Zan par tibetani: un mondo tra le tue mani.

 

Anni di leopardiano studio matto e disperatissimo e sporadici tentativi  di dialogo

sul tema (“bkra shis bde legs” Chodup, “Thanks” Zara, “Merci” Francois e “Grazie” Erberto),

mi inducono ad accettare l’invito di scrivere su un argomento che conosco poco, ma che amo forse troppo :
gli stampi rituali tibetani, chiamati zan par.

Gli zan par sono strumenti rituali presenti da secoli in tutta l’area himalayana, collegati a cerimonie della religione pre-buddhista, a pratiche sciamaniche e riti del buddhismo tantrico.

Hill rotating

I Tibetani sentono profondamente la sacralità dell’ambiente in cui vivono perché lo ‘sanno’ abitato da dei e da demoni.
Da sempre si praticano in Tibet riti per propiziarsi la benevolenza di tutte le forze naturali e soprannaturali, benefiche e malefiche, presenti e attive in un ambiente oggettivamente difficile.

Molti di questi rituali comportavano sacrifici. L’animale sacrificato era a volte un’offerta alla divinità,
altre volte diventava un capro espiatorio (glud).

La pratica di trasferire il Male ad un altro essere che diventa così “capro espiatorio”
è presente in molte culture nel mondo e particolarmente in Tibet.

Per la guarigione di un ammalato, per esempio, il rito prevedeva che si invitasse la malattia o il demone che la causava
ad uscire dal corpo del degente e a trasferirsi dentro a un’immagine che fungeva da capro espiatorio.
Una volta ciò avvenuto, l’immagine carica ora di tutte le negatività patologiche veniva portata lontano dall’abitazione e ritualmente distrutta. Simbolicamente così eliminata, la malattia era a volte anche clinicamente superata.
A volte.

Si facevano dunque offerte agli dei per ottenere meriti, per ringraziare di benefici ricevuti, per accrescere i beni della famiglia, per propiziare raccolti o successo nell’allevamento e nel commercio o in previsione di un viaggio. Ma anche per guarire da malattie, sia fisiche sia psichiche, per implorare buone condizioni meteo o per scongiurarne di avverse, come esorcismo contro epidemie, carestie, cattivi auspici, per placare lo spirito di familiari defunti, per superare problemi di ogni tipo.

 

Gli zan par salvano la vita a migliaia di essere viventi.

Per quanto riguarda l’origine degli zan par, è certo che i cerimoniali dei bon po prevedevano riti
con sacrifici animali e, secondo alcuni autori, anche sacrifici umani. Mancano testi relativi

al primo periodo storico del bon (la scrittura arrivò infatti in Tibet solo con l’introduzione del buddhismo)
e quindi è impossibile una chiara definizione delle caratteristiche di questa tradizione. Era tuttavia una religione profondamente influenzata da elementi sciamanico-animisti e indiani.

Le cronache narrano che all’epoca del re tibetano Khri srong lde brtsan (742-792 d.C.), i sacerdoti bon po
officiarono per il benessere del sovrano un rito in cui vennero sacrificati un grande cervo, mille yak,
mille capre, duemila pecore.
Il monastero di bSam yas venne così pervaso da un’orgia di sangue e dai lamenti disperati degli animali sacrificati,
tanto che lo stesso re abbandonò disgustato il luogo della mattanza.
Probabilmente si deve alla profonda riforma del bon, attuata dal maestro gShen rab mi bo, la definitiva abolizione
di tutti i sacrifici cruenti. E si deve anche all’avvento del buddhismo.

Solo dopo che nel 779 d.C. il buddhismo fu proclamato religione ufficiale del Tibet, questi rituali
furono progressivamente scoraggiati: sacrificare esseri viventi era considerato contrario agli insegnamenti del Buddha,
che considera sacra ogni forma di vita.
Vennero in alternativa proposti e promossi altri rituali che prevedevano sempre delle offerte e dei sacrifici,
ma ora non-violenti. Non più esseri viventi o oggetti reali,  ma sostituti simbolici.

Più coerenti con un profondo rispetto della vita e anche, forse, molto più economici.

E’ il pensiero che conta, come si pensa evidentemente anche in Tibet.

