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Se l’uomo è un cavallo, lo spirito lo cavalca.

Dice lo psichiatra della tribù.
Ci sono malattie mentali diffuse in tutto il mondo.
Ci sono terapie psichiatriche uniche al mondo.

Questo cavaliere non è una scultura :
è una terapia psichiatrica. Forse persino efficace.

 

Non sono mai stato in Africa.

Non so montare a cavallo.

Non sono, presumo, in preda a possessione.

Però sono posseduto da un interesse profondo per i

cavalieri africani Kotoko, Putchu Guinadji.

Ascolto le storie che mi raccontano :

parlano di magia e di generosità.

“Generosità : con i tempi che corrono è più rara di una magia.

 

La più bella scultura di cavallo e cavaliere non è una scultura.

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Queste minuscole monumentali sculture rappresentato proprio
un cavallo pazzo montato da uno spirito che lo possiede.

E sono prescritte come medicine ai malati di mente.

Mi appassionano questi monumenti equestri in miniatura

per svariati motivi :

1

L’iconografia capovolta : la cavalcatura non rappresenta un cavallo :
rappresenta invece un essere umano che è posseduto (cavalcato) da uno spirito.

Il cavaliere non rappresenta un essere umano, ma uno spirito
e proprio per questo quasi sempre non ha tratti umani riconoscibili.

2

La valenza terapeutica : non una scultura, ma una medicina

da prendere tutti i giorni, giorno e notte, per mesi e forse anni.

Da indossare a contatto della pelle. Da accarezzare.
Se queste medicine psichiatriche le usano da secoli, forse funzionano.

Effetto placebo o farmacologia del futuro ?

3

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La monumentalità microscopica. Minuscoli, pochi millimetri.
Però si conquistano con rapidità e decisione lo spazio tutto attorno.

Ti senti davanti a loro come quando sei in una piazza

davanti ad un monumento equestre.

Lo stesso con un cavaliere Kotoko : tu sei minuscolo, lui è gigantesco. Magia.

4

Echi visivi, ricordi scolastici, ore serene. Echi gotici e romanici, più che classici o rinascimentali.
Perché il Colleoni di Verrocchio in campo san Zanipolo e il Gattamelata di Donatello al ‘Santo’,
per non dire di Marco Aurelio in Campidoglio,  parlano un altro più colto linguaggio.

 

 

Probabilmente anch’io sono soggetto a possessioni, e quindi ragionevolmente pazzo,
se da anni ormai non esco di casa senza prima scegliere accuratamente
uno dei miei cavalieri Kotoko, mettermelo in tasca e poi accarezzarlo e coccolarlo per ore,
sentendomi rassicurato e protetto nel mondo ostile e pericoloso là fuori :

 

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Le opere d’arte non sono filosofia :
sono gioia di guardare. E toccare. E accarezzare.

 

I Bamana del Mali definiscono le sculture : “Cose meravigliose” (kaba ko)
e anche : “Cose da guardare per sempre”. (Kate Ezra 1983).

Stefano Malatesta scrive : “Tempo fa, entrando in un negozio di Bamako nel Mali
dove erano esposte magnifiche sculture, chiesi alla proprietaria cosa è per loro “arte”,
come riconoscono se una cosa è un’opera d’arte.

La ragazza rispose : “Opere d’arte sono cose che non ti stanchi mai di guardare”.

 

Questo cavaliere Kotoko è allora doppiamente un’opera d’arte :

è un oggetto che non mi stanco mai di guardare e non mi stanco mai di accarezzare.

 

Ogni cavaliere Kotoko è unico al mondo.

 

Ogni cavaliere Kotoko racconta una sua storia. Chi meglio di ogni altro al mondo

racconta la storia dei cavalieri Kotoko è Pierluigi Peroni in questo straordinario volume :

PUTCHU GUINADJI  Cavalieri contro a follia

TribaleGlobale Primary Art – Giuliano Arnaldi Giugno 2011

544 pagine. circa 5 kg, splendide foto di Francesco Pachi.

