Perché uno zan par è un oggetto bellissimo, prezioso, raro e soprattutto vero.
Perché è stato creato con grande amore e infinita devozione.
Perché condensa secoli e secoli di civiltà e migliaia di libri di religione, medicina,
storia, sociologia, etnologia, miti e leggende, terapie scientifiche e superstizioni
animistiche : tutto e anche più di questo in pochi centimetri scolpiti su un unico
blocco di legno che tu puoi tenere in mano.
Perché ogni zan par è un oggetto nato non per essere venduto, ma per essere affidato
ad un uomo santo, che lo avrebbe usato per molti riti diversi e sempre religiosamente conservato, avvolto in sacri tessuti.
Ogni zan par è uno strumento di preghiere e di riti vivi da millenni (Erberto Lo Bue ragionevolmente mi suggerisce nel suo
commento qui sotto di sostituire “millenni” con “secoli”)… riti vivi da secoli e vivi ancora oggi.
Perché quasi sempre il tuo zan par è stato un giorno furtivamente nascosto e poi pericolosamente portato con sé da un Lama
in fuga dal Tibet verso il Nepal o l’India.
Perché contiene decine, a volte centinaia di immagini incise : queste figure sono
stampi per creare offerte rituali, spesso offerte simboliche in sostituzione di oggetti o animali reali.
Perché ogni immagine che appare su uno zan par ha una sua storia, un suo significato millenario, una sua precisa funzione, che può essere religiosa e rituale, ma anche sociale o terapeutica : per guarire determinate malattie e per risolvere concretissimi problemi di salute sia fisica che mentale, sia di un individuo che di un’intera comunità.
Perché insomma lo zan par che tu hai in mano racchiude come in uno scrigno
l’anima di un intero popolo e quest’anima, se tu hai la pazienza e l’umiltà di ascoltarla, quest’anima ti parla.
Certo tutto questo vale se quello zan par è un vero zan par.
Non vale invece se è un oggetto fatto solo per essere venduto a turisti curiosi,
affascinati dal mistero di un oggetto esotico.
Ecco allora alcuni ‘trucchi’, alcuni segreti nati da anni e anni di viaggi e di esperienza,
meglio, ecco alcuni criteri per scegliere – quando ne avrai l’occasione – un vero zan par :
Se non puzza, puzza.
Per riconoscere un vero zan par chiudi gli occhi e annusa.
Un vero zan par puzza. Puzza come puzza uno yak, come puzza il burro rancido,
come puzza a volte la vita quando è vera.
Dopo il naso, le dita. Un vero zan par chiede di essere accarezzato.
Non puoi guardarlo con distacco, freddamente : il tuo zan par ti chiede che tu
lo sfiori a lungo con la punta delle dita. In silenzio, a occhi chiusi religiosamente.
Un vero zan par parla alle tue dita perché è liscio come la seta più preziosa.
Giudica se uno zampar è vero con il naso prima di tutto, a occhi chiusi.
Giudicalo con la punta delle tue dita subito dopo, sempre a occhi chiusi.
A occhi chiusi la concentrazione è più intensa: lo zan par ti parla e tu riesci ad ascoltarlo.
Soltanto dopo il naso e dopo le dita, soltanto se puzza ed è liscio come la seta,
allora puoi aprire gli occhi e giudicarlo. A lungo.
Vedi, senti, percepisci con tutti i tuoi sensi e con tutta la tua sensibilità
che quello zan par è stato scolpito con amore, con sincera passione,
con rispetto, con devozione, con profonda fede ?
Non c’è bisogno di essere un critico d’arte per vederlo,
non c’è bisogno di conoscere la religione tibetana per capirlo.
Chiunque lo vede e lo capisce immediatamente
perché la verità parla immediatamente a tutti.
Guarda la più piccola, la più semplice delle figure.
Basta una sola figura per giudicare uno zan par
che pure di figure ne ha decine, a volte centinaia.
In un vero zan par nulla è rozzo e grossolano, nulla è approssimativo, nulla è frettolosamente inciso. Nulla è solo decorazione o approssimazione. Questo lo vede anche l’occhio più inesperto, lo vede anche un bambino. Lo vede persino un non vedente perché al cieco e alla sua raffinatissima sensibilità, prima ancora che ad un vedente, l’odorato e il tatto hanno già rivelato la verità.
Se puzza, se è come seta, se ogni più piccola figura è incisa con infinita cura e passione,
allora quello zan par è “buono”, cioè vero.
Un vero zan par è stupendo perché è vero.
Un vero zan par è vero perché è stupendo.
Uno zan par è vero e stupendo perché è setoso e puzza.
Se non puzza, puzza.
