Questo regalo di Giovanna mi fa particolarmente piacere per importanti motivi.
E’ una scultura che conosco da mesi, forse anni. E’ un oggetto che più volte ho pensato di acquistare e che Claudio ed Hentus hanno gentilmente messo da parte proprio per me.
Ma non ho mai preso la decisione. Forse aspettavo che fosse Giovanna a rendermelo ancora più prezioso facendone un dono.
In qualche modo questa elegante e serena fanciulla che esibisce un ancor più elegante e sereno ed imperscrutabile volto di maschera davanti alle sue pudenda,
questa fanciulla che ho sempre considerato di bellezza “greca” era già entrata nel mio mondo.
Eppure soltanto ora che posso osservarla da vicino quanto voglio, che la posso accarezzare come mia, stringerla tra le dita e far scorrere i polpastrelli sulla sua pelle e goderne la levigatezza….
solo ora che la sento mia, lei veramente mi parla e mi dice cose che prima non diceva.
Ma prima delle piccole personali scoperte (la fanciulla ha due gambe se vista di fronte, ma altre due se vista da dietro),
viene la soddisfazione profonda e la felicità. La ragione è questa :
ho sempre pensato, forse sarebbe più giusto dire ho sempre oscuramente sentito –
“in-tuito” nel senso letterale di ‘vedere dentro, vedere oltre, aldilà della realtà visibile” –
ho sempre oscuramente sentito che in Africa scorre un fiume sotterraneo.
Questo fiume invisibile e quindi (per ora) ignoto ad africani e poi europei e archeologi e antropologi ecc.ecc. …. questo fiume alimenta –
per vie misteriose ed imperscrutabili (che non si conoscono e che, forse, non si potranno
mai conoscere) – la civiltà egizia fin dall’altissima epoca delle prime dinastie..
e poi i Fenici.. i Micenei.. la grande scultura e civiltà greca.. ed arriva, attraverso l’ellenismo
e Roma e i grandi regni africani… e poi l‘Islam
e persino attraverso la dominazione coloniale e l’orrore dello schiavismo…. arriva
fino ai giorni nostri.
E questa piccola forse irrilevante scultura, questa bellissima forse fasulla fanciulla ne è –
per me – la prova.
Per vie misteriose ed imperscrutabili quel fiume sotterraneo ha fatto nascere anche questa fanciulla e lei me ne offre le tracce evidenti.
Per la prima volta ho questa prova qui, davanti a me, in mano.
Questo fiume arriva infatti, ancora oggi, fino ai più remoti villaggi
(non sarà un caso se il vertice della scultura Ife, la “figura seduta Tsoede” oggi al Museo di Lagos è stato trovato nello sperduto villaggio di Tada proprio sulla riva di un fiume
e se veniva ogni venerdì portata al fiume e purificata nell’acqua del Niger).
Questo fiume, invisibile ma forse proprio per questo ancora più reale, nutre con la sua acqua – che è la stessa da millenni ma che pure porta tracce di ogni singolo giorno vissuto da ogni singolo individuo –
tribù e popoli ed etnie, fabbri e falegnami e artigiani e scultori e intagliatori e “artisti”che nulla sanno, e nulla hanno mai saputo – forse – di Egitto, Grecia, Roma…..
Forse.
Ecco : questa raffinatissima piccola scultura mi parla di tutto questo e mi conferma questa vaga, non scientifica e non storicamente fondata – ma comunque per me assolutamente presente sensazione :
che ci sia nell’anima dell’Africa qualcosa dell’Egitto e poi della Grecia e comunque qualcosa di ciò che costituisce i vertici della scultura di tutti i tempi.
Certo questa è solo una fionda – strumento di uso proletario, non certo destinato alla corte e oltretutto oggetto d’uso non rituale, quindi senza nemmeno (forse) le valenze del sacro e della ‘religio’.
E’ solo una fionda, però è bellissima.
Ed è consapevolmente compiaciutamente raffinata.
Non è raffinata per caso.
Non è raffinata perché io la vedo ‘raffinata’.
No, è raffinata proprio perché chi l’ha concepita e poi sbozzata nel legno e poi intagliata e poi amorevolmente rifinita e incisa nei minimissimi dettagli voleva fare un’opera raffinata.
Non ci sono dubbi su questo.
A questo punto non mi interessa neanche sapere se magari lo scultore voleva farla così raffinata perché l’avrebbe venduta meglio ed avrebbe guadagnato di più.
Non mi interessa nemmeno sapere se, intagliandola, pensava ad un acquirente locale (intenzione che secondo alcuni criteri che decidono cosa è “arte africana”
e cosa invece non lo é ne farebbe un oggetto “buono”) o pensava ad un acquirente esterno : il mercante, il turista, il mercato (intenzione che farebbe invece di questa fionda un oggetto “falso”).