 

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In alternativa al volume, ecco un link per Peroni:

https://www.africarte.it/collezioni/PierLuigiPeroni1/peroni_kotoko_presentazione.htm

https://www.africarte.it/index.htm

Meritano anche :

Henning Christoph in https://www.youtube.com/watch?v=DjqcaLza0IM

https://it.search.yahoo.com/yhs/search?hspart=trp&hsimp=yhs-016&type=Y139_F163_202973_051224&p=Henning+Christoph+The+secret+of+Putchu

e prezioso anche Marcello Lattari in :

https://www.africarte.it

 

Cito Peroni : In Africa la malattia mentale si origina dalla possessione del malato da parte di spiriti malvagi.
Per combattere la pazzia, nella zona del Lago Ciad si utilizzano i “Cavalieri Kotoko”: i “Putchu Guinadji”.

 

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Si tratta di piccole fusioni a cera persa che rappresentano un cavallo montato da un cavaliere.
Sono talismani prodotti e usati in Ciad e nel nord del Camerun,
probabilmente anche nel nord est della Nigeria e nel sud est del Niger.
Si modellano su precise prescrizioni su misura per ‘quel’ malato che li porterà sempre con sé,
ogni giorno e per tutto il tempo necessario: fino alla sua completa guarigione.

Le fusioni possono essere realizzate in ferro, argento, bronzo, stagno o rame.

Il volto del cavaliere è il più delle volte indefinito, perché gli spiriti non si possono definire.
Queste sculturine portatili esistono in due versioni.

 

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Una versione “nuda”, con tutta la figura equestre perfettamente visibile in ogni suo dettaglio:
quindi un oggetto tutto sommato facile da capire ed ammirare !

 

 

Un’altra versione “vestita”, dove cavallo e cavaliere non sono invece visibili
poiché rivestiti da un involucro di pelle che li nasconde parzialmente o completamente:
quindi un oggetto da interpretare e immaginare !

 

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Relativamente ai talismani “nudi”, che sono la maggior parte di quelli che si possono oggi trovare,
i Kotoko d’epoca si distinguono sia per il tipico consumo del metallo della figura equestre,
che per gli esemplari più antichi è lisciato e levigato in modo inimitabile,
sia per la loro straordinaria e nobile patina d’uso, anch’essa inimitabile ed inconfondibile.

 

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E’ logico che antichi pezzi veramente e quotidianamente utilizzati risultino consumati e lisciati.
Hanno una patina incredibilmente vissuta: sono stati portati per anni, per anni sono stati maneggiati e strofinati,
per anni sono stati a contatto della pelle sudata e sporca, per anni sono stati adorati, amati, odiati, curati e maltrattati, probabilmente lavati e unti e rilavati.

 

E’ bello ed interessante vedere come ciascun pezzo sia radicalmente diverso da ogni altro.
Eppure si tratta sempre dello stesso soggetto: una figura equestre con un cavallo ed un cavaliere.
Ma ogni Kotoko ha forme, dimensioni, proporzioni, colori, patine, odori, caratteristiche e fattezze proprie,
che lo rendono un vero e proprio “pezzo unico”.

 

Il più raro dei miei cavalieri non è mio.

 

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C’è un “pezzo unico” che dimostra chi è Pierluigi Peroni.
Lui pubblica 257 cavalieri Kotoko e molti di più ne possiede. Ma non possiede “Lo scudato”.
E’ un cavaliere maestoso che porta a destra un gigantesco scudo ovoidale.

Insieme lo abbiamo a lungo e in tutto il mondo cercato e dopo anni lo troviamo.
Però chi possiede “Lo scudato” non vuole assolutamente venderlo, a nessun prezzo.

Io rinuncio; Pierluigi, più tenace di me, insiste per anni e anni e finalmente un giorno riesce ad acquistarlo.
Cosa fa Pierluigi quello stesso giorno  ?
Ogni collezionista, qualunque cosa collezioni, se un giorno trova un oggetto introvabile, un oggetto che lui ha cercato per anni, capisce. E’ una gioia finalmente possedere e stringere tra le dita quell’oggetto così a lungo desiderato. Ebbene quell’oggetto Pieluigi Peroni non lo gode, non lo tiene per sé : lo regala a me ! Solo un collezionista può intuire e capire l’incredibile eccezionalità, la magia di questo dono.

