Un anno Franco regalò a tutti i compagni di squadra dei pantaloncini da gioco dotati di tasca.
La leggenda non dice se fornì anche fazzolettini di carta.
Però la leggenda dice che la classe non è acqua e non lo è mai stata.
Per tre anni consecutivi (anche se in uno di quei tre anni la sua squadra il ‘CUS Milano’
finì l’intero campionato Juniores senza vincere nemmeno una partita. L’anno successivo fu scudetto, però)
Franco venne nominato MVP. Da qualche parte ci sono ancora le relative medaglie.
Franco, forse anche per essere stato a Varese allievo di Vittorio Tracuzzi e Ciccio Zucchi, era la stella della squadra.
‘Play’ con una media di 18 punti a partita, quasi tutti in entrata perché tirare da lontano è faticoso
e richiede ore di noioso allenamento.
A quei tempi la società forniva ai giocatori solo la maglia da gioco.
Tuta, pantaloncini, calze e scarpe se le comperava ogni giocatore.
I palloni per giocare la partita li portava la domenica la squadra di casa.
Una mattina che a Milano nevicava, Franco si trovò al campo di Lambrate, in cemento e all’aperto,
unico presente di tutta la sua squadra. Nevicava. “Perché uscire di casa ?”
avevano pensato tutti i suoi compagni, allenatore compreso.
Franco però doveva portare i tre palloni per la partita e quindi era puntuale sul campo,
insieme a tutta la squadra ospite (venivano da fuori città e là non nevicava) e all’arbitro.
Finì che si fece partitella tra i presenti, l’arbitro giocò con noi ragazzi e prese anche (in silenzio)
le doverose gomitate sotto canestro.
Ma la storia è un’altra.
Un anno Franco regalò a tutti i suoi compagni di squadra dei pantaloncini da gioco dotati di tasca.
Perché ?
Perché non solo gli faceva schifo soffiarsi il naso con le mani, come ancora oggi usano i miliardari calciatori,
filmati in Tv a beneficio di milioni di telespettatori *,
ma gli dava fastidio anche vedere i suoi compagni che lo facevano.
Ecco il perché del regalo a tutti i compagni di gioco, titolari e panchinari, di pantaloncini nuovi dotati di tasca.
La leggenda non dice se fornì anche fazzolettini di carta.
Però la leggenda dice che la classe non è acqua e non lo è mai stata.
Lo conferma il Corriere della Sera proprio oggi, giovedì 21 maggio 2015 a pagina 53.
La classe non è acqua. A volte è champagne.
Gran polverone al Giro d’Italia per un corridore, Simon Clarke, che con settecentesca cortesia aiuta un avversario in difficoltà. Non doveva farlo. Viene penalizzato. Rischia la squalifica. Ha dovuto persino pubblicamente pentirsi di essere stato un signore. Scrive Paolo Di Stefano : “Pentirsi di un atto di generosità è peggio che non averlo mai fatto”.
Però Aldo Moser, 80 anni, mitico oggi come allora, ricorda :
Una borraccia buona? La migliore me la passò un grande avversario, Jacques Anquetil. Eravamo alla Cuneo-Pinerolo,
a metà di una salita dritta come una spada e avevo una sete terribile. C’era vicino a me Anquetil.
Vedo sua moglie al bordo della strada che gli passa una borraccia. Io non avevo da bere, gliela chiedo.
“Occhio che dentro c’è champagne”, fa lui. “Meglio così”, gli dico.
Era bello fresco, mai bevuto uno champagne così buono.
*
Per gli stessi motivi di allora, l’Autore decide oggi di NON arricchire questo testo
con nessuna delle molte repellenti immagini disponibili in rete e quotidianamente in Tv ad ogni incontro di calcio.
Parlando di classe, ecco il sublime understatement di un regista di classe.
Woody Allen da Cannes :
“Scelgo sempre grandi attori perché non occorre dirigerli. Basta non disturbarli.”
Ci sono premi che vengono dall’esterno, come medaglie coppe e onorificenze. E premi che vengono dall’interno. Il premio più essenziale di una vita è viverla. Essere presenti alla vita che ci chiama e che fa l’amore con noi ogni minuto. Aprire la porta ed essere lì. Il segreto? Lo conosce Franco: non giudicare il fatto che nevichi. Accettare la neve. Accettare le responsabilità dei tre palloni da portare. E il ciclista pure conosce il segreto. Aiutare un caduto che poi e soltanto poi è un ciclista. Che poi e soltanto poi è un avversario. Essere presenti ogni istante . Il resto dei premi lo danno gli uomini e le istituzioni. Vincere è un incidente che capita. Ma poi si supera..
