Scavando tra le decine di cartoni da imballo non ancora sballati dopo gli ultimi 6 traslochi in giro per l’Italia, salta fuori questa foto, con firma autografa di tutti i giocatori e sul retro anche una affettuosa dedica.
Era il Borletti Olimpia degli anni 1953-54. I giocatori sono da sinistra, prima in piedi e poi accosciati :
Sforza – Stefanini – Padovan – Romanutti – Rubini – Riganti – Reina – Gamba – Galleti – Pagani
Io in quegli anni giocavo per la Pallacanestro Varese, campionato Allievi e i miei idoli erano questi :
Per noi di Varese, il Borletti era l’odiatissima rivale. A volte tra i tifosi, ma spesso anche in campo finiva a botte.
Io però alle squadre in trasferta osavo chiedere gli autografi. Entravo nel dopopartita nello spogliatoio
tra corpi giganteschi muscolosi e fumanti dopo la doccia (fumanti perché gli spogliatori del Palazzo dello Sport,
in realtà Palestra dei Pompieri non erano poi così riscaldati).
Impunemente chiedevo e ottenevo da tutta la squadra ospite non solo la firma di ogni giocatore
(che magari avendo anche perso la partita era giustamente di suo incazzatissimo),
ma anche la dedica sul retro della foto di pugno del mitico Cesare Rubini :
Nessuno si rifiutava, nessuno mi mandava come avrebbe potuto e forse dovuto a vaffa.
Perché in quegli anni la sua classe un giocatore la mostrava sotto canestro, nello spogliatoio e nella vita.
E per noi ragazzi – allievi, juniores, promozione, ecc. – era una grande scuola di vita.
Anche il giornalismo sportivo aveva raffinatezze di altri tempi. Una brutale ginocchiata nei cabasisi (direbbe Camilleri) diventava nella cronaca de “La Prealpina” del giorno dopo : “un colpo al plesso solare”.
Tutti noi ragazzi avevamo ben visto DOVE il povero Rubini aveva ricevuto la perfida ginocchiata.
Perciò, dopo, per settimane, nonostante furtive consultazioni dei testi di papà medico, ci chiedemmo
se non dovessimo anche noi chiamare “plesso solare”
quelli che fino a quel giorno avevamo innocentemente chiamato “coglioni”.
Anni dopo, è ormai il 1956-57, lasciata Varese perché il papà è stato promosso “Medico Provinciale” a Milano,
sono nella palestra “Forza e Coraggio” di via Ripamonti, una delle ultime fermate del mitico ”24”, inteso come tram.
Come giocatore del “CUS Milano” non pago l’ingresso e posso stare in piedi proprio dietro la panchina del Simmenthal, praticamente appoggiato sulle spalle di Gianfranco Pieri (classe immensa, semplicità assoluta, eleganza mozartiana!).
Per tutta la partita feci un tifo sfrenato per la mia squadra e quindi contro il Simmenthal.
Nessuno mi disse niente, nemmeno un’occhiataccia. Ed ero a pochi centimetri da Rubini, Ricky Pagani (“il cinese”), Gamba : gente che avrebbe fatto paura anche ai peggiori teppisti del Bronx.
Niente, anzi potrei quasi giurare che Pieri si divertì un sacco a sentirmi sbraitare.
Anche perché poi loro vinsero
Nele foto notare il pallone : quello a spicchi non era ancora arrivato dagli USA.
E notare anche come di tutto quello che io racconto e che mi riguarda,
io non abbia nessuna foto : il cellulare non era ancora nato, il selfie non ancora inventato !
Segue qui uno scambio epistolare tra due piccoli grandi cestisti di Varese.
Parole di nessuna importanza per chi legge, ma preziose per me. Chiedo scusa.
Franco :
La mia squadra era quella che allora si chiamava “la leva dell’Ignis”, con Vittorio Tracuzzi allenatore-capo
e il mitico Ciccio Zucchi che ci ha portato a battere la allora coriacea (picchiavano come i bancari dei tornei estivi)
squadra dell’oratorio vicino a piazza Monte Grappa (credo che poi sia diventata “All’Onestà”).
L’Ignis di allora era la squadra di Alesini, Tracuzzi, Gualco, Ciccio Zucchi e altri nomi che non ricordo.
Poi arrivò Tonino Zorzi che ho sempre sognato di imitare nelle entrate a canestro,
ma io ero già a Milano dove ebbi come meastri di basket e di vita Van Zandt e poi Riva al CUS Milano.