 

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“Lo scudato” è gigantesco anche se sono soltanto 60 mm per 55. Millimetri ! eppure è maestoso e imponente.
Fa soggezione.

Alla destra il cavaliere regge un altissimo scudo ovale che lo copre dalla testa fino ai piedi.
L’arcione è molto alto sia davanti sia dietro. La patina ha sullo scudo, sul fianco del cavaliere e sulla sua testa tracce di argento.

Questa scultura di pochi millimetri ha la forza del Cangrande che domina la Scala di Castelvecchio a Verona :

 

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Questa è la magia che puoi scoprire in ognuno di queta cavalieri perché ognuno ha una sua storia da raccontare.
E ti propongono un mistero :

 

 

i cavalieri Kotoko sono spesso
ritti in piedi sulle groppa del cavallo o sulla sella.
Ma nessuno sa perché.

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Ci deve essere un motivo se cavalcano in piedi perché nulla nell’espressione africana è casuale.

Propongo alcune ipotesi : 1) il cavaliere è in piedi perché rappresenta uno spirito 2) Per sottolineare il dominio assoluto che lo spirito possessore ha sulla sua cavalcatura, cioè sulla persona che lui ‘possiede’. 3) Per dimostrare una eccezionale, sovrumana, abilità. 4) Perché queste figure si ricollegano ad antiche incisioni rupestri del Taouardei (Gao, Mali), dove spesso il cavaliere è in piedi.

 

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Perché gli spiriti stanno in piedi sull’uomo diventato cavallo ? E’ un mistero. Ma forse è meglio proteggere il mistero.

Ce lo suggerisce Brancusi, grandissimo artista e anch’egli appassionato collezionista di arte africana:

“Non cercate formule oscure, non svelate il mistero. Quello che il mistero vi dà è pura gioia”.

 

Ecco: i Kotoko sono per me pura gioia !
Spero di riuscire a trasmetterla anche a te che stai leggendo.

Infine un confessione :

 

Il più bello dei miei cavalieri Guinadji non è mio.

 

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Il più bello dei miei Putchu Guinadji è mio proprio perché non avrei mai potuto acquistarlo.
Appena ha saputo che era per me il Kotoko più bello mai visto però non avrei mai potuto permettermelo,
il suo proprietario, Gérard Roso, una persona che non ho mai incontrato in vita mia, mi ha scritto :
“Te lo regalo”.

Io Gérard Roso non solo non l’ho mai conosciuto : non l’ho mai nemmeno incontrato di persona.
Però a Parigi mi ha fatto trovare il suo regalo : il Kotoko più bello che io avessi mai visto.

 

 

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Ed ecco svelarsi una incredibile e sapientissima orchestrazione di linee e di volumi
che può nascere solo da una profonda esperienza visiva e da una millenaria cultura  raffinatissima.
Quella che noi chiamiamo in Africa “Arte primitiva”
ha pur visto i millenni di Arte Egizia e forse ha visto anche più lontano.

 

Per ideare questa figura devi per forza possedere un pensiero capace di orchestrare linee e volumi
come solo Piero della Francesca sapeva fare. Ma qui a farlo è l’umile fabbro di una tribù,
non il più astratto e poetico degli artisti del Rinascimento.

 

Eppure anche un bambino lo vede :  questa piccola scultura – primitiva, per alcuni addirittura ‘selvaggia’ –
è in realtà una raffinatissima orchestrazione di variazioni sul tema del cerchio.

 

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A dettare il leit-motiv del cerchio è l’arco perfetto (1) disegnato dalle zampe anteriori, dalla pancia e dalle zampe posteriori della cavalcatura.

Risaliamo un po’verso destra, ed ecco una spirale che si chiude a circolo (2) : la bardatura sul petto del cavallo.

Continuiamo verso l’alto, a destra. La testa del cavallo disegna un circolo perfetto (3). E in più l’ombra lo raddoppia.

Ora dalla testa del cavallo a sinistra, verso il cavaliere : le redini disegnano un piccolo gratuito elegantissimo arabesco (4)
che racchiude un punto di luce rotondo in un tondo perfetto. E anche qui l’ombra fa eco.

