertire il corso del Mekong e trasformava quella che avrebbe potuto essere una devastante inondazione in un ordinato e prezioso contributo di irrigazione, orchestrato da una sapiente e perfettamente mantenuta canalizzazione.
L’acqua quindi è la Cambogia e quindi giustamente Ganesh in Cambogia ha un nuovo veicolo : non il topolino dell’iconografia canonica, ma una barca.
Ganesh, divinità indù, diventa qui sostanzialmente divinità cambogiana.
Però anche in Cambogia, Ganesh ha la testa di un elefante, è grande e grosso, enorme. Far accomodare un pachiderma
su una fragile barchetta a fondo piatto, come le barche del Ticino o i sandoli della laguna veneta,
è già di per sé un pensiero di straordinario umorismo.
Ironia e auto-ironia che sbocciano misteriosamente nella testa e nelle mani di un ignoto artigiano
che un giorno deve aver ideato questo modellino oggi riprodotto in migliaia di esemplari, di nessun valore commerciale,
ma (almeno per me) di grande significato simbolico.
Un tocco di eleganza e di ironia che mi da la gioia di essere forse l’unico ad averlo scoperto e a cui non saprei rinunciare
e che voglio donare solo alle persone capaci di condividere con me questo raffinato e insensato piacere.
Non ho visto nessuno acquistare questi oggettini ed ho ragione di pensare che, almeno in Italia, non ne esistano altri esemplari.
Ma c’è di più : questo raffinato e insensato piacere è reso ancora più intenso
da questa scoperta : all’audacia di sistemare un pachiderma su una imbarcazione
così fragile e leggera che anche un bimbo farebbe pericolosamente traballare,
si aggiunge il tocco di mettere un poverissimo cappello da contadino
in testa al Dio del Successo, del Denaro, della Fortuna negli affari.
I contadini nelle risaie indossano proprio lo stesso cappellino che vedi qui ficcato sul capoccione del bonario dio Ganesh.
Come a ricordare che in Cambogia tutta la gloria e la ricchezza del passato, tutta la potenza e la divinità del Deva-Raja nascevano proprio da qui : dall’umilissimo lavoro dei contadini e delle mondine, dalle risaie sapientemente rifornite
di acqua sempre fresca e corrente e dalla capacità di fare ben tre raccolti di riso ogni anno.
Quindi questo “Ganesh in barca” è anche un forte augurio di buona fortuna,
di nuova ricchezza, di successo nel lavoro, negli affari, in qualsiasi nuova impresa tu voglia intraprendere.
Poi, detto tutto questo, si può volergli bene anche perché rimane in questo oggettino
un mistero da risolvere : Ganesh è seduto sulla sua fragile barchetta, ma che cosa
ha davanti a sé, proprio tra lui e la prora ?
Qualcuno dice : un casco di banane.
O delle piantine di riso, che sarebbero segno e promessa di un ricco raccolto.
Oppure dei pesci appena pescati.
Forse questo piccolo mistero non avrà mai una soluzione.
A Siem Reap ho chiesto inutilmente a tutti : al mutilato che mi ha venduto il primo,
alle bimbe con le quali ho contrattato i 5 che voglio regalare, a negozianti e guide turistiche,
persino alla gentile e sorpresissima Curator dell’Angkor National Museum.
Ciascuno perciò è libero di proporre una propria più o meno ragionevole
o fantasiosa ipotesi : così questo Ganesh-in-barca ha già instaurato un dialogo
proprio con te che ora ti chiedi che cosa il tuo Ganesh ha raccolto e porta in barca con sé.
Quando lo sai, me lo dici per favore ?
La merce sulla barca di Ganesh è proprio un casco di banane
e poi ortaggi difficilmente identificabili.
A noi sembra un cagnolino, forse uno shishi ? , ma potrebbe essere anche una goccia sfuggita alla mirabile fusione. Un messaggio però l’oggetto lo trasmette comunque: si può vendere di tutto perché c’é sempre qualcuno disposto a comprare.
Carissima Ilaria, ti ringrazio per il divertente commento.