Benché non ci siano documenti scritti a comprovarlo, è ragionevole pensare che immagini di pasta
siano state ritualmente usate in Tibet almeno a partire dall’VIII secolo. Fleming (2003) che cita Jian-Zheng (2000: 306-11) precisa in proposito: “non si può dire se per realizzare queste immagini di pasta già allora si usassero gli stampi chiamati
zan par. Infatti lo zan par più antico di cui io abbia notizia risale solo alla dinastia Ming, quindi al XIV secolo”.
Data che ad Erberto Lo Bue (comunicazione personale) e modestamente anche a me sembra davvero troppo alta
per uno zan par di legno, inevitabilmente deperibile. Questa data potrebbe forse essere accettabile per uno zan par
di osso di yak come la coppia stupenda fotografata in Sotheby’s 1985, la stessa che poi diventa avorio nel 2014
passando da una valutazione di $ 6-8.000 ad una di $ 30-50.000.

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Gli oggetti e gli animali precedentemente offerti come vittime sacrificali furono sostituiti dalle loro immagini, ora però fatti di creta o di una pasta (rtsam pa) che è farina d’orzo miscelata con acqua ed eventualmente con un po’ di burro ricavato dal latte della femmina di yak. Questa pasta si poteva modellare anche soltanto a mano, ma prendeva una forma molto più bella e complessa se inserita in particolari stampi di legno: gli zan par.

QA foto 3 molte figure

Zan par significa infatti “stampo per rtsam pa”; un altro nome è lu par, cioè “stampo per sostituto”. Fleming (2002: 197) propone anche un nome più complesso: glud par shing “stampo in legno per un riscatto rituale”.

Gli zan par sono blocchi di legno, solitamente ma non esclusivamente monolitici, spesso rettangolari con impugnatura ad una estremità, da cui pendono a volte una lima e un piccolo lingotto costituito da una lega che contiene i cinque metalli preziosi: oro, argento, rame, ottone, ferro.

Ogni zan par ha quattro o più facce, fittamente intagliate su tutta la superficie con diverse figurazioni dell’iconografia sia bon sia buddhista.

 

Offerte votive o sostituti simbolici: è sempre il pensiero che conta.

Ogni intaglio viene utilizzato come uno stampo per produrre minuscole figure fatte di rtsam pa.

Le figure vengono poi utilizzate da un lama (bla ma) o da uno sciamano per diversi rituali.

A volte costituiscono offerte votive, per cerimonie di ringraziamento: si offrono alle divinità figure di oggetti o animali
al posto degli stessi oggetti o animali reali. Altre volte la figura di rtsam pa assume il ruolo di “sostituto” e quindi diventa oggetto di pratiche rituali (esorcismi, cerimonie di espiazione e purificazione o guarigione) che non si vogliono
o non si possono effettuare sull’individuo per il quale si è quindi creato il “sostituto”.
Un esempio di questo ruolo di “sostituto” è la figura del ling ga.

per foto 4 del sito bisFig.8. Ling ga detail zanpar 10

Il ling ga è un’immagine grottesca, un essere raffigurato con i polsi e le caviglie legate da una robusta catena, il volto che esprime sofferenza, il ventre rigonfio. Nelle figure più elaborate (come qui sopra) il ling ga è tormentato da dolori articolari: gomiti e ginocchia sono gonfi ed infiammati. Questa immagine simbolica, che trova largo uso nelle cerimonie tibetane di esorcismo o di magia distruttiva, è sempre realizzata in materiale deperibile: carta, burro, argilla o rtsam pa come
nel caso delle figure realizzate con uno zan par.

Ad oggi, a parte i saggi di Zara Fleming citati in bibliografia (2002 e 2003), il recentissimo approfondito (anche se non mi cita in bibliografia :-) e splendidamente illustrato saggio di Francois Pannier nella sua “Lettre du Toit du monde” (Paris Décembre 2015) e l’imprescindibile Nebesky-Woikowitz (1956),
non è ancora stato pubblicato (che io sappia) uno studio che elenchi le figure più frequentemente rappresentate su uno zan par e una descrizione dei rituali collegati a queste singole figure.