…e comunque scrivi come un dio greco.
Nel racconto che hai fatto, la figura dell’arbitro si stacca dal contesto generale e dimostra il senso di responsabilità di questa irrinunciabile figura, presente in perfetto orario per far giocare la partita, nonostante la neve. Essendo anche io arbitro mi ricordo diverse situazioni analoghe, partite giocate in campi all’aperto sotto la pioggia e una volta addirittura in notturna nel mese di febbraio. Per quanto ti riguarda, fin da piccolo hai dimostrato di possedere quel senso estetico del bello : conoscendoti, non mi hai stupito !!! Ciao, Enzo
Bravo ! Non sapevo questa storia.
Credo che quel giorno a Lambrate tu giocasti al Campo Schuster proprio quello dove io porto Pietro a palleggiare
perché è in cemento, solo coperto da una tettoia. Può essere? La prima volta che vieni a Milano andiamo a vederlo.
Bruna
La leggenda delle “braghe bianche con la tasca” avvenne quando ero ”vecchio” ormai.
Avevo 19 anni, ero “copywriter” tra i Creativi della più famosa agenzia di pubblicità,
studiavo (frequentando poco) Filosofia alla Statale con Paci, Dal Pra, Geymonat, Casari e Musatti
e mi ero iscritto ad una scuola serale. Gli allenamenti erano più quelli che saltavo.
Però la gloria del passato e la genialità negli assist al pivot Masini mi evitava la panchina alla domenica.
Ma era il tramonto. Il tramonto di una leggenda del basket.
Però il vero tramonto accadde circa 40 anni dopo.
Un pomeriggio di autunno porto Giovanna a vedere dove per anni ho giocato
con la maglia verdenero del mitico “Lamber Basket Club” del Centro Cardinal Schuster,
gestito allora dal dinamicissimo Padre Lodovico Morell S.J.
Non c’è nessuno, il campo è deserto, ma hanno dimenticato un pallone lì sotto il canestro.
Tolgo la giacca, mi avventuro prima timidamente poi sempre più libero e felice in una serie di tiri …
Prima da fuori, poi provo alcune entrate a canestro (tanto non c’è nessuno a difendere)…
sottomano, con la destra e anche la sinistra … terzo tempo .. sospensione …
sui rimbalzi azzardo elegantissimi uncini (non era ancora arrivato Dan Peterson a chiamarli ‘gancio cielo’) ..
insomma quasi tutto il mio repertorio d’antan.
Si avvicina un bimbetto sui nove-dieci anni.
E’ circa dieci minuti che mi osserva in silenzio. Approfitta di un momento in cui mi fermo per tirare il fiato,
mi guarda ben bene e poi con sincera ammirazione mi chiede :
“Lei.. lei da giovane giocava ?”
Da giovane !
Da giovane giocavo ?
L’autunno dorato è diventato fulmineamente inverno.