Non mi interessa saperlo. Mi basta sapere e capire che lui conosceva un ideale di bellezza e sapeva realizzarlo e che in questa scultura lo ha realizzato. Punto.
Tutto ciò è evidente in questa scultura. Basta saperla guardare e saperla toccare.
I due visi, quello della fanciulla e quello della maschera, sono elegantissimi.
I tratti somatici sono forse più asiatici che non africani, soprattutto nella maschera.
Cosa vuol dire ? che forse è stato modellato ispirandosi a oggetti o fotografie di oggetti importati, non presenti nella cultura indigena ?
Va bene, ammettiamo pure che sia così.
Ma se voglio portare avanti questa ipotesi di estremo disincanto, di compiaciuto cinismo, posso dire anche di più. E’ una fionda,
ma non ci sono nemmeno i due piccoli incavi al termine della forcella dove dovrebbe appoggiarsi l’elastico (incavi forse non indispensabili,
tanto è vero che mancano anche in molti esemplari presumibilmente “buoni” del volume Delcourt-Scanzi).
Quindi non è mai stata usata come fionda (anche se, quell’inscurimento da unto, da grasso cutaneo proprio nel punto dove dovrebbe poggiare il pollice del lanciatore,
farebbe ad un esame meno cinico e critico pensare proprio il contrario).
Hentus : “sono più numerose le fionde senza la ‘tacca per l’elastico’ perché l’elastico (di caucciù da una certa data in poi, e prima ricavato da intestini freschi di animale)
veniva avvolto in posizione e poi fermato con striscioline sottilissime sempre di elastico che rendevano quindi non indispensabile la tacca per posizionare l’elastico.”
Ma allora se non fosse stata fatta per essere usata e se davvero non fosse mai stata usata, allora forse è stata fatta proprio
per essere venduta a mercanti locali o a turisti bianchi in cerca di curiosità locali e di souvenir indigeni.
Va bene, ammettiamo anche questo. E con questo ?
Anche se queste figure (la fanciulla e la maschera) sono ispirate a modelli iconografici non-indigeni e di importazione,
anche se destinata ad un uso non funzionale (lanciare sassi come fionda) ma soltanto commerciale (essere venduta, e nemmeno ad indigeni ma sul mercato turistico) –
questa fionda rimane un oggetto di bellezza innegabile.
Questa bellezza c’é.
Questa bellezza parla.
Ed è la bellezza – è l’ideale di bellezza – proprio la vera anima, l’acqua del fiume sotterraneo che alimenta da millenni la cultura dell’Africa.
Non sempre, non in tutte le sue espressioni, non per tutti proprio perché per molti – probabilmente per i veri conoscitori - forse l’arte africana raggiunge i suoi vertici nella negazione della bellezza, nell’espressionismo estremo, nello sconvolgimento formale di ogni canone ideale o realistico, nella ideazione e creazione dell’orrido, nella ricerca dell’emozione “sporca” e della magia efficace
(il feticcio con il suo carico di sostanze magiche a coprire e nascondere la scultura, il sangue, il rituale orrifico, la sedimentazione di tracce organiche e di riti passati).
Ma non è il mio caso. Io arrivo all’arte africana tardi, ci arrivo ignorante : non ho mai vissuto in quei paesi né mi interessano poi davvero quelle culture.
Mi affascinano talora, non sempre, alcuni oggetti – forse più per quanto io ci vedo e ci trovo, che non per quanto essi concretamente possiedano.
Molto spesso non sono nemmeno le opere d’arte, non sono nemmeno gli oggetti veramente “importanti” (religiosi, rituali, magici o destinati alle corti) per le culture a cui sono destinati.
Sono spesso oggetti minori, di importanza secondaria : bamboline di fertilità, utensili quotidiani, cavalieri destinati a curare disturbi psichiatrici, monete antecedenti la monetazione.
E’ un mio limite, lo riconosco, ed è la mia una visione assolutamente non-oggettiva di quella realtà.
Ma è la mia e di questa soltanto io parlo.
Ne parlo poi, in fondo, soltanto a me stesso – e quindi questo non-scientifico divagante soliloquio non dovrebbe far male a nessuno.
E allora, sia pure in modo scorretto sul piano scientifico, ho tutto il diritto di emozionarmi a Londra e poi a Firenze, scoprendo (gli studiosi potevano anche conoscerla da anni,
ma per me è stata una folgorazione come deve esserla stata per pochi romani vedere “la morte della Vergine” di Caravaggio, il corpo femminile sfatto, gonfio e scarmigliato di una poveretta annegata nel Tevere)
la bellezza assoluta, atemporale e senza confini geografici dei bronzi e delle terrecotte Ife.
Ed ho anche tutto il diritto di emozionarmi per questa piccola fionda – che nel mio mondo e secondo i miei criteri – è uno dei vertici assoluti di questo ideale di bellezza ‘classica’.
