C’è in questi giorni alla Guggenheim qui a Venezia una bellissima mostra dedicata a Tancredi.
Manca però un’opera che per me – e sottolineo per me – avrebbe affascinato ed emozionato ogni visitatore.
Questo disegno :
Nessuno se ne è mai accorto : è un autoritratto di Tancredi.
Tancredi nel 1962 crede di disegnare uno dei suoi ‘matti’.
In realtà disegna se stesso e si pre-vede – vede se stesso –tra pochissimi mesi. Si vede morire.
Questo disegno mi ha folgorato la prima volta in un sottoscala di via Monte Napoleone a Milano.
Era l’autunno del 1975 e aveva da poco aperto quello spazio un giovane gallerista non ancora famoso
quanto giustamente famoso e ammirato è oggi : Philippe Daverio.
Daverio esponeva vari stupendi disegni italiani del ‘900.
Ma io praticamente ho visto solo un disegno : questo Tancredi.
Il prezzo lo rendeva inaccessibile, nemmeno a pensarci.
Invece ci pensai, tornai più volte a vederlo e lo mostrai a Giovanna.
Mi inventai lavori extra (“lavori al chiaro di luna“ si chiamano quelli con cui un “moonlighter”, sottospecie dei “free-lance”, cerca di arrotondare le sue entrate con lavori notturni) pur di racimolare la somma.
Avevo letto tutto quello che c’era da leggere su Tancredi.
Avevo capito che nella serie sterminata di opere di Tancredi e nella serie purtroppo altrettanto sterminata di “opere di Tancredi”, che Tancredi non aveva mai disegnato o dipinto – quel disegno era un unicum.
Era diverso da ogni altra sua opera, era qualcosa che avrei dovuto possedere.
Non per la libidine di dire “E’ mio !”, ma per l’impegno di ascoltarlo, per il piacere di dialogare con lui il più a lungo possibile. Era imperdibile.
E infatti lo persi.
Una sera di Dicembre, di nascosto a Giovanna che, ne ero certo, avrebbe disapprovato,
scesi ancora quelle scale di Monte Napoleone, parlai con Daverio e gli dissi :
“Vorrei acquistare il disegno di Tancredi.”
“Mi dispiace”– disse sinceramente accorato Daverio.
“Mi dispiace. E’ già stato venduto”.
Già venduto ? ! ?
Fu una lacerazione.
Avevo perso un’opera che – con quei significati, forse immaginari, ma per me assolutamente concreti – solo io avevo scoperto.
Un’opera che in qualche modo anch’io, insieme a Tancredi, avevo creato.
Tancredi non c’era più. Io l’avevo perduto.
Mi dissi, come molte altre volte nella mia vita : in futuro meglio una follia dettata dalla passione,
piuttosto che una rinuncia dettata da banalissime ragioni economiche.
I soldi prima o poi si trovano; un capolavoro perduto è perduto per sempre.
Mattina del 25 dicembre 1975. Il nostro Presepe è molto semplice : c’è solo Gesù Bambino,
che è in realtà una bambola di plastica, corrosa da anni di galleggiamento in mare aperto
ed amorevolmente raccolta in una spiaggia oceanica quasi 50 anni fa.
Gesù Bambino nel suo cesto colmo di paglia e i doni per Giovanna e …….
… il mio Tancredi !
Giovanna lo aveva di nascosto acquistato e Daverio era stato bravissimo a mantenere il segreto con me.
Le poche settimane della mia sofferenza per la perdita erano ora mille volte moltiplicate
dalla sorpresa e dalla gioia di avere ritrovato il Tancredi perduto.
Nei giorni successivi scrissi alcune riflessioni su quel disegno.
Scrivo perché solo scrivendo riesco a scoprire quello che penso, riesco ad esprimere quello che sento.
Scrivo e scopro pensieri ed emozioni che altrimenti non saprei nemmeno di pensare e sentire.
Anche in quei giorni felici scrissi sul disegno di Tancredi. Rileggendo oggi quelle righe le trovo sincere e vere.
Purtroppo devo constatare che non solo l’inchiostro del disegno, ma anche la mia sensibilità
e la mia capacità di emozionarmi sono oggi irrimediabilmente attenuate, quasi scomparse.
Copio dalle pagine di tanti anni fa :
Scrivo una “farneticazione” (o “facezia” dato il tema) su questo disegno dialogando con alcuni appunti di Tancredi
e con la prefazione di Marisa Dalai Emiliani a “I matti di Tancredi” Scheiwiller 1973,
che indico premettendo MDE
“.. facezie.. scherzi accorati fatti con un po’ di leggerezza e un tantino di amarezza.” (Tancredi)
“Io non ho inventato proprio niente. Li ho trovati per strada :
tanti piccoli matti con dei cazzi senza palle e delle teste grosse,
gonfi di decorazioni, armature e retoriche comuni.