Ogni tanto si allenavano con noi alla ‘Casa dello Studente’, angolo viale Romagna, un biondino
che chiamavamo “Marisa”e diventò poi Riminucci e un greco fenomenale che si chiamava Flokas.
Però si allenava a volte con noi anche la squadra femminile del CUS : eravamo tutti innamorati
di una incantevole brunetta (Rosannina, può essere ?) che scoprimmo solo decenni dopo essere sorella di Giorgio Armani. Marcarla “a uomo” era il sonno di notti insonni.
Pasquale Diaferia :
Tutti abbiamo fatto la leva dell’Ignis, a Varese. Poi si finiva a giocare nei vari oratori. Quello di cui parli tu è ‘San Vittore’,
dove ancora oggi c’è una chiesina sconsacrata e dove si gioca 3contro3 (io ho abbandonato da più di vent’anni,
perché gli sport di contatto li pratichi fino a quando sei in forma smagliante, dopo rischi di farti male).
Nello stesso oratorio campo grande, vidi giocare per la prima volta un dodicenne Stefano Rusconi,
che Bulgheroni vendette ancora in fasce alla Benetton. Con i soldi del suo trasferimento si costruì il campus,
che al momento è ancora la miglior struttura sportiva della città. Insomma, quando c’erano le giovanili,
ci si divertiva e si facevano i campi. Adesso costa meno prendere dei canadesi con passaporto italiano
o dei lituani con status di comunitario, che io non farei giocare neanche in promozione. E i palazzetti fanno schifo… )
Franco :
Grazie, Pasquale, non sono sicuro che l’oratorio che ricordo io, si chiamasse ‘San Vittore’, perché ci si arrivava da una stradina alla destra della Camera di Commercio. Ricordo che gli Ossola hanno iniziato lì e che dominava un certo “don Sandro” che ti fregava offrendoti per giocare campo e pallone, ma poi trovavi l’uscita bloccata e ti toccava andare a catechismo.
Certo, ti fregava solo una volta, ma era il campo più vicino per me che abitavo proprio in piazza Monte Grappa nel palazzo littorio. La stradina che portava all’oratorio era anche la pista per discese a rompicollo su cassette di legno della frutta, munite di quattro rotelle fatte di cuscinetti a sfera.
Pasquale :
L’oratorio è proprio quello, Franco, fidati. Secondo me noi da ragazzi abbiamo anche giocato contro, in una delle tante squadrette in cui mi affannavo. E quando ti buttavi con la cassetta giù per discesa, probabilmente ti inseguiva
quello del negozio di moto che stava a metà della discesa. Con quelle cassette gli rovinavamo il mercato…
Franco :
Sarà dura, Pasquale che noi si sia giocato contro : io sono del 1939 e in quegli anni si giocava nella palestra dei Pompieri. Mentre Vittorio Tracuzzi aveva residenza fissa e credo anche recapito postale nel bar in Piazza Montegrappa, sotto i Piccoli Portici.
Tu devi avere almeno 20 anni meno di me.
Pasquale :
Ammazza. Pensa che quando ero piccolo io erano ancora tutti in pista: Gualco &Co,
ancora tosti come ragazzini. Ma tu quindi parlavi di loro come giocatori,
se sono gli anni della Palestra dei Pompieri (che per inciso era la mia palestra del classico,
e quella dove esordii come allenatore, e sull’altra panchina c’era il Dodo Colombo)
e credo che adesso tu abbia tutto chiaro.
Comunque complimenti : quelli erano gli anni d’oro.
Ma vedo che anch’io ho vissuto quelli buoni… ))
Franco :
Anni buoni, davvero buoni, quegli anni.
Parafrasando l’amatissimo Villon
della “Ballade des dames du temps jadis”
potremmo scrivere la nostra “Ballade des joueurs du temps jadis” :
Dictes moy où, n’en quel pays
est Ciccio Zucchi et Stefanini,
où est Tracuzzi et Cesare Rubini ..
Mais où sont les neiges d’antan ?
Per tutta la lettura di questo testo suggerirei come colonna sonora
l’aria “Dove sono i bei momenti …” della Contessa nelle “Nozze di Figaro”.