Il modo in cui l’acconciatura – conti sei trecce, però se le guardi bene sono in realtà soltanto due trecce molto lunghe e due trecce più corte – parte stretta sulla fronte a delineare
una classica attaccatura dei capelli…. poi lentamente si allarga pur lasciando scoperte le orecchie… e poi dolcemente si restringe fino a terminare sulla nuca….. questo solo movimento di un’eleganza
e di una musicalità assolute – riporta fulmineamente alla innata e non ricercata maestosità della grande scultura egiziana e all’indicibile purezza della scultura greca arcaica,
delle prime ‘Kore’ ateniesi.
E
l’acconciatura di questa fanciulla è soltanto un dettaglio, nè vale la pena qui elencare tutti gli altri brani di grande eleganza e musicalità. Basta guardare,
basta lasciar scorrere lo sguardo sulla superficie oro bruciato, accompagnando l’occhio con il polpastrello del pollice, gesto anche lievemente impudico ma che è, e deve essere, sensuale –
basta per vedere e sentire questa assoluta ricerca di bellezza.
Poi, è chiaro, ci sono – e per fortuna ci sono – anche i brani dove la bellezza ideale diventa prosaico, e forse goffo, artigianato.
Magari anche frettoloso e superficiale. O forse dove l’artigiano-artista Baulè
non ritiene necessaria, come altrove, la perfezione formale.
Intanto la scoperta che la figura ha due punti di vista, entrambi plausibili.
Di fronte, la fanciulla regge la maschera a coprire l’ombelico e forse anche il pube (non sarà un caso, vero, se la maschera è appoggiata proprio lì ?)
e il tronco si completa con le due gambe divaricate (divaricate per l’uso come fionda, innanzitutto – ma forse per evocare anche altre posizioni, I suppose).
Da dietro invece, la figura femminile improvvisamente si accorcia (perché mai ? non era necessario : poteva tranquillamente ripetere l’andamento della visione frontale, no ? che sia per un delicato quasi virginale senso di pudore : per non far appoggiare il pollice del lanciatore proprio sul culetto della fanciulla ? mi piace pensare che sia così e mi piacerebbe sapere cosa ne pensano gli esperti)…. la figura si accorcia e da sotto il mutandone partono due gambe cilindriche appena accennate che si perdono senza assottigliarsi nelle caviglie in una massa informe.
Anche da questo punto di vista però la figura femminile conserva una sua quasi accettabile proporzione.
Ma ci sono altri brani non eccelsi. Visto da dietro il sederone con il suo bragone/pannolone è tutt’altro che elegante e raffinato. E non credo che la strana protuberanza che appuntisce il culetto si possa giustificare con un ipotetico appoggio del pollice nel momento in cui uno usa la scultura come fionda.
E, a coprire il sederone, quel pannolone con la sua banalità ed approssimazione fa a pugni
con la sensibilità con cui solo pochi millimetri più sopra lo scultore incide la colonna vertebrale
e poi suggerisce le scapole (guarda bene, tocca bene : le scapole non si vedono,
ma si sentono e ci sono !).
Rimarrebbe da studiare, per trovare eventuali riferimenti in altre opere Baulè – ma dubito che ci siano – i tratti davvero “asiatici” della maschera, con gli occhi a mandorla,
il naso diritto, le labbra perfettamente disegnate della bocca piccola, e soprattutto l’espressione di grande concentrazione interiore.
Tratti fisionomici ed espressione che quasi tutti gli autori riconoscono alla scultura Baulè ma che sembrerebbero eseguiti seguendo rigorosamente i canoni della grande scultura Thai del 13° secolo.
(cfr. Bassani più oltre su possibili influenze indiane in Congo)
Ora, non riesco ad immaginarmi un artigiano Baulè che lavora tenendo davanti a sé
la fotografia di un Buddha Sukothai.
Forse è più facile (a voler proprio essere cinici e disincantati) immaginarlo al lavoro
tenendosi davanti le foto delle sculture di Modigliani.
Lo stesso allungamento dell’ovale del viso… lo stesso allungamento del collo.. la stessa purissima linea diritta del naso e sotto la bocca piccola ma carnosa.. la stessa sensazione che di un ritratto si tratti, ma che poi questo ritratto diventa ideale di bellezza astratta e non-realistica… l’imperscrutabile espressione da idolo egiziano (Modì amava l’arte greca arcaica, l’arte africana, ma più ancora l’arte egiziana).
Sì, può anche darsi che il nostro abilissimo intagliatore falsario abbia prodotto questa falsa-fionda falsa-scultura Baulè ispirandosi a Modigliani anziché alla iconografia tradizionale della sua etnia.
Mi va bene lo stesso.