Interessante il proverbio che dice: “I Tibetani hanno ricevuto la loro religione dall’India e la loro astrologia dalla Cina”.
Infatti la maggior parte dei simboli religiosi che si trovano sugli zan par è di origine indiana, mentre le immagini
che si riferiscono all’astrologia derivano dalla Cina.

Questo auspicato studio di iconografia degli zan par sarebbe prezioso per descrivere di volta in volta uno specifico zan par,
per evidenziare figure particolarmente interessanti, emozionanti per invenzione e finezza di esecuzione, assolutamente rare
o significative ed anche per suggerire la destinazione delle figurine così ottenute e la loro funzione rituale.

Ma d’altra parte l’iconografia di un solo zan par per essere meticolosamente descritta e poi interpretata richiede ore,
forse giorni di analisi. Mi limiterò perciò ad alcune notizie oggettive sugli zan par, di cui come ho premesso
so davvero troppo poco e che amo forse troppo.

 

Uno zan par è un libro aperto: come leggerlo.

Quando studio uno zan par, tralascio per esempio considerazioni sulla probabile data di creazione,
sulla storia di quel particolare zan par, sul luogo di provenienza o di ritrovamento perché questi dati
troppo spesso mancano e, quando ci sono, non sono mai certi.

Non considero scientificamente rilevanti inoltre nome del legno (di solito betulla, nocciolo, noce, alberi da frutto e legni duri adatti ad essere incisi), colore e venature, patina, setosità della superficie al tatto, profumo percepibile all’olfatto (spesso un odore inconfondibile di burro rancido), presenza di inchiostri colorati sulla superficie e di residui dell’impasto di orzo arrostito e triturato mescolato con acqua o latte negli incavi più profondi, perché elementi troppo soggettivi anche se interessanti e sempre per me decisivi.

Spesso gli zan par sono un parallelepipedo con due facce più larghe e due più strette.
A volte però uno zan par ha più lati incisi, otto o anche dieci.

Il numero delle figure incise su tutti i lati dello zan par è un indicatore rilevante.
Uno zan par può avere (raramente ha) alcune grandi figure, molto profonde e alte anche fino a venti centimetri.

QA foto 6 bis grandi figure

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

QA foto 7

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Più spesso uno zan par ha invece moltissime figure. Quasi sempre presenti sono le immagini del regno animale:
uccelli, quadrupedi, animali domestici, rettili, insetti e pesci. Vengono di solito rappresentati secondo la generale
tripartizione cosmologica della realtà: gli animali che volano nel cielo, quelli che vivono sulla terra
e quelli che vivono sotto, sotto terra o nell’acqua.
È una vera vivacissima Arca di Noè.

Uno zan par fitto di figure diventa interessante dal punto di vista della ricchezza iconografica,
ma se le figure sono davvero molto complesse e molto piccole suscita anche qualche dubbio.

QA foto 8 tante figure

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi chiedo se veramente si potesse con stampini così piccoli realizzare delle figurine gestibili: si sarebbe dovuto ogni volta staccare senza romperla la figurina modellata nel minuscolo incavo dello stampo di legno e poi usarla da sola come offerta o incollarla su un dolce rituale (gtor ma) senza farla andare in frantumi. E anche in dimensioni così minuscole dovrebbe rimanere riconoscibile l’immagine rappresentata: uno yak, una capra, un pollo, un pesce, un insetto.

È vero peraltro che trattandosi di offerte simboliche ad uno spirito, le oggettive caratteristiche di riconoscibilità dell’immagine di pasta che sostituisce l’oggetto o animale reale non dovrebbero essere per il destinatario, e di conseguenza nemmeno per il celebrante e per il committente, così rilevanti. È il pensiero che conta, come detto.

 

Uno zan par non sempre è uno zan par: come capirlo.

Comunque il numero delle figure incise in uno zan par – prescindendo dalla qualità figurativa di queste immagini –
è un indice molto rilevante per indicare la qualità, il potenziale interesse e soprattutto la ‘verità’ di quello stampo.
Esiste purtroppo il problema della verità: “vero” è uno zan par fatto secondo certe procedure e sicuramente usato
per il rituale; “falso” è uno zan par fatto solo per il mercato e mai usato in nessun rituale.
Chi falsifica non ha ovviamente alcun interesse nel moltiplicare il numero delle incisioni da realizzare né la qualità di ogni singola figura. Falso per falso, più rapidamente lo faccio, meno mi costa, più ci guadagno.