Propongo l’intepretazione di Dame Te Kanawa
https://www.youtube.com/watch?v=BTWBieDvZb8
.. ma è perfetta anche la dolcissima Elisabeth Schwarzkopf
https://www.youtube.com/watch?v=3E7qJWofd_E
Post Scriptum :
Scopro per caso, ascoltando la radio, un’imprevedibile armonia di pensieri, di emozioni e persino identiche parole
tra i “Bei momenti” che rievoca la Contessa nelle Nozze di Figaro
e “Quei momenti quando uno sguardo provocava turbamenti” della “Sally” di Vasco Rossi
https://www.youtube.com/watch?v=wvbkI9yCgW4
…. sono lontani quei momenti
quando uno sguardo provocava turbamenti
quando la vita era più facile
e si potevano mangiare anche le fragole
perché la vita è un brivido che vola via
è tutt’un equilibrio sopra la follia
senti che fuori piove
senti che bel rumore
forse davvero ci si deve sentire
alla fine … un po’ male
Sally cammina per la strada leggera
ormai è sera
ed un pensiero le passa per la testa
forse la vita non è stata tutta persa
forse qualcosa s’è salvato
forse davvero non è stato poi tutto sbagliato.
Forse era giusto così ….
Forse .. ma .. forse .. ma si….
cosa vuoi che ti dica io ?
Senti che bel rumore.
Mozart e Da Ponte e Vasco Rossi cantano la stessa struggente malinconia che accompagna così spesso questo nostro autunno, quando
si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie.
Proprio nello stesso anno, 1918, in cui Ungaretti descrive ognuno di noi come
d’autunno / sugli alberi / le foglie
praticamente negli stessi giorni (luglio per Ungaretti/28 giugno per Gill)
un altro artista canta la malinconia della pioggia.
E’ “Come pioveva” di Armando Gill
che puoi ascoltare da Achille Togliani
https://www.youtube.com/watch?v=55oQUpSSZiU
.. ma anche nella straziante interpretazione di Milly
https://www.youtube.com/watch?v=bWFRCZBIwbo
che cambia persino le parole finali perché per lei le gocce di pioggia sono già lacrime, senza bisogno di dirlo.
Senti che fuori piove
senti che bel rumore…
Il vento che fa tremare le foglie per Ungaretti … le lacrime di pioggia per Gill … il bel rumore della pioggia per la ‘Sally’ di Vasco ….
meglio finire con un sorriso : Franco Seccia di com.unica ci regala questo divertente episodio di marketing ante-litteram
Era un venerdì dell’anno 1918 quel 28 giugno. La sanguinosa guerra stava per concludersi con la disfatta dell’impero asburgico
e con il rientro dei superstiti malamente feriti alle loro case, quelle povere case che purtroppo non rividero più decine e decine di migliaia di fanti,
soprattutto “terroni”, che anche anonimamente avevano lasciato i loro corpi straziati in terra carsica.
L’estate incominciava a farsi sentire con i suoi morsi di aspra calura anche a Napoli che però quella mattina si svegliò con un senso di frescura
percepibile dalle centinaia di manifesti apparsi sulle mura della città e raffiguravano un ombrello, non un ombrellone, ma un parapioggia.
In tanti credettero alla pubblicità di qualche fabbrica produttrice di ombrelli. La risposta arrivò qualche giorno dopo
anche se in maniera non esaustiva quando all’immagine dell’ombrello sui manifesti fu sovrapposta la scritta “Come Pioveva”.
L’episodio è ricordato come uno dei primi esempi di marketing discografico curato dallo stesso autore della canzone quel tale Michele Testa,
attore poliedrico e, soprattutto, il cantautore che amava presentare le sue canzoni al pubblico con il suo nome d’arte annunziando :
“Versi di Armando, musica di Gill, cantati da sé medesimo, Armando Gill”.
La canzone ebbe uno straordinario successo e ancora oggi è tra i classici italiani più cantati.
.. e ancora oggi, sarà labilità emotiva, sarà rimbambimento senile, quando la ascolto
così come quando ascolta la Contessa o “Sally”, mi commuovo. E per di più piove.
Bello, rileggere la mia incomprensione mi fa ridere oggi come ieri.
Gran bel post, su tempi belli ed eroici.
A presto, per farci una ulteriore chiacchera sul dualismo Varese-Milano…
Grazie Pasqua’ !
La tua non era “incomprensione”
E’ che vedendomi coì bellino in foto
non potevi immaginare quanto fossi stagionato
F
‘Chi dice che il sole porta la felicità
non ha mai ballato sotto la pioggia’
anonimo
pic by Monica Martin 2016
Vorrei conoscere questo ‘anonimo’.