Mi piace pensare che lo abbia fatto, oltre che per denaro, anche perché c’è una linfa che giunge a lui attraverso un unico sotterraneo fiume che scorre da millenni,
che ha alimentato con una digressione verso la Senna anche il buon disperatissimo Modì e che è esattamente lo stesso fiume con la stessa acqua
che guida i nostri occhi e le nostre mani ed i nostri sensi nell’amore per un oggetto che con grande amore è stato creato e con grande amore proprio oggi mi è stato donato.
Amore che proprio per merito di questo oggetto è vivo e alimenta oggi queste parole questi sentimenti – di Giovanna e miei –
così come qualche anno fa ha alimentato pensieri e gesti dell’artigiano che ha creato questo bellissimo oggetto.
Mi viene proprio ora il dubbio che il vero nome del fiume sotterraneo da cui ho iniziato queste riflessioni
(anche queste un dono dolcissimo di Giovanna) – il vero nome ed il vero spirito di quel fiume eterno
sia non tanto “bellezza” (il Bello Ideale non è più di moda da qualche secolo, l’Arte per l’arte è idea ormai decisamente fanèe), quanto piuttosto “amore”.
Amore, senza necessariamente la “A” maiuscola – semplicemente amore per le cose fatte bene e per le cose belle da guardare e da toccare, da donare e da possedere.
Molto banale, molto borghese, ma in ogni caso, per me, concetto molto vero e molto (questo sì, anche se non lo fosse la fionda)
molto “buono” e molto caldo e capace di suggerirmi pensieri e parole davvero sinceri.
In una fredda giornata di Natale non saprei davvero cosa chiedere di più alla vita.
In una piovosa giornata di inizio Agosto sento davvero che meraviglioso è l’amore.
Scheda del Potomo Waka che io chiamo “Kore Baule”
etnia Baulè, Costa d’Avorio
i Baulè sono un ramo del gruppo Ashanti della popolazione Akan (Costa d’Avorio-Ghana)
legno duro molto levigato, quasi serico (difficile, secondo Hentus individuare il nome del legno, perché l’artista/artigiano africano molto spesso non lo sceglie personalmente,
ma gli viene indicato dal sacerdote
secondo motivazioni rituali. Nel caso di un utensile, e in questo caso di una fionda, il legno sarà evidentemente il più possibile elastico e resistente per l’uso a cui è destinato e duro per la preziosità
di intaglio che l’artigiano ha in progetto di eseguire, ma è difficile individuarne la specie)
altezza massima : 205 mm
larghezza della forcella : 87mm
probabile datazione : certo non é antico, ma come minimo è del secolo scorso (scrivo nel 2002 e lo vedo da più di due anni in galleria da Hentus e Claudio, perciò…)
provenienza : acquistato nel 1998 ad Abidjan presso Ammadou,
commerciante morto nel 2000 di diabete e gotta
stato : in perfette condizioni, eccetto che per cinque buchetti (scavati forse da un insetto ?) sulla fronte della fanciulla, sotto la guancia destra, sul suo seno destro, sotto il mento della maschera
e in mezzo all’acconciatura della maschera più un foro (da chiodo ?) sulla schiena ed i due fatti L per montarla sul piedistallo –
patina colore naturale del legno, solo scurito dal tempo e dal contatto con la pelle, anche se mi pare che non sia mai stata usata come fionda. Però nel punto esatto dove dovrebbe poggiare il pollice del lanciatore, mi pare di intravedere un evidente inscurimento dovuto al grasse dela pelle nel pollice della mano destra, che sembrerebbe indicare proprio il contrario, a meno che questo ‘ingrassamento’ non sia stato fatto ad arte. Oggi rifletto : mi sembra altamente improbabile che questo ‘segno d’uso’ sia stato fatto ad arte, addirittura contorto il pensiero di farlo.
“PotomoWaka” in lingua Baulè significa “legno-elastico” da qui : ”lancia-pietre”
francese : fronde, lance-pierres
inglese : sling, sling-shot, catapult
tedesco : schleuder
latino volgare : flunda(m) da fundula, diminutivo di funda (fionda) (strana catena etimologica)
Scanzi mi fa notare la fondamentale differenza, funzionale prima di tutto e poi linguistica, tra “fionda” e “lancia-sassi”:
La fionda è quella dell’iconografia dello scontro biblico tra Davide e Golia : un panno, un tessuto, uno straccio di cui si raccolgono le cocche… si inserisce un ciottolo, spesso rotondo, e dopo averlo fatto roteare si libera una estremità in modo che il sasso parta con la forza impressa dalla rotazione. Dizionari vari :“Arma da getto costituita da due strisce di corda o di cuoio, collegate da una tasca entro cui si colloca il proiettile. Si usa facendola roteare al disopra della testa e lasciando poi una delle due strisce.” Anche però : ”Arnese per lanciare sassi, formato da una forcella alle cui estremità sono fissati due elastici resistenti, tenuti insieme dalla parte opposta da un pezzetto di cuoio entro cui viene posto il sasso”.