Dalle redini su, verso il turbante del cavaliere: si annoda a spirale (5) per creare un volume rotondo –
che suggerisce un nuovo spazio, perpendicolare a quello di una lettura finora solo di profilo.

Un altro circolo (6) disegnano le corte braccia stilizzate che si prolungano con la schiena del cavaliere.

Scendendo ancora, l‘arcione della sella si stacca come un membro in erezione e suggerisce un altro cerchio (7)
che si perde nello spazio compreso tra le redini e il collo della cavalcatura.

Poco più sotto, a conquistarsi un altro spazio a tutto tondo, parallelo allo spazio del turbante e a quello delle braccia,
ecco il cerchio (8) disegnato sul corpo della cavalcatura dal sottosella circolare.

Da qui all’arco perfetto (1) : il cerchio della scoperta dei cerchi si chiude e si riapre con un movimento elegante ed infinito.

Un tutto tondo che la luce accompagna, le ombre riecheggiano; che si guarda e si accarezza come un’unica melodia
che si sviluppa sempre nuova e ritorna sempre uguale a se stessa : sempre uguale e sempre diversa.

 

 

Nel minuscolo capolavoro di questo cavallo e cavaliere Kotoko (raccolto da Gérard Roso tra il 1979 e il 1984 in loco,
nella regione di Tildé Goulfey, Nord del Camerun) tutto è tondo e sempre tondo in modo diverso.

Non so (ma credo di sì) se l’artigiano che ha disegnato, poi modellato e poi fuso questo monumento tascabile
si sia coscientemente proposto di realizzare infinite personalissime variazioni sul tema del circolo perfetto.

E’ un fatto : il più bello dei miei Putchu Guinadji è un capolavoro di eleganza musicale :
la linea è purissima melodia. Sta nel palmo di una mano, ma potrebbe ergersi maestoso e monumentale
su di un alto piedistallo al centro di una piazza e dominare tutto lo spazio attorno a sé.

 

* Per chi ama leggere con il sottofondo di una colonna sonora musicale, consiglio per questo testo
l’ascolto delle “Variazioni Goldberg” nelle due diversissime esecuzioni di Glenn Gould,
la prima del 1955 e poi la definitiva del 1981.

 

Questo monumento tascabile è un miracolo. Voluto o casuale ?

 

Potremmo chiederlo a Giotto di Bondone con il suo “O” – esordio fulminante e definitivo :

 

giotto

 

 

Potremmo chiederlo ai monaci Zen che si esercitano per anni e anni ogni giorno solo per arrivare,
ma loro stessi non sanno quando, a realizzare fulmineamente, con un solo colpo di pennello,
il cerchio che loro chiamano “Enso”:

 

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L’Africa non è primitiva : primitivi siamo noi.

 

L’Homo sapiens sapiens è apparso per la prima volta sulla faccia della Terra proprio in Africa …
E’ molto probabile che proprio in Africa si siano realizzate per la prima volta le condizioni socio-culturali
che hanno permesso la nascita dell’arte ….
L’Africa è la nostra Grande Madre … l’Africa oggi ce lo ricorda con orgoglio, ma anche con affetto materno.

Lo ha intutito in questa sua dolce “Maternità” la sensibile Teresa Carreño :

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Plinio ‘il Vecchio’ circa 2000 anni fa scrive : “L’Africa ci porta senpre qualcosa di nuovo”.

Duemila anni dopo, un altro grande (H.W.K.Collam) ribadisce :

”Il passato dell’Africa è sempre un passo più avanti del presente dell’Europa”.

 

 

 

 

La più bella scultura di cavallo e cavaliere non è una scultura.

Il più bello dei miei cavalieri Putchu Guinadji non è mio.

Il più raro dei miei cavalieri Putchu Guinadji non è mio.

La cosiddetta “Arte primitiva” è più antica e più colta di noi.

 

Quasi 100 anni fa Nazim Hikmet scrive :

Il più bello dei mari è quello che non navigammo.

Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto.

I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti.

E quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto.

 

 Ciò che mi deve succedere di più bello non è ancora successo.

Ciò che mi deve succedere di più bello sta succedendo proprio ora.

 

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