As someone who is passionate about zan par – I agree with Franco, one needs to experience this beautiful wooden object by using one’s senses. No knowledge of Tibet, the Bon faith or Buddhism is required – just look, feel, touch, smell and appreciate. But also marvel at the way in which this small piece of wood encompasses such a myriad of symbols – auspicious offerings, astrological signs, ritual implements and many many more…….
Il testo pubblicato qui sopra è sconsideratamente e deliberatamente tutto sensoriale ed emozionale.
Assolutamente non sc-sc-sc-scientifico (come diceva il mitico Capannelle in “I soliti Ignoti”).
La mia ricerca sul territorio negli anni ’70 del secolo scorso e la formazione di una piccola collezione di zan par
non sarebbe stata possibile senza l’impagabile collaborazione in loco di Chodup Tsering Lama.
Solo grazie a lui sono state possibili le difficili ricerche presso i reticenti rifugiati tibetani e le lunghe conversazioni con i Lama.
Solo grazie a Chodup ho potuto apprendere da alcuni Lama il significato di quasi tutte le immagini presenti su ogni zan par
e anche le caratteristiche particolari di ogni rituale praticabile con le figure ricavate da “quello” zan par.
Era stupendo in quei giorni osservare la profonda reverenza e la sincera devozione con cui Chodup si rivolgeva ad ogni Lama.
Profondi e prolungati inchini, offerte preliminari di bianchi tessuti, una posizione costantemente chinata in avanti,
Chodup giunse fino al punto di balbettare.
Lo fece, credo, per esprimere anche fisicamente la sua totale sottomissione e assoluta devozione.
Non glielo ho mai chiesto, ma credo proprio che balbettare fosse un modo di sottolineare la sua incondizionata accettazione dell’autorità dell’interlocutore. E’ assolutamente la stessa cosa che fa anche oggi Fabio Fazio in TV quando un ospite gli mette soggezione : balbetta.
In quelle indimenticabili settimane registrammo i dialoghi con i Lama che acconsentirono,
fummo ammessi a partecipare ad alcuni riti solitamente non aperti ad estranei,
fotografammo le poverissime residenze di alcuni Lama, scrivemmo pagine e pagine di appunti, Chodup in tibetano e io in inglese,
per trascorrere poi notti intere a trascriverli ‘in bella’ per timore di dimenticare qualcosa.
Tutto materiale destinato a comporre il primo ed esclusivo studio monografico tutto dedicato agli zan par.
Splendido progetto, mai realizzato.
Per fortuna però, pochi anni dopo, con il modesto aiuto di alcune mie foto ed informazioni,
venne pubblicato il più serio e approfondito testo sugli zanpar ad oggi esistente,
a parte i capitoli dedicati agli zan par nei testi sul Tibet e sulle religioni animiste e pre-buddiste del Tibet.
La monografia che io colpevolmente avevo fatto abortire, la fece fortunatamente nascere Zara Fleming,
responsabile a quel tempo per le collezioni tibetane al “Victoria & Albert Museum” di Londra.
Zara già allora faceva ogni anno frequenti viaggi in Tibet, Nepal, Buthan e ancora oggi non si ferma.
La monografia di Zara fu pubblicata dalla Library of Tibetan Works and Archives
a Dharamsala nel 2002 con la supervisione del professor Erberto Lo Bue :
Zara Fleming : “An introduction to Zan par”
in “The TIBET JOURNAL”
Vol. XXVII n.1 & 2 – Spring & Summer 2002 pages 197-216
L’anno successivo Zara pubblicò :
Zara Fleming,“The Ritual Significance of Zan par”
in: Proceedings of the 10th Seminar of the IATS, Vol. 13: Art in Tibet, Leiden 2003, p. 161-168.
In italiano brevi cenni in :
Franco Bellino : “Stampi Rituali”
in Paolo Mancini “HIMALAYA MAGICA” – 1999 CREA pagine 30-33
Zara Fleming è una delle massime autorità nel mondo sul tema degli zan par tibetani.
A Venezia li conosce Michel Paciello della Galleria “Paropamiso”.
A Parigi Francois Pannier, studioso e titolare della Galleria “Le Toit du Monde”
in questi mesi studia gli zan par e pubblicherà probabilmente un testo.
Ma c’è di più : Francois realizzerà forse una mostra
tutta dedicata a questi splendidi oggetti rituali a Venezia nell’inverno del 2015. Forse.
P.S.
Forse avremo Zan Par tibetani sul Canal Grande : qualcuno però già c’è ☺
Gentile Franco,
complimenti per la sua interessante pagina dedicata a un tema affascinante e poco conosciuto
Cordiali saluti e buone vacanze!