Ancora più divertente trovo però che il buon Roberto si firmi “Ilaria” :
spero non stia progettando un viaggio in Marocco.
Franco
Per me, Ganesh ha davanti a sé la ragione del suo viaggio. Poco chiara, opinabile, ma sufficiente per il viaggio.Viaggiare è scoprirla. Ce l’ha davanti a sé perché è altro da lui, non ci si identifica. Perché è tutto instabile e in questa instabilità consiste l’unica vera possibilità di viaggiare. Non è solo ambiguo nella sua natura, questo materiale sulla prua. E’ incerto anche nella sua storia: è qualcosa che ha comprato? E quindi sta tornando a se stesso da un viaggio? O è qualcosa che va a vendere, e quindi sta uscendo da sé per incontrare? Inoltre non sappiamo nulla sui soldi. Incasserà, spenderà. Ma quanto? L’icona non ce lo dice perché Ganesh non fa il prezzo, fa il valore. Non sappiamo dei soldi ma vediamo la vicinanza e la posizione. Non dietro di sé, ma davanti a sé, sotto il suo sguardo. Mi sembra tutto meraviglioso, ma mi sembra anche di avere in corso uno dei miei attacchi di logorrea che tu conosci bene…..
Ti si ringrazierà mai abbastanza delle perle che lasci in questo tuo spazio?
gio.
Franco carissimo,
questa tua colta e arguta dissertazione sul dio più amato della cultura hindu intento a trasportare i nostri desideri su un’esile barchetta evidenzia ancora una volta la Tua sensibilità artistica; la stessa sensibilità che condivide l’artigiano che ha realizzato un’opera apparentemente semplice, ma densa di delicate e popolari intuizioni. Intuizioni che si leggono come cuore e cervello del popolo cambogiano. La fragile barchetta ospita il grande dio in una geometria condivisa tra mercanzie (ma preferisco identificarle come sogni, visto che sono a prua) e obesità. Obesità che rappresenta l’intera manifestazione divina di Ganesh, ma in fondo, il dio non è contenuto in nulla…. nemmeno nella barca più grande del mondo e questa non lo è di certo!
Ciao Andrea
Ah che bella cosa, Andrea. Un dio che riempie ogni cosa senza pesare su nulla. Grazie per questa luce! gio.
Good evening Frank…I had a look at your web site : Mr F Bellino only could have spotted the famous…”Ganesh in a boat”.
Sei davvero unico. La tua curiosità e il tuo conclamato spirito d’osservazione non hanno eguali. Complimenti davvero !
E come non provare infinita tenerezza per il tuo Ganesh dorato con cappello seduto sulla piccola deriva !!
Luca
Leggo ma non commento con parole scritte, saranno parole con voce. Troppo colti i tuoi amici.
Ma che figura ci faresti se leggessero quello che penso. Giovedì vado a Berlino e mi hai dato un’idea :
quella di rivedere il museo Dahlem dove ci sono diverse interpretazioni del dio che ho conosciuto anni fa a Bali:
in un tempietto in una baietta dove c’era un alberghetto. E il vento leggero e costante che stordiva piacevolmente.
Il bello per me era che l’insieme aveva dimensioni ridotte, nel senso di non enfatiche.
Anche se il tempio era alto sul mare ma, chissà come, l’insieme era a portata di sguardo.
Chissà se uno dei tuoi Ganesh con il cappelluccio e la mercanzia misteriosa a prua mi toccherà:
se sarà il premio di una tua lotteria, so già che è no… Nella
Nella, è bellissimo : hai vinto la lotteria !
Leggendo le tue parole sembra di sentire
“il vento leggero e costante che stordisce piacevolmente”.
Se mi autorizzi a pubblicare il tuo testo così come è,
ti prometto in dono l’ultimo ‘Ganesh in a boat’.
Franco
Pubblica tutto quello che vuoi : sono lusingata… della tua attenzione.