Mi rendo conto che effettivamente decidere se uno zan par sia “vero” o “falso” è un giudizio scarsamente oggettivo
e certamente più affidato alla sensibilità soggettiva. Tuttavia è vero che avendo osservato e maneggiato
e accarezzato e annusato in circa 46 anni decine di zan par, la decisione se si tratta di un vero oggetto rituale
oppure di una riproduzione, anche perfettamente mimetica e sapientemente antichizzata, si impone
con un’evidenza ed una forza di realtà da farla apparire come ‘oggettiva’.
Nella mia collezione alcuni pezzi sono dichiaratamente falsi.
Li tengo e li studio però perché sono iconograficamente interessanti e perché documentano un fenomeno – la mercificazione dell’oggetto rituale – comunque degno di attenzione.

In realtà ogni zan par è “vero”: è un oggetto vero, concreto. Solo che in alcuni casi (e questi sono gli unici che interessano) quello strumento rituale è stato ideato e realizzato per essere uno strumento rituale.
Così è nato e così è stato usato da uno o più lama per molti anni, divenendo parte integrante dei suoi arredi sacri.
Così a volte è stato perigliosamente trafugato in un esodo attraverso confini verso terre meno ostili.

In altri casi si trovano invece zan par che sono stati creati e realizzati solo per essere oggetto di commercio.
Esiste infatti da decenni un mercato costituito da studiosi di religioni, di etnografia, di folklore e anche da collezionisti
e curatori di musei o anche da viaggiatori attirati dall’esotico che acquistano nelle regioni himalayane,
ma poi anche dovunque nel mondo, zan par mai usati da nessun lama in nessun rituale,
che però “assomigliano” moltissimo ai veri zan par.

È inevitabile che secoli di esperienza nel produrre copie fedeli (la fedeltà al prototipo essendo uno dei criteri fondanti delle culture orientali ed esigenza irrinunciabile nella produzione di oggetti, dipinti, sculture, architetture, destinati alla religione) abbiano sviluppato e insegnato straordinarie tecniche di imitazione e di antichizzazione. Dimensioni, forma, stile, legni usati, finta usura nei punti giusti, patina, setosità della superficie al tatto, aggiunta di inchiostri colorati e persino deposito di minuscole particelle di vera rtsam pa con il loro caratteristico ‘profumo’ di burro rancido, riescono magnificamente a trasformare un oggetto nato recentemente come “falso” in un oggetto che sembra antico e vero.

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Ecco allora alcuni ‘trucchi’, alcuni segreti nati da anni e anni di viaggi e di esperienze,

meglio, ecco alcuni criteri per riconoscere un vero zan par.

Uno zan par va a lungo studiato, ad occhi chiusi inizialmente.
Ad occhi chiusi la concentrazione è più intensa: lo zan par ti parla e tu riesci ad ascoltarlo.
Per riconoscere un vero zan par chiudi gli occhi e annusa.
Un vero zan par puzza. Puzza come puzza uno yak, come puzza il burro rancido, come puzza a volte la vita quando è vera.

Dopo il naso, le dita. Un vero zan par chiede di essere accarezzato.
Non puoi guardarlo con distacco, freddamente: uno zan par ti chiede che tu lo sfiori a lungo con la punta delle dita.
In silenzio, a occhi chiusi religiosamente. Un vero zan par parla alle tue dita perché
è liscio come la seta più preziosa.

Soltanto dopo il naso e dopo le dita, soltanto se puzza ed è liscio come la seta,allora puoi aprire gli occhi e giudicarlo.
A lungo.

Vedi decine, a volte centinaia di diverse immagini, incise con incredibile eleganza di invenzione e perizia di realizzazione ? Senti, percepisci con tutti i tuoi sensi e con tutta la tua sensibilità d’animo che quello zan par è stato scolpito con amore,
con sincera passione, con rispetto, con devozione, con profonda fede?
Non c’è bisogno di essere un critico d’arte per vederlo, non c’è bisogno di conoscere la religione tibetana per capirlo.
Chiunque lo vede e lo capisce immediatamente perché la verità parla immediatamente a tutti.