Cristiana
Mi è capitato scrivendo il film che stiamo cercando di produrre, di cui sai, di pormi proprio questa domanda: ma se dovessi scegliere tra verità e bellezza cosa sceglierei? Non è una domanda oziosa come potrebbe sembrare. Verità e bellezza fanno ping pong in un film e determinano linguaggio e fine del lavoro. Allora mi sono domandato che cosa fossero per me l’una e l’altra cosa. Perché per scegliere devo attribuire un valore.
Così diciamo che per me la Verità è ciò al di fuori della quale nulla esiste davvero. Il punto è che la Verità è un cammino, per cui dentro di me so che non la conosco e che continuo a conoscerla giorno per giorno. Dal che ne consegue che una grande parte della mia vita si nutre di cose che non esistono davvero. Di solito gravitano attorno all’ego.
D’altra parte, cosa dire della bellezza. Ecco la mi è venuta in aiuto la mia stupidità da spettatore medio: la bellezza è la verità percepita.
Del teatro di Cechov, ad esempio, ho percepito la bellezza solo col tempo. Da giovane lo odiavo. L’amore di oggi per Cechov è direttamente proporzionale a quel che ci ho visto di vero in ogni battuta. A come l’ho sentita risuonare dentro di me. Bello è ciò che ci fa da ponte verso noi stessi e la verità di noi stessi.
Ora è interessante tutto quello che racconti di questo zan par. Ma a me colpisce l’ultima cosa.
“E’ stupendo perché è vero. E’ vero perché è stupendo.”
La verità percepita. Quella che nel marasma e nel disordine di tutto ce l’ha fatta ad arrivare a noi.
Grazie per questa collezione. Per averla cercata e fatta. Stavi cercando e facendo te stesso.
E questo è bello, perché è vero. Ed è vero, perché è bello.
gio
Tatto e olfatto, come gli altri sensi, si potenziano attraverso un percorso esperienziale che trasporta, attraverso il nostro corpo, gli stimoli più fertili e vivaci alla nostra mente, nutrendo immaginazione e processi creativi. Nella mente questi processi si integrano e si sviluppano continuamente grazie alle nostre potenzialità cognitive ed emotive, portando alla scoperta di piaceri fisici e spirituali e al consolidamento della memoria sensoriale. Questa memoria, frutto di nostre capacità logico-razionali, di fatto sopperisce molte volte alle nostre limitate conoscenze culturali, sostituendosi ad esse per fornire un expertise “sensoriale” accurato (= alta sensibilità e specificità del sensore olfatto e tatto), e insostituibile, come Franco ha ben sconsideratamente e deliberatamente scritto sul zan par. Per essere ancor più sconsiderati, cultura o pseudocultura spesso sono a servizio di false verità dichiarate, o di vere verità occultate. Mentre i sensi, organi filogeneticamente più antichi della nostra ragione, hanno sempre rispetto delle verità, non tradiscono mai e ci svelano la vera bellezza.
Non mi è possibile esprimere un giudizio su un testo classificabile forse come criptopanegirico postfuturista in chiave di inno,
“vox clamans in deserto” oppure dichiarazione d’amore in prosa poetica occasionalmente apologetica, compulsiva, delirante, enfatica, ossessiva, umoristica.
Nel tuo testo non è chiaro cosa si intenda per “terapie scientifiche” (sicuramente non quelle cui ricorsero il Dalai Lama
ricoverato in ospedale in Svizzera o il Karmapa deceduto in ospedale negli Stati Uniti) o “riti vivi da millenni”,
visto che bon e buddhismo furono introdotti in Tibet non più di un millennio e mezzo fa:
la religione indigena era basata su sacrifici umani e sul culto delle tombe imperiali, scomparsi col crollo dell’impero nel IX sec.
[...] http://www.francobellino.com/?p=2098#more-2098 [...]
[...] http://www.francobellino.com/?p=2098#more-2098 [...]
Il ‘Domenicale’ del Sole 24 Ore mi conferma proprio oggi, domenica 22 novembre,
quanto più sopra mi sono avventurato a scrivere :
a pagina 33 si cita il teorico settecentesco Jean-Baptiste Du Bos che scrive :
“Non è necessario usare la ragione per sapere se un sugo è buono o cattivo.
Il giudizio di gusto infatti è frutto di un sentimento non ragionato,
di un esercizio di percezione e immaginazione che è il medesimo nell’accostarsi sia ai cibi sia alle opere d’arte.
Le opere di genio infatti, così come le pietanze del cuoco,
piacciono o dispiacciono prima che intervenga la ragione”.
Gli zan par a me piacciono o dispiacciono prima che intervenga la ragione.
La ragione solo dopo mi conferma : se non puzza, puzza.