Poi in cambio mi arriverà forse un Ganesh contadino su una barchetta che mi pare
identica a quella che usano gli abitanti delle isole di totora del lagoTiticaca,
uno dei luoghi più belli che ho visto. Mi rallegra il doppio (non doppiamente)
perché il doppio per me è proprio il molto. Nella
FRANCO CERCA SEMPRE TROVARE L’ANIMA DEI UMANI.
Hai ragione, Robert.
Hai ragione soprattutto se la tua raccomandazione vuole dirmi :
“Franco, non dedicare troppo tempo della tua vita a degli oggetti, per belli o curiosi che siano.
Dedicati invece agli esseri umani”.
Trovare l’anima di ogni essere umano, ascoltarla, capirla e, quando è possibile, amarla
è proprio quello che cerco di fare ogni giorno.
Ed è proprio quello che tu puoi leggere su questo sito in ogni post,
anche se apparentemente sembra che si parli di cavalieri del Chad,
‘guajian’cinesi o netsuke giapponesi, bronzetti popolari cambogiani.
Ogni volta non scrivo, come sembra, dell’oggetto, ma dell’essere umano che lo ha creato.
E poi scrivo dell’essere umano che, guardandoli e amandoli, pensa, riflette e si emoziona.
Infine degli altri esseri umani che commentano i miei post e dialogano tra loro e con me.
Ecco perché cercando l’anima di chi aveva creato il piccolo ‘Ganesh in a boat’,
mi sono immaginato “un ignoto artigiano”. Un essere umano sconosciuto
con un’anima piena di amore per la Cambogia, la sua terra d’acqua,
dotato di raro umorismo e dell’ancora più rara splendida auto-ironia.
Ho pensato : solo un’anima così bella poteva aver creato dal nulla un oggetto così ricco di significati.
Proprio quei significati per cui ho scritto : “Ecco perché anche tu gli vorrai bene”.
Vorrai bene a quell’essere umano, non certo a quell’oggetto.
In grande umiltà o con smisurato orgoglio ho praticamente creato un’anima.
Purtroppo, o per fortuna, ho poi scoperto che quell’immagine del dio Ganesh su una barca,
per me così creativa ed originale, mai vista prima ed unica al mondo,
era invece soltanto la fedele rappresentazione di una realtà,
a me ignota, però ben nota a qualche centinaio di milioni di altri esseri umani.
In India però, non in Cambogia.
E quindi qualcosa di unico – quel cappellino da contadino, per esempio, posato in capo ad un Dio enorme e venerato –
pur sempre rimane a testimoniare la presenza di un’anima sorridente ed ironica.
Come vedi, Robert, anche in questo caso mi ero dunque dedicato, come tu mi consigli di fare,
a “trovare l’anima degli esseri umani”.
Lo farò e sarò sempre profondamente grato ad ogni essere umano che,
scrivendo un commento, vorrà dialogare con me, con chi legge e, magari, con se stesso.
Franco,
se tu fossi ganesh, cosa porteresti in quella barca. Essendo piccola immagino che FRANCO/GANESH possa portare solo una cosa.
Allora?
Cosa porterei in barca ? Porterei Giovanna, naturalmente.
E se non fosse possibile ?
Porterei comunque Giovanna, essendo Ganesh il Dio che supera ogni ostacolo.
Elementare Watson.
Franco Ganesh, non scherzare!!! Ganesh portando Giovanna renderebbe felice se stesso! invece Ganesh deve aiutare e fare felice gli altri. Per cui, se porti Giovanna dove state andando? se invece non’e’ Giovanna, cosa ci porteresti?
” Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha la donna andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca”
Se sei donna, certamente metteresti la virgola dopo la parola “donna”.
Se sei uomo, certamente la metteresti dopo la parola “ha”.
Ma si potevano vincere dei Ganesh ? Dovevi dirlo prima, saremmo stati molto, ma molto più profondi .
La superficialità mi inquieta, ma il profondo mi uccide. (Alda Merini)
Leggevo poco fa l’intervista fatta nel 2003 da Patrice-Flora Praxo e dal giovane antiquario Renaud Vamixern (RV)
al mitico collezionista Jean Pierre Laprugne (JPL), con galleria in rue Mazarine 52 a Parigi.