Guarda la più piccola, la più semplice delle figure.  Basta una sola figura per giudicare uno zan par
che pure di figure ne ha decine, a volte centinaia. In un vero zan par nulla è rozzo e grossolano,
nulla è frettolosamente inciso. Nulla è solo decorazione o approssimazione.
Questo lo vede anche l’occhio più inesperto, lo vede anche un bambino.
Lo vede persino un non vedente perché al cieco e alla sua raffinatissima sensibilità, prima ancora che ad un vedente,
l’odorato e il tatto hanno già rivelato la verità.

Se puzza, se è come seta, se ogni più piccola figura è incisa con infinita cura e passione, allora quello zan par è “buono”,
cioè vero. Un vero zan par è stupendo perché è vero. Un vero zan par è vero perché è stupendo.
Uno zan par è vero e stupendo perché è setoso e puzza. Se non puzza, puzza.

A testimonianza dell’importanza rivestita dagli zan par nell’arte e nella cultura religiosa himalayana, alcuni esemplari sono presenti nei principali Musei del mondo dedicati alla tradizione dei popoli dell’area tibeto-himalayana. Ho elencato questi Musei insieme ad una Bibliografia mirata sull’argomento e in cui – per rendere più facile e rapida la ricerca – di molti volumi indico anche le pagine e le illustrazioni specificamente dedicate agli zan par.

Il link per bibliografia, sitografia e presenza di zan par nei Musei di tutto il mondo è :

http://www.francobellino.com/?p=2336#more-2336

Interessante infine, però tutta da verificare, l’affermazione di Richard T. Blurton che sul sito del British Museum
allarga l’area di presenza degli zan par a territori fino ad oggi insospettati:

“Such woodblocks are used for the production of substitute effigies in rituals of exorcism in the Tibetan cultural zone,
from the Himalaya regions of India right through western China and into Mongolia and Siberia”.

 

Uno zan par è una fonte di gioia: come goderlo.

Fin qui i dati oggettivi. Adesso però una giustificazione emotiva: perché studiare gli zan par ? Perché forse collezionare gli zan par (purché uno li trovi già fuori dalle aree himalayane o comunque già fuori dal contesto rituale per il quale sono nati e in cui vengono ancora oggi utilizzati) ?

Perché io amo gli zan par?

11 The dream

Perché uno zan par è un oggetto bellissimo, prezioso, raro e soprattutto vero.

Perché è stato creato con grande amore e infinita devozione. Perché condensa secoli e secoli di civiltà e migliaia di libri
di religione, medicina, storia, sociologia, etnologia, miti e leggende, terapie mediche e superstizioni animistiche:
tutto e anche più in pochi centimetri scolpiti su un unico blocco di legno.
Perché uno zan par è un oggetto nato non per essere venduto, ma per essere affidato ad un uomo santo,
che lo avrebbe usato per molti riti diversi e sempre religiosamente conservato, avvolto in candidi tessuti.
Ogni zan par è uno strumento di preghiere e di riti vivi da secoli e vivi ancora oggi.

Perché ogni immagine che appare su uno zan par ha una sua storia, un suo significato millenario,
una sua precisa funzione, che può essere religiosa e rituale, ma anche sociale o terapeutica:
per curare (e forse guarire) determinate malattie e per risolvere concretissimi problemi di salute sia fisica sia mentale,
sia di un individuo sia di un’intera comunità.

Perché uno zan par a lungo osservato, studiato e ‘ascoltato’ per ore e per giorni,
per ore e per giorni sa regalare sempre nuove emozioni.

Perché insomma lo zan par che tu hai in mano – un mondo nelle tue mani -
racchiude come in uno scrigno l’anima di un intero popolo
e quest’anima, se tu hai la pazienza e l’umiltà di ascoltarla, quest’anima ti parla.

 

Questo testo sugli zan par del Tibet è nato per essere pubblicato su una prestigiosa rivista scientifica
dedicata all’Estremo Oriente. Il Comitato di Redazione ha però giudicato che
“l’articolo non è conforme agli standard tecnici di stesura per le riviste scientifiche”.

Questo giudizio impeccabile mi conforta perché, confesso, per tutta la vita e in tutto quello che faccio
ho sempre cercato di non essere “conforme”.

Siccome però la prestigiosa rivista scientifica prevede anche in coda ai testi una breve presentazione dell’Autore
e gli inevitabili “Ringraziamenti”, avevo preparato anche queste poche righe di cui non voglio privare i miei Lettori :

L’Autore        

Franco Bellino non ha alcun titolo accademico per scrivere di zan par tibetani.

Però dagli anni ’70 del secolo scorso, accompagnato come guida e interprete da Chodup Tchiring Lama,
ha percorso per varie settimane la valle di Kathmandu alla ricerca, a volte non facile, di lama tibetani e dei loro zan par.
Ha frequentato molte comunità di rifugiati, interrogando grazie alla reverente insistenza di Chodup,
lama all’inizio sempre reticenti, ma che concedevano poi lunghe interviste e dettagliate spiegazioni
di come ciascuno di loro usava i propri zan par.
Queste informazioni avrebbero dovuto costituire la base per un testo monografico dove di uno zan par
si sarebbe avuta la dettagliata descrizione di ogni figura incisa e dei rituali coinvolti.
Tutto ovviamente svanì con la perdita dei nastri registrati, né mai si fecero fotografie
per la venerazione che giustamente Chodup riteneva si dovesse dimostrare ai lama che ci ricevevano.

Franco Bellino non parla tibetano, non ama il copia-incolla e non ha alcuna pretesa scientifica :
è solo felice di condividere la sua passione con chi ancora oggi è capace di emozionarsi
davanti ad un oggetto che racchiude in sé e trasmette la cultura e l’anima di un popolo.

Ringraziamenti, anzi delazioni.

Il professor Antonio Maria Sacco ha con impagabile generosità a lungo tentato di eliminare almeno i miei errori più madornali.
Vanna Scolari ha imprudentemente incoraggiato a scrivere e poi contagiato con il suo entusiasmo.
Chodup Tchiring Lama, compagno di avventurose ricerche, ha con buddista compassione sopportato.
Zara Fleming, dai silenzi animati dell’Himalaya e da quelli musicali del Wales ha condiviso.
Ringrazio Oriana e Carlo Facchini per la splendida fotografia dello zan par che diventa un sole pulsante di vita.    
Ringrazio “Italia-Asia” che mi ha motivato ad affrontare questa ricerca e ICI (Istituto Culturale Internazionale)
che dedicherà a Dicembre qui a Venezia una mostra ed un mini-convegno proprio sugli zan par tibetani.
Ringrazio Francois Pannier che sta da mesi lavorando sul tema e a cui auguro un grande succe$$o.
Nessuno di questi preziosi e spesso involontari collaboratori è riuscito però a modificare uno stile
che il professor Erberto Lo Bue con impareggiabile ironia ha così tratteggiato :
“criptopanegirico postfuturista in chiave di inno, “vox clamans in deserto” o dichiarazione d’amore
in prosa poetica occasionalmente apologetica, compulsiva, delirante, enfatica, ossessiva, umoristica”.
Il reo ringrazia tutti, uno per uno, e nemmeno tanto metaforicamente uno per uno abbraccia.

 

 

 

 

 

 

7 Responses to “Zan par tibetani: un mondo tra le tue mani.”

  1. Vanna Scolari says:

    Franco, sarebbe andato benissimo per il mio Angolo. Che belle foto! Vanna

  2. Ricevo questo simpatico assist da un chirurgo che negli anni mi ha più volte sapientemente affettato
    e che quindi mi conosce piuttosto bene :

    “Caro Bellino, Lei non può essere giudicato secondo gli standard tradizionali. La conosco troppo a fondo.
    So che di Lei si può dire proprio quanto scrive Giovanni Pellinghelli del Monticello su ‘Vernissage’ del Giornale dell’Arte
    a proposito del grande imprenditore e collezionista Marino Golinelli :

    “E’ un personaggio stravagante. Stravagante nel senso positivo, carismatico del termine.
    E nel senso letterale : che segue cioè strade diverse dalle consuete, esterne ed estranee
    ad altri che osservano invece convenzioni, tradizioni e luoghi comuni”.