Eserciti antichi avevano reparti di “frombolieri” (“fròmbola” e ”fròmba” :
probabile incrocio di ‘ròmbola’, anticamente ‘fionda’ con ‘fionda’).
Il “lancia-sassi” è invece un utensile di legno o (in tempi più recenti) metallo che termina in alto a Y. Alle due estremità della forcella si lega un elastico e al centro dell’elastico, spesso in un apposito allargamento, si sistema un sasso, in questo caso più spesso appuntito.. La trazione e la successiva liberazione dell’elastico sono la forza di propulsione del proiettile.
Si pensava che in Africa l’apparizione della lancia-sassi fosse susseguente a quella del caucciù, e quindi all’arrivo degli Europei. Scanzi ha invece appurato che prime dell’arrivo in massa dei colonizzatori, i Dogon usavano lancia-sassi con la parte leastica fatta con viscere freschi di Facocero (suino selvatico). Queste visceri, contrariamente alla maggioranza di altre, hanno la proprietà di riguadagnare la lunghezza originale anche dopo una massima estensione e sono perciò adattissime all’uso in un lancia-sassi.
rassegna bibliografia :
invito Totem 1988
prima fionda a sinistra : viso simile, stesso andamento del seno, braccia uguali – la stessa patina dorata – probabilmente stessa provenienza
Blandin “400 objets..”
pagg. 32 e 43
Delcourt-Scanzi
“Potomo Waka”
nessun esemplare veramente paragonabile,
soltanto molti di simile struttura compositiva –
cfr. ai numeri 52 – 70 e poi da 83 a 96 e 101
Proprio ieri sera, dopo aver studiato sia i libro di Scanzi che il centinaio circa di lancia-sassi fotografati al Totem notavo che :” …Tutte, praticamente tutte le fionde del libro sono meno “belle” (= meno eleganti, meno geniali nella struttura, meno raffinate nell’intaglio) che non le fionde, circa un centinaio, delle fotografie di Claudio/Hentus.
Siccome non posso pensare che non ci fosse la possibilità di scegliere pezzi migliori vivendo in loco – mi viene il dubbio che la serie di PW raffinati sia semplicemente la conseguenza della aumentata richiesta di PW provocata in un primo momento dall’inizio del collezionismo (nessuno ci aveva mai pensato prima, nessuno le aveva mai richieste prima) e poi dalla pubblicazione del libro (la diffusione della conoscenza fa nascere il desiderio del possesso dell’oggetto). Le primissime fionde raccolte e pubblicate erano strumenti creati per l’uso senza eccessive ambizioni estetiche; le successive sono oggetti che vogliono piacer e si adeguano soprattutto al gusto del nuovo potenziale acquirente.
Scanzi mi conferma poche ore dopo questa diagnosi, anche se non così pessimistica come la mia. Il suo è soprattutto un discorso di conoscenza dell’oggetto e poi aumento delle richieste per i pezzi più “belli”.
Dice : “In un primo tempo le acquistavo a sacchi interi… e nel sacco non potevo certo sperare di trovare il capolavoro. Poi sono passato ad una scelta qualitativa e questo ha inevitabilmente fatto salire i prezzi richiesti”. Rispetto alla prima edizione del libro, ne avrei già pronte alte due con centinaia di esemplari infinitamente più interessanti.
Non dice invece, ma io continuo a pensare, che l’aumentata richiesta ha anche aumentato la produzione ed alzato o quantomeno adattato al nuovo acquirente i criteri estetici di costruzione del PW (la struttura, l’iconografia, il virtuosismo) e i livelli di rifinitura rispetto a quelli originariamente seguiti per costruire uno strumento tutto sommato assai “proletario” nella sua destinazione funzionale (ammazza-pipistrelli) e sociale (immagino, ragazzi ed uomini non particolarmente influenti né ricchi).
Circa 100 Potomo Waka
dalla collezione della galleria Totem-Il Canale
fotografie a colori e miei appunti
African Arts
21 : 3 del 1988 pagg. 84-85
recensioni al volume “P.W.” (da reperire)
Blandin Sugden
“African Art” – p. 30 (da reperire)
Cole-Ross
“The Arts of Ghana”
pagg.62-63 (da reperire)
An exhibition of Baule sculptures
Arcade Gallery pag.57 (da reperire)
Cole-Garrard
“The Arts of Ghana” 1997 (da reperire)
nella bibliografia che segue, sottolineo quei brani e quelle parole che sembrano confermare con tutta l’autorità degli Esperti quelle che finora erano per me soltanto personalissime e infondatissime impressioni ed emozioni :
AFRICA The Art of a Continent
pagina 451
tratti somatici, se non simili, abbastanza vicini nella maschera a due facce Yaure,
Baule o Guro
.. a proposito della difficoltà di distinguere tra produzioni Baule, Yaure o Guro :”… quello che questi stili, considerati tra loro distinti in via di ipotesi ma forse senza reale fondamento, hanno in comune è un’enfasi verso una bellezza raffinata ‘classica’ del volto, incorniciato spesso da una acconciatura elaborata e fittamente intrecciata – e anche una ricerca di creatività artistica in elementi super-strutturali (direi: ricerca di una bellezza assoluta, non necessariamente funzionale e nemmeno vincolata dalla struttura dell’oggetto o della figura rappresentati)….
cfr. PRIMITIVISM
volume II pagg. 417 e segg.
.. le maschere Guro e Baule sono effettivamente molto simili
nella costruzione dei visi a questa fionda – così come vicine alla fionda
sono alcune sculture di Modigliani e di Lipchtiz del 1914-5
Elsy Leuzinger
“L’arte dell’Africa nera”
leggi il capitolo dedicato ai Baulé a pagina 110
“… una cultura aulica, che aveva loro conferito una nota di particolare raffinatezza ed eleganza…
la cura con cui eseguivano i loro lavori l’avevano eredita dalla tecnica raffinata
usata nell’antica patria (Akan) per la fusione e la lavorazione dell’oro…
Presso i Baulè l’arte dell’intaglio è una prerogativa degli artisti di professione…. Un intagliatore di talento ha mezzi sufficienti per avvalersi dell’opera di numerose donne nella coltivazione dei campi….
Le figure Baule hanno sempre un atteggiamento sereno e tranquillo….. (segue una descrizione che sembra fatta guardando questa fionda !)… la testa, grande, è sormontata da un’alta complicata acconciatura, nell’allestimento della quale essi ripongono molta cura. Il volto ha lineamenti delicati, alte sopraciglia arcuate, con ciglia appena accennate e pesanti palpebre socchiuse, gli occhi, modellati più o meno in rilievo sono semisferici o a mandorla, il naso è sottile e diritto, la bocca piccola e la fronte liscia ornata da cheloidi (scarificazioni?) decorative. Di norma il viso, delicatamente stilizzato, ha forma ovale….
pagina 112 :
… per poter ottenere con la maggior precisione possibile i più minuti particolari dell’intaglio
con il coltello, il Baulè sceglie di preferenza legni duri…”
E leggi questo :
conferma alla lettera quanto più sopra avevo scritto di getto,
senza aver letto nulla, sulla base solo delle mie sensazioni :
“… Il gusto artistico del bello contraddistingue tutta l’arte dell’intaglio dei Baulè, sia che si tratti di grandi figure di antenati, di maschere del dio Gu, di seggi reali, di tamburi, di porte, oppure di piccoli utensili finemente decorati come porta-rocchetti di filo, impugnatore di scacciamosche, recipienti per trarre gli auspici, vasetti per l’unguento e pali sono e – aggiungo io – fionde. I Baulè fanno proprio dell’arte per l’arte, infatti danno vita anche ad oggetti che non hanno alcuna funzione pratica, ma sono creati unicamente per appagare il loro grande senso estetico.”
Ladislas Segy
“African Sculpture speaks”
pagina 167
Una delle rare tribù dove si produce scultura per un godimento estetico oltre che per scopi rituali…. molte maschere hanno una bellezza raffinatissima (“sophisticated beauty”, e poche righe prima :
“sophisticated elegance”)…. Alcune maschere, benché di produzione contemporanea, seguono perfettamente i canoni della tradizione…
pagina 169
“…. si consideri che, a causa dell’influenza europea, si instaura nella società Baulè una grande
individualizzazione (valorizzazione dell’individualità) e che questa si percepisce nelle opere di scultura. Gli artisti erano in competizione tra di loro e ciascuno cercava di creare nuovi particolari.. spesso a detrimento di un più classico stile tribale….”
in Christie’s “Russell B. Aitken collection” – 3 April 2003 pagina 65 n.85 una spilla per capelli sembrerebbe simile a questa Kore Baulè,
ma ad un esame più preciso la costruzione del volto mi sembra notevolmente diversa, anche se l’impressione globale è molto simile.
“Scultura africana nei Musei italiani”
di Ezio Bassani – Calderini 1977
pagg.61-62 Congo, Zaire
Figure commemorative (Ntadi) 1887
“ … sembrano presenti influenze indiane. Antiche fonti portoghesi
del 16° secolo accennano alla presenza di indiani nel Congo…”.
Quest’ultima citazione di un’autorità indiscussa come Ezio Bassani sembra di nuovo confermare
le mie “farneticazioni” scritte a caldo prima di consultare ogni bibliografia !
Una persona che mi conosce molto bene legge il mio scritto qui sopra e poi molto imbarazzata mi dice :
“E’ pesante. E’ troppo lungo. Ma soprattutto mi sembra che riveli un tuo lato di … (e qui ha esitato a lungo)… un tuo lato di feticismo”.
