Full era un pastore belga (‘Groenendael’).
Lui abitava a Bologna, io a Varese.
Però i miei genitori inventarono lo ‘s-bolognamento’ :
mi s-bolognavano, cioè mi mandavano dai nonni a Bologna
il più spesso e il più a lungo possibile.
Tutte le vacanze di Natale … tutte quelle di Pasqua
e almeno due-tre mesi ogni estate io ero s-bolognato.
E allora per Full e per me era festa grande.
Io con Full giocavo per ore : a fare la lotta, al tiro alla fune,
a lanciargli la palla, a fargli gol (difficilissimo!), a nascondino.
Gli dicevo : “Stai fermo qui !”
e lui stava seduto immobile, anche se lievemente preoccupato
(Dove va ? .. e se non lo trovo ?…)
… poi io andavo a nascondermi … e lui non si muoveva
fino a quando …. “Fuuuuuul !”.
Era questione di pochi secondi per lui trovarmi.
A volte però la sua ricerca durava un po’ più a lungo perché
nell’ansia di trovarmi subito, mi passava davanti come un fulmine
senza accorgersi di me. Allora preoccupatissimo si fermava,
avrei giurato che ragionava un po’, si diceva :
“Devo cercarlo col naso, non con gli occhi !”
E a quel punto inesorabilmente io ero scoperto.
Gli piaceva anche piazzarsi sulla sua cuccia – un materassino -
e tenendo la corda stretta tra i denti farsi trainare da me
per il lunghissimo corridoio.
Una volta, io tiravo all’indietro e non vedevo dove andavo,
entrai letteralmente dentro una grande porta a vetri,
che di solito era aperta, ma quel giorno era chiusa.
Non mi feci male, Full si spaventò perché credette che il guaio fosse colpa sua,
il rumore fu tale che giù in via Rizzoli si fermò il traffico.
Già per i nostri giochi Full mi adorava.
Ma in più io lo portavo a spasso per ore. E di nascosto
(i nonni non lo hanno mai saputo e, credo, nemmeno sospettato)
nei posti giusti lo liberavo dal guinzaglio
e lo lasciavo libero di esplorare l’universo.
Una mattina mi ero appena svegliato e non stavo bene.
Full si piazzò sulla porta della mia cameretta
e non lasciava entrare nessuno. Nessuno gli aveva detto niente.
Però lui forse aveva pensato che se io non stavo bene, lui doveva difendermi.
Fu solo quando lo convinsi a venire vicino a me, a fianco del letto,
che nonna Matilde ebbe da Full il permesso di avvicinarsi
e misurarmi la febbre.
Quando ero a Bologna Full era felice. Ma poi arrivava il giorno
in cui sarei dovuto tornare a Varese. Non so come, Full lo capiva.
All’alba del giorno della mia partenza,
prima che qualcuno in casa si alzasse,
Full prendeva le mie scarpe e le nascondeva.
Prima o poi le trovavamo, ma … come aveva fatto lui a capire
che quel giorno quando io mi sarei messo le scarpe
(gesto che gli procurava sempre un’incredibile felicità),
non sarebbe stato per portarlo a spasso, ma invece per abbandonarlo ?
Nei giorni precedenti non era successo nulla
che potesse fargli capire che proprio ‘quel’ giorno io sarei partito.
Full lo sentiva.
C’era soltanto una cosa che Full adorava più ancora che giocare con me :
la pioggia. La pioggia era la sua estasi, la sua ebbrezza divina.
Bastava dirgli : “Full ? Piove !”.. era un fulmine :
si fiondava nel grande terrazzo proprio sotto le Due Torri
e iniziava una danza fantastica perché voleva prendere al volo le gocce di pioggia.
Una per una, tutte. Non ci riusciva, ma ci provava.
Saltava .. stava in piedi sulle zampe di dietro ..
e impazziva di gioia leccandosi i baffi per ogni goccia che prendeva al volo.
E poi un’altra goccia .. e un’altra ancora .. avrebbe continuato per ore.
Anche cogliere al volo i fiocchi di neve era per lui la stessa libidine,
peccato che succedesse più di rado.
Credo, sento, sottovoce dico : “Sono sicuro”
che se io oggi gridassi : “Full ? Piove !” ,
da qualche parte nell’Universo
lui salterebbe felice per prendere le gocce di pioggia al volo.