Io non ho fatto che buttarli sulla carta perché si potessero vedere
e per vedere io stesso un po’ più di me stesso.” (Tancredi)
Queste ultime parole – per vedere io stesso un po’ più di me stesso -
sono rivelatrici : quello di Tancredi è uno sguardo che si cerca e che si trova.
Allora la mia sensazione che il disegno alla tavola n. 20 sia anche un autoritratto non è infondata :
lo sguardo di Tancredi si cerca e si trova
con una stupefacente anticipazione di quello che sarà il suo destino tra pochissimo tempo.
MDE : L’affermato rapporto realtà/immagine si nega nella totalità di un’esperienza
la cui sola dimensione possibile era quella interiore.
.. perché la scoperta della follia come tragico destino (o rischio) comune
in una società fondata sull’alienazione di ogni rapporto
da tempo era divenuta per lui interrogazione ininterrotta, processo lucido e allucinato di auto-analisi …
Tancredi si è cercato attraverso la sua opera …”
Tancredi si è cercato e in questo disegno si è trovato.
Chissà cosa ha pensato vedendolo.
Chissà cosa ha pensato vedendosi.
MDE : l’itinerario di una coscienza che trovando la forza suprema di oggettivarsi in figura
si è riscattata dalla privatezza, si è fatta momento di conoscenza e folgorante rivelazione.
Tancredi dice di vedere i matti, di trovarli per strada.
Tancredi si chiede : “Quanti sono i pazzi ?
Questa è la domanda di fronte alla quale mi sembra di diventare matto”.
“Gli sembra di diventare matto”.
Tancredi diventa matto.
Tancredi è uno dei suoi matti.
I suoi “matti” sono Tancredi.
Il matto n. 20 del 1962 è Tancredi.
Il disegno qui con il numero 20, forse non a caso conclusione e vertice della raccolta, è un matto.
E’ Tancredi.
Quest’uomo è disperatamente solo.
Annaspa in uno spazio che è vuoto, è acqua, è la fine : la fine della raccolta dei suoi disegni dedicati ai ‘matti’,
la fine del libro di Marisa Dalai Emiliani, la fine di Tancredi.
Il corpo nel disegno nuota, ma affonda.
Forse è un corpo, ma forse è uno scheletro.
Quest’uomo è anche Giacometti ?
Tancredi conosceva e amava Giacometti e il viso nel disegno assomiglia a Giacometti.
Però quelle labbra gonfie e tumide sono le labbra di Tancredi
Quei cavi orbitali così profondi e infossati e scuri sono Tancredi
E quei capelli così ritti verso l’alto sono forse una prefigurazione del suo affondare nel Tevere ?
Una struggente pre-visione di ciò che pochi mesi dopo questo indiavolato ‘scarabocchio’, all’alba del 27 settembre 1964,
solo due giorni dopo aver compiuto 37 anni, Tancredi sceglierà per sé e per il suo destino.
Però in questo autoritratto Tancredi nuota : mani e piedi disperatamente diventano prensili,
cercano qualcosa su cui fare presa.
Però questo qualcosa su cui fare presa, su cui salvarsi, non esiste.
Questo Tancredi ha condiviso la nostra vita per 41 anni oggi.
Ha vissuto con noi a Milano poi a Siena e poi a Venezia.
E’ invecchiato con noi.
Un disegno, soprattutto se a penna, peggio ancora se penna biro, andrebbe protetto dalla luce naturale.
Conservato, ibernato anzi, in una cartella, infilato nella protettiva oscurità di un cassetto di un apposito mobile.
Andrebbe visitato, come si fa in un obitorio, con mille cautele e precauzioni, magari indossando
asettici candidi guanti di cotone, per qualche minuto soltanto e poi riposto nella sua bara.
Invece Giovanna ed io decidemmo subito che quel foglio era troppo emozionante, troppo coinvolgente
per imprigionarlo nel buio di un cassetto. Quel Tancredi, il nostro Tancredi,
avrebbe vissuto con noi, ogni giorno in un dialogo d’amore.
Fummo fortunati : il più colto e sensibile corniciaio di Milano, l’amico Franco Sabatelli insieme alla dolce Brunella,
trovò proprio per “quel” disegno la “sua” cornice :
Una cornice creata 4 secoli prima del disegno, ma così giusta che il disegno – già splendido di suo –
una volta incorniciato sembrava felice di esserlo.
Una cornice che evoca, ma non banalmente rappresenta, il movimento vorticoso di acque azzurre –
di un azzurro velato e dorato che magicamente si accorda al blu della penna usata da Tancredi.
Ciò accadde perché Franco aveva ascoltato, con l’attenzione e con l’umiltà che solo i grandi sanno regalarti,
le mie farneticazioni sul quel disegno come pre-figurazione della morte per acqua di Tancredi.
Una volta tanto, raramente accade, la cornice dialogava con l’opera che incorniciava :
la ascoltava, la capiva, la rispettava, la valorizzava.
Su quell’autoritratto di Tancredi, come su di noi, il tempo ha scritto la sua storia, ha lasciato il suo segno.
La carta è ingiallita, l’inchiostro è sbiadito.