Sono trasalito. Aveva capito tutto.
Nello scrivere questo testo, nel rileggerlo, nello riscriverlo e infine nel faticoso lavoro di ricerca
di foto da affiancare alle immagini della fionda, sentivo oscuramente che c’era qualcosa che non andava bene.
Ma non capivo cosa fosse.
Lei lo ha capito subito.
E’ vero : un’analisi così appassionata di un semplice oggetto d’uso ha inevitabilmente profondi caratteri di feticismo.
Accarezzare, guardare a lungo nei minimi dettagli, annusare, di nuovo accompagnare con i polpastrelli ogni minima curva di un oggetto ….
tutte queste azioni sarebbero inevitabilmente diagnosticate dall’amico Stefano psichiatrO come sintomi inequivocabili di feticismo.
Non voglio negarlo e nemmeno giustificarmi.
Cercherò invece di sintetizzare in poche parole – aldilà dell’oggetto
che me ne ha offerto pretetsto – quello che sento e vorrei riuscire a comunicare.
Ho sempre pensato che in Africa scorre un fiume sotterraneo.
Questo fiume invisibile alimenta la civiltà egizia fin dall’altissima epoca delle prime dinastie e forse prima ancora delle prime Dinastie .. e poi i Fenici ed arriva attraverso l’Ellenismo e Roma e i grandi regni africani e poi l‘Islam e persino attraverso la dominazione coloniale e l’orrore dello schiavismo…. arriva fino ai giorni nostri.
Questo fiume, invisibile ma forse proprio per questo ancora più reale, nutre con la sua acqua –
che è la stessa da millenni, ma che pure porta tracce di ogni singolo giorno vissuto da ogni singolo individuo –
nutre tribù e popoli ed etnie, fabbri e falegnami e artigiani e scultori e intagliatori
e “artisti”che nulla sanno, e nulla hanno mai saputo – forse – di arte.
Forse.
Ecco : questa raffinatissima piccola scultura mi parla di tutto questo e mi conferma questa vaga,
non scientifica e non storicamente fondata – ma comunque per me assolutamente presente sensazione :
che ci sia nell’anima dell’Africa qualcosa dell’Egitto e poi della Grecia
e comunque qualcosa di ciò che costituisce i vertici della scultura di tutti i tempi.
E’ la bellezza – è l’ideale di bellezza – la vera anima,
l’acqua del fiume sotterraneo che alimenta da millenni la cultura dell’Africa.
Forse è la verità : un’adesione, aldila della rappresentazione, ad una verità profonda e irraggiungibile.
Mi affascinano talora, non sempre, alcuni oggetti – forse più per quanto io ci vedo e ci trovo, che non per quanto essi concretamente possiedano.
Molto spesso non sono nemmeno le opere d’arte, non sono nemmeno gli oggetti veramente “importanti” (religiosi, rituali, magici o destinati alle corti)
per le culture a cui sono destinati. Sono spesso oggetti minori, di importanza secondaria :
bamboline di fertilità, utensili quotidiani, cavalieri destinati a curare disturbi psichiatrici, monete antecedenti la monetazione.
E’ un mio limite, lo riconosco, ed è la mia una visione assolutamente non-oggettiva di quella realtà.
Ma è la mia e di questa soltanto io parlo.
Ne parlo poi, in fondo, soltanto a me stesso – e quindi questo mio non-scientifico divagante soliloquio non dovrebbe far male a nessuno.
Perciò ho anche tutto il diritto di emozionarmi per questa piccola fionda – che nel mio mondo e secondo i miei criteri –
è uno dei vertici assoluti di questo ideale di bellezza ‘classica’ e di verità profonda.
Non ci voleva un grande Psicanalista per diagnosticarmi di feticismo.
Una della categorie del mio sito è proprio intitolata “Objects I love”
e cos’altro è il feticismo se non amare (un po’ troppo) alcuni oggetti ?
Però amare gli oggetti per me significa anche – e forse soprattutto –
amare attraverso un oggetto uomini e donne di altri tempi.
Scoprire, conoscere e a volte amare chi quell’oggetto lo ha ideato, chi con le sue mani l’ha amorevolmente creato, chi lo ha posseduto e
per tanto tempo lo ha usato o indossato, chi per molti secoli se lo è passato di mano in mano e lo ha tanto amato e protetto
da riuscire a farlo giungere fino a me.
Un oggetto antico, un oggetto che ha vissuto per secoli è come un messaggio d’amore che viaggia attraverso lo spazio e i secoli.
E’ una macchina del tempo. Attraverso quell’oggetto io ho davanti a me la persona che lo ha creato e posseduto e amato.
Se come dice Woody Allen “masturbazione è sesso con qualcuno che amo”,
allora “feticismo è amore di una persona di altri tempi con cui dialogo attraverso un oggetto”.
