Grazie, Roberto.
Mi chiede oggi un carissimo amico delle immagini per illustrare questo netsuke giapponese :
Gli avevo dedicato anni fa due articoli.
Il primo “Lo zio Job a cavallo. Kosekiko” si può leggere qui :
http://www.francobellino.com/?p=1135#more-1135
Il secondo “Cenerentolo cinese con la fissa della puntualità. Kosekiko”
è ricco di notizie storiche e di straordinarie immagini. Si trova qui :
http://www.francobellino.com/?p=1163#more-1163
La richiesta di oggi è uno splendido pretesto per riprendere la ricerca.
La giornata è splendida. Il Canal Grande qui sotto è così invitante che mi ci tufferei.
Non volendo rischiare potrei comodamente pescare dalle finestre.
Mi tuffo invece nel Web ed ecco cosa ho pescato, partendo dalle prede meno pregiate
per salire via via di antichità e qualità.
Kuniyoshi
Litografia 1852-1853
Inro.
Lacquer, kinji, gold, silver,black and brown hiramakie, kirigane, metal inlay.
Interior : nashiji and fundame. (8,7×5,8×2,3 cm). 19th century
Kunisada.
Litografia 1827 circa
Utagawa Toyokuni
Litografia 1800 circa
Torii Kiyonobu II
Litografia circa 1750
Foglio sinistro di un dittico che mostrava forse nel foglio di destra Choryo che porge la scarpa caduta nel fiume.
Korin Ogata
1700 circa
Litografia n.24 dal volume 19 di “Selected Relics of Japanese Art”(Nippn Shimbi Kyokwai) 1899-1908
Tsunenobu
Dipinto, pagina di album 26.8 cm x 43.0 cm
1681 circa
Con questo ultimo straordinario dipinto e con i due dettagli
del piede doverosamente nudo (niente fantasmini) del vecchio saggio a cavallo
e dell’eleganza del coraggioso generale che porge lo stivaletto con una grazia che non saprebbero eguagliare
nemmeno nella galleria d’arte di Caovilla qui a Venezia che espone sculture come se fossero scarpe
.. per oggi mi fermo.
Forse ho accontentato Roberto. Certo mi sono veramente divertito io.
Qualcuna cinicamente mi fa notare : Chi si contenta ….
Ciao Franco, il tuo testo qui sopra è carino. Peccato che l’autore (dev’essere un narciso-narciso)
ritagli tutti gli articoli addosso a se stesso anziché lasciare al lettore la scelta di cosa voler trattenere di quanto gli è stato scritto.
Perché si scrive per il lettore vero ?
Certo chi ha letto il tuo “Cenerentolo cinese” si starà chiedendo cosa c’era scritto (o non) sul rotolo,
se la scarpa c’è o non c’è e cosa significa questa benedetta scarpa ….
ma queste sono domande che uno si può fare al sabato mattina in attesa dell’ora di pranzo, altrimenti altre cose pretendono la precedenza.
Franco, Franco …. non tutti hanno la fortuna di stare alla finestra sul Canal Grande !
Buona giornata
R
caro R
ti rispondo a nome dell’Autore. Lui (maiuscolo) pensa che quando scrive sia suo dovere (prima ancora che piacere)
dare al Lettore qualcosa che il Lettore non troverebbe facilmente su testi o Wikipedia.
Qualcosa di vero e di utile.
Le lezioni (quelle delle scuole elementari o anche quelle universitarie) e le conferenze e gli articoli di divulgazione
una volta erano fatti da chi aveva studiato un tema e, dopo averlo (ma non sempre) digerito,
lo rigettava (ops, meglio ‘lo trasferiva’) a chi non aveva letto.
Poi si è scoperto che erano molto più coinvolgenti e utili i docenti che lasciavano agli studenti il compito di leggere e informarsi –
cosa che chiunque se appena appena interessato può fare o ha già fatto da solo –
e loro invece insegnavano un metodo, uno stile di ricerca e di studio.
Trasmettevano non solo nozioni, ma emozioni. E grazie alle emozioni, motivazioni.
Così l’Autore di questo “Cenerentolo cinese” quando scrive cerca di dare sempre qualcosa di suo, qualcosa di nuovo,
qualcosa che il Lettore non troverebbe altrove.
Anche il Lettore che conosce la materia meglio di lui, deve però trovare qualcosa che persino lui ancora non sa.
Non è facile perché anche l’Autore ha letto alcuni testi e sa consultare il web,
e quindi anche lui potrebbe cavarsela rapidamente e brillantemente rigettando
(ops) trasferendo il già-scritto-da-altri. Un po’ di copia-e-incolla, qualche brillante citazione e il gioco sarebbe fatto.
Lo fanno in molti. Non è difficile farlo bene e soprattutto non si rischia mai nulla. Sarai banale, ripetitivo, noioso, ma non sbagli.
E invece no : l’Autore di questo ‘Cenerentolo cinese’ ha paura di non sbagliare.
Perciò prova sempre a dire-e-dare qualcosa di nuovo,
qualcosa che qualcuno non ha mai detto-e-dato prima
perché solo così gli sembra di essere onesto, vero e se possibile, utile.
Ovviamente rischia : non puoi esplorare nuovi orizzonti, cercare sensazioni mai prima provate,
suscitare emozioni persino in persone sconosciute, scendere nel profondo
e pretendere la sicurezza di non sbagliare. L’errore è sempre doverosamente in agguato.
Il processo creativo è un viaggio. Nessuno ha mai descritto questa passione per la Creatività
meglio di Joseph Campbell nel suo “L’eroe dai mille volti”, reinterpretato poi come “Il viaggio dell’eroe” da Cristopher Vogler.
Questa non è una citazione : è il riconoscimento e il ringraziamento ad uno dei veri pochi grandi Maestri incontrati in questo mio viaggio.
Parentesi : (dato che parlo di Maestri, ne approfitto per citare qui i veri Maestri che ho avuto la fortuna di incontrare :
Mario Miccinesi, professore di Storia e Filosofia al ‘Berchet” di Milano. Esordi il primo giorno del primo anno, dicendo :
“Ragazzi, io dovrei fare con voi Storia e Filosofia. Ma non posso farli bene tutti e due. Perciò farò solo Filosofia. Storia la farete da soli.
Di Filosofia dovrei fare dai Presocratici ai giorni nostri. Non posso fare bene tutto questo programma. Per tre anni farò solo Platone. Il resto lo farete da soli”.
Oggi una decisione così temeraria di un Professore provocherebbe rabbiose reazioni di genitori
pronti a difendere i loro cuccioli se stuprano una ragazzina minorata o denudano un compagno indifeso
e poi lo sputtanano (in realtà, si sputtanano) sul web.
“Sono ragazzi”, direbbero, giustificando tutto e contestando le doverose punizioni scolastiche.
“Però il programma ministeriale va rispettato, perbacco !” avrebbero detto.
“Se il Professore non ha voglia di lavorare, mandatelo a casa” avrebbero detto.
Invece i genitori di quegli anni non dissero nulla perché seguivano un’altra etica
(ammesso che per certe decisioni dei genitori di oggi di ‘etica’ si possa parlare).
Agli esami di maturità la ‘Terza E’ del professor Miccinesi
(la sezione “E” fu aggiunta all’ultimo momento per sovrabbondanza di iscritti e con insegnanti improvvisati, tra i quali per Religione don Giussani)
ebbe, tutta la classe non solo i migliori, una media dell’8 sia in Storia che in Filosofia.
E in quegli anni alla Maturità si portava tutto il programma dei 3 anni in tutte le materie !
Cito al volo solo i pochi altri che riconosco e ringrazio come Maestri :
Mario Fattori, Enzo Paci, Edo Cacciari, Cesare Musatti, Renato Job, Tonino Guerra
e ultimo, ma solo in ordine di tempo, Giovanni Covini). Chiusa parentesi.
In ogni processo creativo, in qualsiasi attività umana (dallo scrivere al recitare, al danzare, al fare musica,
all’interpretazione di un testo o di un ruolo, alla creazione in cucina di una nuova ricetta, di un nuovo profumo, sempre insomma)
l’errore è sempre doverosamente in agguato e sempre orgogliosamente sfidato.
Ha detto un grande : “Se rischi, puoi toppare. Se non rischi, toppi garantito”.
Chi legge qualcosa di creativo, giusto o sbagliato che sia, dopo aver letto potrebbe essere stimolato
ad affrontare il suo lavoro, i suoi rapporti umani, la sua vita con uno spirito meno nozionistico e didascalico e più personale.
Potrebbe cercare,rischiando,di vivere più intensamente la verità della sua vita che può essere in ogni istante ricca di sempre nuove emozioni.
Potrebbe. E, potendo, dovrebbe. Forse.
Che poi è curiosa questa cosa dell’errore. se è vero che è dagli wrrori che impariamo non dovremmo chiamarli maestri? Lusingato quindo di essere definito un tuo errore, posso dire di considerarti alla stessa stregua.
ricordo un bellissimo incontro con te, in via Torino a Milano, nel quale volevo sapere da te come si potesse arrivare alla tua età con la tua serenità. Deduco che tu abbia commesso centinaia di formidabili errori. Per quello sei così bravo!