    Ringrazio il mitico Prof.
    Stravagante : è quello che cerco sempre di essere. Nel senso positivo, carismatico del termine.
    Mi viene un dubbio : per rendere il mio saggio sugli zan par tibetani
    “conforme agli standard tecnici di stesura per le riviste scientifiche”
    avrei forse dovuto stravagare ancora un po’ di più ?

    Mi appoggio allora anche a Pier Paolo Pasolini :

    “Seri bisogna esserlo. Non dirlo e magari nemmeno sembrarlo”.

    .. a Sergej Esenin

    “Essere semplici e sorridenti è l’arte suprema della vita”

    .. e infine all’epitaffio che mi piacerebbe di meritare :

    “Non scrisse mai una riga senza essere sorprendente e divertente”.

  3. Gli zan par tibetani facevano già parte della mia personalissima storia
    quando ancora io non sapevo non solo che esistessero, ma nemmeno che esistesse il Tibet.

    Quando con la mamma si andava in spiaggia (il papà era rimasto in città a lavorare) nella sua grande borsa non poteva mancare,
    oltre al costume di lana pesante (che bagnato diventava ancora più pesante e aveva effetto abrasivo sulla pelle in zone delicate, forse sacre),
    oltre al telo da spiaggia, al bastone di pane croccante ripieno di morbida frittata (da divorare rigorosamente DOPO il bagno),
    alle biglie per il “Giro d’Italia” (gioco riservato però ai più grandi, capaci di creare piste meravigliose con curve paraboliche che se indovinavi il tocco giusto e se dopo la curva c’era un rettilineo in leggera discesa, potevi anche fare un tiro lungo parecchi metri e se fortunato superare tutte le altre biglie davanti alla tua),
    oltre a tutto questo e a molto altro (che nemmeno il perizoma di Eta Beta poteva competere) non poteva mancare dicevo il set : secchiello-paletta-formine.

    Il secchiello serviva per raccogliere un po’ d’acqua di mare, la paletta per riempirlo di sabbia e poi mescolare fino ad ottenere una poltiglia umida
    e abbastanza modellabile e le formine … le formine erano usate proprio come uno zan par per creare piccoli budini di sabbia : una stella,
    una cometa, una mezza luna, il granchio, il pesciolino, la paperella, …..

    Queste formine di latta colorata erano già degli zan par : servivano a creare immagini.

    Così come oggi la più avanzata tecnologia propone altri zan par chiamati stampanti in 3D, capaci esattamente
    come uno zan par di creare immagini tridimensionali. Immagini affascinanti, che difficilmente però, presumo,
    potranno come quelle create dagli zan par diventare sacre offerte per rituali religiosi o sapranno guarirci da patologie fisiche e psichiche.

  4. Franco Bellino says:

    Il testo qui sopra sugli zan par del Tibet era destinato ad una prestigiosa rivista scientifica.
    Il Comitato di Redazione ha però sentenziato :
    “l’articolo non è conforme agli standard tecnici di stesura per le riviste scientifiche”.
    Dopo Pasolini ed Sergej Esenin, intervenuti nel commento qui sopra, mi viene oggi in aiuto anche Carl Jung.
    Dice infatti : “Vera cultura non è la nozione che apprendiamo, ma l’emozione che ci lascia dentro
    e che, per fortuna nostra e degli altri, a volte riusciamo a trasmettere”.

    Non sarò sc-sc-scientifico. Emozioni però ne ho messe nel mio testo
    e qualcuna, spero, sarò anche riuscito a trasmetterla. Emozionarsi e emozionare.
    Molto più rischioso, ma forse più utile, che non la prassi leggi-copia-incolla-cita-
    di quello che ancora oggi alcuni (ma sempre meno) considerano metodo scientifico.
    Guarda ! lo vedi anche tu : Einstein fa la linguaccia.
    E Einstein scientifico lo era un po’, vero ?

  5. Franco says:

    Devo approfondire questa ipotesi : a volte gli zanpar più ricchi di fiugre e con incavi poco profondi,
    potrebbero essere stati usati non solo per stampare immagini di pasta,
    ma anche come rpertorio iconografico, catalogo di immagini per i futuri intagliatori di zan par.

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