Ne riporto qui un brano nel testo originale perché mi ha regalato una bellissima definizione proprio di quello che – rimproverato da Giovanna, irriso da esperti come Cino e Roberto, sgridato da studiosi di prestigio internazionale
come Giovanni – tento di fare da anni.
RV : For people such as Jean-Pierre and myself, the passion for these objects runs very deep.
The money invested is less important than the actual objects; it represents only one way to acquire them.
The finality of the affair resides in the objects themselves because they enclose whole universes, poetry…
JPL and RV (in unison) : …and dreams.
RV : We are not in this line of work in order to get rich in a monetary way but rather to experience
the richness of the objects’ symbolic value, their signification and their aesthetic beauty.
That is the real wealth of this job. But the most important factor is …
JPL and RV (in unison) : The passion.
RV : Why did you wake up every morning at 5:00am for thirty years, Jean-Pierre?
JPL (laughing): Well, not every morning…
RV : But Jean-Pierre, you were and I think you will always remain a fearsome “picker”.
You were their king, their spiritual leader!
JPL : I indeed found some great things that way, but I also bought many as well. I indeed kept everything for myself !
RV : Is it the proverbial “find” that motivates “pickers”? Do you one day hope to find that unexpected treasure?
JPL : It is true that that happens every now and again, but it is indeed rare. I suppose, then, that it is a small miracle
RV : Some say that the finder of such a treasure invents it himself.
I like that idea; just imagine it, a treasure-inventor !
In the sphere of “primitive” arts, this is very true. You “invent” a treasure and it is indeed one
because you know what it is, where it comes from, where it was made and why.
You rein-corporate it into its own history and meaning.
JPL : You essentially give it back its original dimension.
RV : And save it from oblivion.
Ecco, mi piace questa idea.
Non uno che cerca i tesori.
Non uno che trova i tesori.
Uno che inventa i tesori.
Uno che riesce ad intuire la bellezza e il senso di un oggetto,
proprio lo stesso oggetto che migliaia di altre persone nemmeno degnano di uno sguardo.
Sul sentiero che porta al tempio di Preah Khan nella stupenda area di Angkor,
migliaia di visitatori passano ogni giorno davanti alla cesta
dove alcuni “Ganesh in a boat” giacciono confusi tra centinaia di altri bronzetti.
Quasi nessuno si ferma : basta a tutti un colpo d’occhio per definirli subito “junk”, spazzatura.
Qualcuno si ferma : lo fa più per avere un pretesto per regalare qualche dollaro al mutilato
che non per guardare e forse acquistare i suoi bronzetti.
Paccottiglia, senza valore (costano persino troppo poco, come lo spot per l’auto in tv :
“Ma noi vogliamo spendere molto di più !”) e senza significato.
Ma poi arriva qualcuno che fruga nel mucchio, che prende in mano quella strana figurina :
un elefante su una barchetta ?!?
L’elefante – visto dove ci troviamo – è inevitabilmente il dio Ganesh,
ma perché mai si trova su una barchetta ?
E cosa ci fa quel cappello da contadino in testa al divino figlio di Shiva e Parvati ?
Il mutilato non lo sa, le ragazzine intorno nemmeno.
Non lo sanno almeno una ventina di altre persone, a tutti i livelli di cultura,
tra Siem Reap e Phnom Penh, compreso un Curatore di Museo.
Proprio questo mistero però intriga chi lo ha visto.
Per giorni e giorni lo porta in tasca, lo fa vivere con sé,
con la punta delle dita per ore e ore lo accarezza.
Spera (sa) che amandolo riuscirà a capirlo.
E alla fine tutto è chiaro : quella piccola scultura non è, non era, non è mai stata un tesoro.
Un tesoro lo è diventato.
La differenza è tutta qui. Come quando ci si innamora.
Chi vede un oggetto, lo capisce, lo studia, lo ama,
lo risveglia alla vita dopo anni e a volte secoli di sonno e gli ridona la vita
non è uno scopritore di tesori : è un inventore di tesori.