Il Giappone ha una straordinaria teoria estetica – il Kintsugi – che di un oggetto giunto fino a noi valorizza proprio le fratture e i restauri,
che noi in Occidente consideriamo difetti. Per il Kintsugi una riparazione non celata, ma anzi evidenziata,
è la testimonianza del grande amore che il proprietario nutre proprio per quello oggetto.
Amore così profondo da voler conservare e riutilizzare una tazza, una ciotola, un vaso anche dopo che si è rotto.
Anzi : proprio perché si è rotto.
Anziché gettarla, il giapponese sceglie di restaurare una ciotola incrinata ed evidenzia spesso con foglia d’oro quel restauro,
per renderlo immediatamente visibile. Noi copriamo il restauro, cerchiamo di renderlo invisibile,
di mimetizzarlo sul resto della superficie di un dipinto o di una scultura. C’è, ma non si deve vedere.
Noi consideriamo l’incidente, il danno, la rottura come una colpa e quindi elemento che comporta la svalutazione dell’oggetto restaurato.
Il giapponese investe sull’oggetto rotto o rovinato per poter tornare ad usare proprio la tazza che si era rotta,
per poter continuare ad amarla, per esibirla con profondo rispetto, insieme ad altri oggetti intatti e preziosissimi, agli ospiti più importanti
in un’occasione ufficiale come la cerimonia del tè.
Intatta quella tazza era preziosa. Rotta ed amorevolmente restaurata è ancora più preziosa. Ancora più vera.
Dovremmo forse accusare di feticismo anche il concetto geniale del ‘Kintsugi’ ? Forse.
Io però penso che “Antiquariato” sia sempre ed inevitabilmente anche amore di uomini e donne di altri tempi,
oltre che – banalmente – amore di oggetti antichi.
Perciò se il mio è feticismo, è anche amore per l’umanità.
Amore del quale non vedo perché dovrei vergognarmi e da cui dovrei astenermi. Anzi.
Leggendo in Rete qualcosa sul “feticismo” inciampo su un sito straordinario.
Si chiama “Prismi. Pensieri filosofici” e lo scritto di Giusmanildo su “il Feticismo delle merci” è del 17 giugno 2013.
Non mi azzardo certo a riassumere un testo così profondo.
Chi vuole può leggerlo qui :
http://prismi.wordpress.com/2013/06/17/sul-feticismo-delle-merci/
Questo scritto ponderoso, questo pensiero critico brillante e profondo, termina però
con una sorprendente lettura di un film che ho molto amato : “La vita è bella” di Roberto Benigni.
Tutti lo ricordiamo, ma nessuno di noi forse è mai arrivato alla luminosa ipotesi di Slavoj Zizek :
La storia di Benigni ne La vita è bella doveva essere completata così:
il padre che allestisce l’improbabile mascherata per illudere e salvare il figlio,
riesce nell’intento solo perché in realtà è il figlio stesso che,
avendo capito tutto e avendo capito quale amore spinga il padre a fingere,
finge di credergli per salvarlo dalla disperazione.
Se poi il padre ha capito che il figlio ha capito, e finge di non aver capito,
saremmo proprio nel bel mezzo di una commedia degli equivoci davvero divina,
dove non si sa più chi tutela chi, dove l’apparente complementarietà delle relazioni
nasconde la loro simmetria profonda e dove domina una spiritualità santa.
Grazie Slavoj Zizek: un’ipotesi semplicemente geniale.
Feticismo ? Forse.
Rimbambimento senile ? Sicuro.
Ma oltre che rimbambito, più che mai imbranato con tutto ciò che è tecnico e manuale.
Incapace persino di fare una foto col cellulare.
Perciò un grande “Grazie!” devo ad Aurelia Ulinici che ha fotografato per me non solo la fionda “Kore Baulè” di cui ho scritto qui sopra,
ma anche quasi tutti gli altri oggetti dei post precedenti.
Senza il prezioso aiuto di Aurelia, non avrei potuto scrivere e pubblicare queste mie farneticazioni.
Per molti sicuramente non sarebbe stata una grave perdita.
Ma avrebbe reso la mia vita molto meno piena e appassionata.
Grazie Aurelia !
Forse non c’entra molto con quanto scritto finora. Trovo però su un quotidiano di oggi –
il Sole 4 ORE di domenica 3 agosto 2014 -
una frase bellissima di Willimn Blake.
C’entri o non c’entri voglio qui proporla a chi mi legge :
Ho cercato la mia anima
e non l’ho trovata.
Ho cercato Dio
e non l’ho trovato.
Ho cercato mio fratello
e li ho trovati tutti e tre.
“Un certo grado di feticismo è abitualmente presente nell’amore normale,
specialmente in quei suoi periodi nei quali
lo scopo sessuale normale non sembra raggiungibile
o la sua realizzazione non sembra vicina”.
Sigmund Freud
Touché.