Carissimo,
finalmente ho trovato il tempo di leggere il link. Non ci crederai ma in questo periodo a scuola di cinema sto lavorando spesso mattina pomeriggio e sera dalle ore 9 alle 22, purtroppo non faccio altro, la vena creativa documentaristica mi si è un po’ appannata, e la smaltisco tutorando i giovani allievi. Ad ogni modo non ho arguzie particolari sullo scritto, a parte riconoscere la vecchia penna, anche se, se posso permettermi, trovo un pochino pretestuoso l’accostamento tra basket e ciclismo. Per me non si scherza, sono un talebano, il basket è una religione e anche un po’ una psicoterapia. Come sai ho iniziato a giocare a 8 anni all’oratorio dell’Isola Garibaldi, quindi a metà degli anni ’60, quando tu avevi smesso da un pezzo, anche se riconosco nel tuo scritto atmosfere vissute. All’inizio degli anni ’70 la mia squadra nella categoria Cadetti FIP batte il Simmenthal, quella dei fratelli Boselli, quando facevo la prima liceo, anche se io ero un panchinaro e entrai in campo per pochi minuti nella finale, poi arrivammo secondi ai Nazionali battuti da La Salle di Torino, mentre invece portai da titolare playmaker il liceo Cremona al trofeo studentesco dei licei milanesi del biennio con una ventina di punti nella finale al Palalido. Posso solo ricordarti però (facendoti morire d’invidia) che continuo a giocare tutti i venerdì sera, proprio a Lambrate al centro Schuster, però nel palazzetto, con un gruppo di una decina di “over 40″. Sono il più vecchio ma spesso tra i migliori (dopo un pessimo penultimo venerdì da 2 su 20, il peggiore da molte stagioni, l’ultimo venerdì ho brillantemente avuto una media sopra il 50%, un trentina di punti con il canestro decisivo, quello del 74 a 70… (si arrivava ai 70 con due canestri di vantaggio). Dopo 50 anni di gioco, una gioia quasi fanciullesca mi invade quando vedo che il tiro dai 5/6 metri entra con continuità scatenando l’incazzatura degli avversari. Ogni partita qualcuno si fa male, perché meniamo come fabbri, ma nessuno si tira indietro e spesso le bestemmie fanno arrossire il cardinale padrone di casa…
Un abbraccio
Tonino
Tonino qui sopra mi rimprovera per l’indebito accostamento tra basket e ciclismo.
Ma il leit-motiv che ha dettato l’accostamento era “la classe non è acqua”.
Scoprire lo champagne nella borraccia di Anquetil era un’occasione troppo bella per lasciarsela sfuggire.
Un altro eccelso esempio di classe me lo regala Claudio Colombo sul Corsera di lunedì 25 maggio.
Titolo “Mezzo secolo di mistero sul pugno fantasma di Alì”.
Mitico incontro tra Muhammad Alì e Sonny Liston E’ la sera del 25 maggio 1965 per il campionato mondiale dei pesi massimi.
Dopo 1 minuto e 44 secondi dall’inizio del match Liston si affloscia al tappeto come se fosse stato colpito da un missile terra-aria.
Tenta di rialzarsi, si riaffloscia, poi a fatica si rimette in piedi.
La gente si guarda stranita : che cosa è successo ?
La storia di un pugno mai dato o forse soltanto mai visto.
Non lo videro dal vivo i 2.434 spettatori paganti che stavano attorno al ring.
Non lo vediamo noi oggi che, connessi con Youtube, passiamo e ripassiamo i dieci secondi fatali
di quello che è stato definito ‘il match del pugno fantasma’.
Fin qui la cronaca, ma ecco il genio : molti anni dopo, davanti a un plotone di giornalisti,
Alì brillantemente spiega la sua personalissima teoria del pugno-fantasma :
“Nessuno ha visto quel mio pugno ? E’ perché tutti gli spettatori, contemporaneamente hanno sbattuto le ciglia. Ecco perché”.
2.434 spettatori che battono le ciglia contemporaneamente : questo è il genio.
Come dice il Perozzi in “Amici miei” prima di una zingarata nata all’improvviso :
“Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”.
Se c’era necessità di una conferma, Alì è stato un genio, non solo della boxe.
Cito la cronaca di Richard J. Doherty del 9 giugno 1975 :
Alì parla a 1.1000 studenti dell’esclusivissima Università di Harvard.
Inventa, parlando del valore dell’amicizia, quella che diventata poi famosa come la poesia più corta del mondo :
“Io. Noi.”
Sul divertentissimo blog di Daniela Montieri, leggo pochi minuti fa questo surreale scambio di battute :
Daniela
Ho fatto un sogno. Assurdo, ovviamente.
Era stata appena approvata una nuova regola che segnava un’altra grande vittoria a livello internazionale sulla lunga e tortuosa strada verso la parità dei sessi: finalmente anche le giocatrici donne potevano fare pipì in un secchio come gli uomini durante le partite di basket.
Mentre riflettevo sull’importanza di questa notizia, arrivavo a casa di Laura Grazioli e la trovavo nel suo salotto che ne stava disquisendo con trasporto con Alessia Marcuzzi, la quale aveva sempre sentito moltissimo questo problema.
Marco
Mio figlio gioca a basket da anni, lo porto sempre agli allenamenti con la sua sacca e il suo secchio.