Beh, anche tu, carissimo registrO, come errori non ti fai mancare nulla : wrrori … quindo …
“Bravo” magari no, ma “Bellino” abbastanza
Ritengo che si debba scrivere per se stessi e solo in secondo luogo per il lettore. Molti scrivono per il puro piacere di farlo,per giocare con le parole, oppure per non andare dallo psicoterapeuta, in quanto si tratta di un atto estremamente introspettivo. Lo dimostra il fatto che tantissime persone scrivono libri (romanzi o poesie), che non provano neanche a far pubblicare, li custodiscono semplicemente nel cassetto, come un tesoro. Scrivendo esterniamo il nostro essere, il nostro punto di vista,le nostre percezioni, i nostri desideri o fantasie, le nostre insicurezze e ciò che più ci spaventa. Sono i più coraggiosi quelli che scrivono per intrattenere, per trasportare gli altri nel proprio universo, per far vedere a tutti le cose con i propri occhi, anche solo per un attimo. In questo caso, non credo che l’obiettivo debba essere quello di insegnare (termine che si apre a svariate interpretazioni, ma che in ambito letterario, a quanto so, si riferisce alla stesura di guide e manuali), piuttosto quello di offrire spunti di riflessione.
Verissimo, Ginevra.
Scrivo sperando di offrire spunti di riflessione. Ma soprattutto sperando di aprire un dialogo, con tutti, su tutto.
Grazie.
Leggendo la curiosa storia di Kosekiko e Choryo, mi sono interrogata sul suo significato.
Apparentemente la morale sembra insegnare di fare del bene per riceverne, ma ho voluto darle un’interpretazione più allegorica:
Il giovane generale Choryo era stato sconfitto in battaglia, aveva perso la carica di governatore e si era dato ai vagabondaggi;
era dunque sottomesso alle difficoltà della vita, si sentiva un essere miserabile, in totale smarrimento. Questo è il nostro background.
Improvvisamente incontra il vecchio Kosekiko, che io identifico con il suo alter ego,
il quale simboleggia le cose sopra citate, ovvero il suo venir meno di forza d’animo (la vecchiaia).
Il vecchio perde la scarpa ed è impossibilitato a proseguire il viaggio, perde la strada, in senso più ampio perde la giusta via
(come tu hai giustamente fatto notare nel “Lo zio Job a cavallo”, l’anziano si trova in una posizione scomodissima,
in precario equilibrio, sull’orlo di una rovinosa caduta). La scarpa cade nel fiume ed il rischio è che venga trascinata via dalla corrente,
quindi il pericolo è che Choryo possa essere malamente trascinato dalla società e dagli eventi.
Invece il giovane recupera la scarpa (ritrova la strada) grazie alle sue buone qualità:
gentilezza, educazione, rispetto, bontà, spirito di sacrificio, generosità; ma queste da sole non bastano.
Per ricevere la sua ricompensa, dovrà imparare la disciplina e la perseveranza per poter accedere alla conoscenza e al successo (il manoscritto).
Manca ancora qualcosa.. il cavallo ?
Mi sono ricordata che in cinese, cambiando l’accento al carattere 马 (cavallo), si ottiene facilmente 妈妈 (mamma);
perciò ho pensato che il cavallo possa rappresentare la famiglia, la quale ci segue e ci supporta,
ma non può sempre dirci quale strada intraprendere.
Bellissimo pensiero, Ginevra.
L’idea che Kosekiko e Choryo siano due aspetti di una stessa persona, l’uno l’alter ego dell’altro,
è davvero inattesa, brillante e molto molto intrigante.
Questa ipotesi del “doppio” è talmente geniale e calzante che mi viene il dubbio che forse, senza di te,
io avrei clamorosamente mancato un testo o sottotesto fondamentale della mia storia.
Un “Grazie!” sincero.
Il tocco finale poi della tua interpretazione del cavallo che come la famiglia per un giovane
“ci segue e ci supporta, ma non può sempre dirci quale strada intraprendere”
aggiunge un delizioso ed auto-ironico scintillìo di autobiografica cronaca familiare.
Ho scritto qui sopra : Chi legge qualcosa di creativo, giusto o sbagliato che sia, dopo aver letto potrebbe essere stimolato
ad affrontare il suo lavoro, i suoi rapporti umani, la sua vita con uno spirito meno nozionistico e didascalico e più personale.
Potrebbe cercare, rischiando, di vivere più intensamente la verità della sua vita che può essere in ogni istante ricca di sempre nuove emozioni.
Potrebbe. E, potendo, dovrebbe. Forse.
Trovo proprio ora un’ironica conferma in alcune righe che Bruce Chatwin nel 1973 dedica a Freud in “Anatomia dell’irrequietezza” (Adelphi pagina 203) :
“Freud ha detto cose molto originali e profonde sul feticismo. Se riuscissimo a scandagliarne la profondità
potremmo scoprire o che sono senza senso o che danno una risposta a tutti i nostri grattacapi economici e problemi morali”.
Geniale questa potenziale e non risolta alternativa tra cose senza senso oppure soluzione a problemi non solo economici, ma esistenziali.
Se solo riuscissimo a scandagliare non solo Freud, ma ogni cosa in profondità ….