Il mio minuscolo “Ganesh in a boat” non era un tesoro prima,
ma lo è adesso perché qualcuno lo ha inventato come tesoro.
Ganesh sulla sua barca sorride.
Sousday Franco,
Ho letto tutti commenti su Ganesh in barca nel tuo ‘blog’.
Come ben detto da uno dei tuoi ‘commentatori’, la figura misteriosa potrebbe essere la
testa di un Foo Dog / Shishi, che viene anche chiamato “Leone di Buddha” e indica Prosperità.
I Foo Dog sono gli antichi cani sacri di tutta l’Asia e proteggono i templi buddisti.
Mia mamma, tanto tempo fa, me ne ha regalato uno, alto un 15cm, che era stato acquistato dal nonno in Cina.
L’associazione di un Foo Dog con Ganesh è possibile, anche se di solito il veicolo di Ganesh è piuttosto un topolino.
Cordialmente,
Consuelo
Caro Franco,
davvero una storia deliziosa.
Anch’io non avevo mai visto Ganesh in barca.
Non si finisce mai di imparare.
Marilia
Caro Franco,
il tuo Ganesh ha preso il cappello dei suoi adepti e probabilmente si è portato il suo animaletto in barca. Del resto altrove si appoggia su un fiore di loto. Ma ciò che ci regali è lo stupore del paradosso : il peso con l’ ingegno umano diventa umoristica o grottesca leggerezza, miracoloso e precario equilibrio, come quello costruito faticosamente e religiosamente dai cambogiani per raccogliere i miseri e preziosi frutti della terra e dell’ acqua. Mi viene in mente anche la cantilena italiana ( e non solo ) :
” Un ippopotamo si cullava su una tela di ragno / un altro che passava gli divenne compagno… eccetera
Eccetera ? ! ?
No, Alessandro : la tua cantilena è troppo bella. Eccola qui sotto quasi completa.
Dico “quasi completa” perché immagino che ognuno di noi potrebbe prolungarla a piacere
aggiungendo ippopotami fino ad arrivare a 11.111.
un altro che ne arriva e ce ne andiamo di sotto”.
Pubblico questo commento come profondo ringraziamento alla divinità
che protegge le nuove imprese e ne favorisce il successo :
solo poche ore fa ho preso una decisione che cambierà radicalmente la mia vita.
Parto per un nuovo viaggio molto più impegnativo di qualsiasi viaggio.
Questi versi infantili sono perciò la mia personalissima ‘puja’ in omaggio di Ganesh,
il Dio dalla testa di elefante e da oggi dal ‘nick’ di ippopotamo.
Un ippopotamo si cullava
su una tela di ragno;
un altro che passava
andò verso il compagno.
Due ippopotami si cullavan
su due fili d’argento;
un altro che passava
li raggiunse contento.
Tre ippopotami si cullavan
su tre fili tutti d’oro;
un altro che passava
andò verso di loro.
Un ippopò tamò tamò;
due ippopò tamì tamì;
tre ippopò tamì tamì;
quattro ippopò tamì tamì…
Il ragno che li guarda
pensa senza far motto:
un altro che ne arriva
e ce ne andiamo di sotto.
Criii… criii… criii…. BUM!!!!!
MERAVIGLIOSO! …a 4 anni di distanza, faccio sì che il divino Elefantino faccia ancora parlare di sé! Parlandone io, o meglio rimanendo in incantato ascolto delle voci che già numerosissime ha generato, e in rincuorante ammirazione di come anche un oggetto possa avere un’anima: sono gli uomini ispirati a forgiarla per lui. È proprio vero che Dio ha creato l’uomo affinché l’uomo potesse creare Dio (e viceversa: credo da sempre che sia questo il vero tuorlo di quella vecchia storia dell’uovo e della gallina…). Grazie Franco!
Stefania, se non fosse per altro
anche soltanto per te
scriverei.
Grazie.
L’ipotesi del vero tuorlo
della vecchia storia dell’uovo e della gallina
risolve brillantemente un dilemma filosofico dibattuto per secoli.
Complimenti, Stefania !