Franco, cioè io :
Ho giocato a basket per anni. Non male, pareva. Vedi : http://www.francobellino.com/?p=2068#more-2068
Però giuro quello della pipì non è mai stato un problema. Forse perché allora gli spogliatoi erano dotati anche dei cessi. Oggi no ?
En passant : in campo ne scendono 5, in panchina ce ne sono una decina a referto.
Qualsiasi giocatore, anche se MVP, può sempre assentarsi dal campo per qualche minuto.
Quella del papà poi che accompagna il figlio agli allenamenti e gli porta lui la sua sacca e il suo secchio (ma è una battuta, l’ho capito) se fosse vera, sarebbe geniale.
“Leggenda non si nasce : leggenda si diventa”.
mi ricorda oggi in TV lo spot di Jeep Cherokee.
Infatti …
19 Giugno 2019. Scrive Giogio Dell’Arti e totalmente con divido :
Perché le calciatrici – qualunque sia la loro nazionalità – non si grattano le parti basse, non simulano,
non si tirano volutamente calci negli stinchi,
non fanno casino se l’arbitro commette un’ingiustizia palese (il rigore di ieri sera alle brasiliane),
non sputano, non bestemmiano, eccetera eccetera ?
.. e non si soffiano il naso con le mani ? aggiungo memore.
Per il fastidio (schifo ?) di vedere giocatori in campo che si soffiano il naso nelle dita, io ho regalato i pantaloncini con le tasche
a tutti i miei compagni di squadra (vedi il testo qui sopra), ma un simpaticissimo calciatore, scomparso purtroppo pochi giorni fa,
ha avuto un’idea ancora più geniale.
Si chiama (perché per un campione e per un poeta si usa sempre il presente) Ezio Vendrame, detto “Sandokan”.
Durante una partita di campionato lui ha usato la bandierina del calcio d’angolo come un fazzoletto per soffiarsi il naso.
E l’ha fatto proprio sotto la curva dei tifosi avversari. E poi, dato che c’era, da lì – dal corner – gli ha segnato un gol !
La storia dell’intero episodio è così divertente che merita riportarla per intero.
E’ il 9 maggio 1977, la partita è Padova-Udinese. Vendrame gioca adesso nel Padova, però in passato ha giocato nell’Udinese.
L’Udinese è seconda in classifica e potrebbe ancora vincere il campionato perché ha solo un punto in meno della Cremonese capolista.
Il Padova invece non ha particolari interessi di classifica. Nella settimana prima del match un dirigente dell’Udinese
contatta Vendrame per “comprare” una sua prestazione scadente. “Se tu non giochi al massimo, noi ti diamo 7 milioni”.
Sette milioni è una gran bella cifra. I giocatori del Padova ricevono i premi federali al minimo : 22.000 lire al punto.
Vendrame può dunque scegliere : 44.000 lire per vincere, sette milioni per perdere.
Pensa :
“Ho giocato male tante volte in vita mia senza che nessuno mi abbia mai dato nulla,
figuriamoci se non posso giocar male una volta in più per sette milioni”.
Accetta.
Il malloppo gli sarà consegnato il lunedì successivo.
“Mi sentivo confuso – scrive Vendrame, nel suo libro che è tutto un programma solo dal titolo : “Se mi mandi in tribuna, godo”.
Avrei tradito i miei compagni, l’allenatore Toni Pin, i tifosi, ma soprattutto la mia coscienza”.
Lo stadio Appiani quella domenica è stracolmo di pubblico, quasi tutti tifosi dell’Udinese.
Confessa Vendrame : “Fu quel pubblico di ingrati conterranei, come entrai in campo, mi coprì di improperi e di insulti”.
Questo non dovevano proprio farlo !
Vendrame si ribella. In nome della sua dignità rinuncia ai 7milioni7 e trascina il Padova alla vittoria segnando due gol.
Una delle sue reti la fa direttamente su calcio d’angolo : sistema bene il pallone sulla lunetta,
si soffia il naso con la bandierina del corner, (“Vi pare bello vedere quei giocatori che si puliscono il naso con le mani?
Ero lì per battere un calcio d’angolo, e mi sembrò più fine, se vuoi anche più educativo, usare la bandierina come fazzoletto”)
e infine sfida i tifosi friulani : “Adesso vi faccio gol da qua”. E fa gol !
Imperdibile raccontato da lui, al parziale 13’18” di questo film : https://www.youtube.com/watch?v=nX9dj4V_8BY