Il disegno non è più nitido, quasi furiosamente ‘scarabocchiato’, esplosione in un gesto ininterrotto e frenetico,
come appare nella tavola 20 del volumetto di Marisa Dalai Emiliani
Azzarderei che il disegno non è mai stato, nemmeno appena nato, con tratti così decisi e larghi e neri
come appare in questa tavola :
Innanzitutto perché il disegno è tracciato da una penna biro e la penna biro non ha un tratto così largo.
Poi perché nella tavola il disegno sembrerebbe essere in nero, invece è nato ed è sempre stato blu.
Inchiostro blu.
Il classico blu delle nostre primissime biro.
E così dopo 41 anni di vita insieme a noi, giorno dopo giorno il tratto della penna
scompare impercettibilmente, ma inesorabilmente.
Svanisce ogni giorno la figura di Tancredi, così come ogni giorno anche noi stiamo svanendo
Non mi pento di aver lasciato che questo foglio vivesse e invecchiasse e un giorno forse morisse
perché questo foglio è sempre stato così vivo che aveva il diritto di vivere.
Scheda del disegno :
Tancredi “Autoritratto ?” 1962
Disegno a penna biro (cm 25 x 13,4) di Tancredi Parmeggiani, 1962.
Acquistato nel 1975 da Philippe Daverio
quando ancora aveva la Galleria in via Montenapoleone.
E’ pubblicato da Marisa Dalai Emiliani
nel volumetto “I matti di Tancredi. 20 disegni inediti”
Scheiwiller 1973 alla tavola 20.
Pubblicato anche da Philippe Daverio in uno dei volumetti
“Selezione .. Disegni italiani del ‘900”.
E’ valorizzato da una splendida cornice antica di Franco Sabatelli.
Scheda Franco Sabatelli :
N. D 97 Cornice XVII secolo, Marche
Misure : cm. 19,5 x 31 Oro e finto marmo azzurro.
Bellissima storia d’amore. Il tuo, per l’inizio, il divenire e, forse, la fine di una follia.
Ciao Franco,
sono diventato “matto” anch’ io, capisco perché tanti ti cercano nel tuo settore anche se, come dici tu, sei un vecchietto……..
Tu hai l’ anima, la pietas e la cattiveria della realtà fuse in una prosa da Nobel della letteratura.
Sono felice di essere sempre sorpreso dalle tue righe che hanno la conoscenza del passato ed il futuro di un alieno :
non sei mai banale, mi ripeto, sei geniale.
Lunga vita al tuo “cervello” e, ti prego, mandami sempre le tue farneticazioni che, per me, sono una finestra aperta sull’orizzonte.
Ancora, ancora complimenti (anche a Giovanna che ti sopporta e ti ama
come nel suo bellissimo gesto dell’acquistare di nascosto per te il disegno di Tancredi).
Vi invidio, ma con affetto.
Alberto
bellissima storia franco, sei un genio, come al solito
Dedicato a chi mi rimprovera di essere troppo passionale
e assai poco oggettivo nel parlare di un artista che ammiro e che amo :
“La critica onesta non significa nulla :
quello che un artista vuole è la passione sfrenata, il fuoco per il fuoco.”. (Henry Miller)
Cosa posso dire? Ancora una grande lezione, Maestro. Lezione di vita e di morte. Grazie.
Ciao Franco
sono in treno diretta verso Ferrara e ho appena finito di leggere i tuoi due brani su Tancredi. Il primo del nipote che non hai…Pietro ed il secondo, quello in cui narri come, inaspettatamente e direi quasi magicamente, un Natale di qualche anno fa il tuo angelo biondo ti ha sorpreso con questo meraviglioso dono…..è una storia bellissima che mi ha emozionata, non solo per le considerazioni che fai sul disegno, ma proprio per come quel disegno ti è arrivato…..l’amore è davvero straordinario, porta continuamente qualcosa che a sua volta continua a donare in una sorta di catena senza fine….quel disegno l’hai amato al primo sguardo…ti è arrivato come dono d’amore e forse, come tu dici, svanirà un domani ma dopo aver vissuto una ‘vita d’amore’ ed io sono sicura che il solo saperlo riempirebbe il cuore di Tancredi…..devi raccontare anche questa cosa a Pietro, gli devi raccontare di come un giorno di Natale hai aperto un dono speciale perché secondo me lui troverà le giuste parole per raccontare questa storia straordinaria a questo amico con un nome particolare Tancredi e lui ne sarà davvero felice.
Un abbraccio forte forte a te e al tuo angelo
Ciao Franco, ho letto il tuo bel pezzo su Tancredi. È così bello che gli perdono persino la lunghezza.
Bella anche l’idea di un disegno che, come noi, invecchia e muore un po’ ogni giorno.
Anche se – pensando all’opera in se’ – è un po’ un peccato.
Più prosaicamente i disegni di maggior pregio che ho ( alcuni Sironi, un Marini…)
li tengo rigorosamente in zone dove non batte il sole. Così vivranno anche dopo di me.
M: